Ho letto questo post su FB dell’amico Alessandro Visalli che riporto di seguito:
“Karl Marx, non da giovane ma nel 1880, collaborò al programma di Jules Guesde che aveva unito nel Congresso di Marsiglia tutte le anime del socialismo francese, per partecipare alle elezioni. Nel maggio si incontrarono a Londra, sotto gli auspici di Lafargue, e stesero il programma. Cito da una lettera a Sorge: “aver fatto scendere i lavoratori francesi dalle loro nuvole verbali al terreno della realtà è stato un passo davvero importante, anche se la cosa ha suscitato l’indignazione di tutti quei teorizzatori francesi che si guadagnano da vivere ‘fabbricando nuvole'”.
Nel programma la prima considerazione è che “l’emancipazione della classe produttiva è quella di tutti gli esseri umani senza distinzione di sesso e di razza”, ma nella parte B, “Programma economico” al punto 4 è scritto “Divieto, fatto legge, per i padroni, di assumere operai stranieri a un salario inferiore a quello degli operai francesi”.
Le due cose non sono in contraddizione, nessuna emancipazione è possibile se l’allargamento indefinito della classe lavoratrice, a seguito delle richieste del capitale e delle esigenze della valorizzazione, determina la messa in competizione tra di loro dei lavoratori e quindi conferisce centralità e potere a quelli che il testo chiama “i padroni”. Il meccanismo di funzionamento di base del mercato del lavoro, ovvero la ricerca della produttività marginale, nelle condizioni richieste da Marx e Guesde, produrrebbe l’effetto analogo ad una limitazione degli ingressi senza discriminazioni. Infatti se per legge, fatta mantenere, non posso assumere un lavoratore straniero al prezzo inferiore all’ultimo francese disponibile a lavorare, dato che i francesi godono di un vantaggio competitivo che ne migliora la produttività (lingua, conoscenza delle consuetudini anche implicite, etc.), li assumerò solo dopo che l’ultimo francese sta lavorando. Il meccanismo spingerebbe per l’aumento dei salari (infatti Marx era contrario, per questa ragione, ai salari minimi), a causa della tendenza a posizionarsi vicino al pieno impiego”.
(Alessandro Visalli)
Giusta e condivisibile considerazione. Appare però evidente che il punto allora non è partire (questo è quello che fa la destra…) dalla regolazione dei flussi che, allo stato presente delle cose, senza un cambiamento quanto meno parziale del contesto politico e geopolitico, non può che tradursi necessariamente in politiche repressive, securitarie (e reazionarie) del fenomeno migratorio (e quindi all’adesione de facto alle politiche della destra…) ma, ad esempio, dall’obbligo per gli imprenditori di non assumere lavoratori immigrati ad un salario inferiore a quello dei lavoratori autoctoni. Stesso discorso, ovviamente, per quanto riguarda le condizioni di lavoro e i diritti sul posto di lavoro (ma anche fuori del luogo di lavoro).
Se questa proposta fosse accolta e applicata o anche imposta per legge, è ovvio che il fenomeno dell’immigrazione tenderebbe parzialmente (scrivo parzialmente perchè le condizioni di vita in Europa sono comunque infinitamente superiori a quelle dei paesi da cui provengono gli immigrati…) e gradualmente a diminuire. Non solo. Gli immigrati non costituirebbero più una massa di manovra utile per i padroni come strumento di pressione e di ricatto sui lavoratori autoctoni perché verrebbe comunque meno un incentivo fondamentale ad assumere manodopera straniera.
Tralascio, in questa sede – anche perché l’ho fatto in decine di articoli – di affrontare il tema delle cause strutturali del fenomeno dell’immigrazione. Ciò su cui vorrei porre l’attenzione in questa brevissima riflessione, è che una forza autenticamente socialista e di classe – se esistesse – dovrebbe capovolgere completamente il paradigma reazionario e di neo destra incarnato oggi dalla Lega e approcciare la questione da tutt’altro punto di vista.
Spostando cioè l’attenzione dal basso (i flussi di migranti da “regolare”…) verso l’alto, cioè un mutamento radicale delle politiche economiche (e naturalmente anche della politica estera), del lavoro e dei diritti sociali. Esattamente quello che non fanno né la destra né la “sinistra” che per ragioni in parte diverse e in parte simili (ma alla fin fine il punto di convergenza è lo stesso…) non possono fare quello che non hanno alcun interesse a fare.
La “sinistra” è il volto “buono”, liberale, accogliente e solidale del sistema capitalista. La destra è quello “cattivo”, intollerante, esclusivista, xenofobo e razzista. Ma sono due finzioni ideologiche. Entrambe infatti, si guardano bene dallo spiegare le cause strutturali del fenomeno migratorio. Per ovvie ragioni. La “sinistra” perché rappresenta appunto la coperta ideologica del grande capitale transnazionale e “cosmopolita”, e la destra perché rappresenta a sua volta la coperta ideologica di quella borghesia nazionale che lavora scientemente (così come l’elite super capitalista transnazionale) ad indebolire e a ridurre ancora di più i diritti e il potere contrattuale dei lavoratori (ormai già ai minimi termini). Ed è scontato che fra i tanti imprenditori che assumono lavoratori immigrati a condizioni salariali e di lavoro inferiori e più gravose rispetto a quelle dei lavoratori autoctoni, ce ne sono tantissimi che sostengono la Lega e che ne costituiscono il nerbo. Come vediamo, sia la destra che la “sinistra”, pur coprendo ideologicamente e rappresentando ceti sociali differenti ma comunque tendenzialmente alleati (anche se l’attuale e specifica congiuntura storica li vede in una posizione relativamente conflittuale…) finiscono per convergere. Anche tutta la bagarre sul razzismo e l’antirazzismo è fondamentalmente una finzione ideologica che serve a coprire interessi economici e sociali determinati.
La vera priorità, dunque, per una autentica forza di classe e socialista (sempre se esistesse…), dovrebbe essere quella di svelare la menzogna che si cela dietro queste due narrazioni ideologiche e di lavorare per alzare l’asticella dei diritti di tutti i lavoratori, non di accodarsi o peggio, far proprie le logiche della destra e della guerra fra poveri da quest’ultima scientemente alimentata.
La SINISTRA (quella con la maiuscola e senza virgolette, cioè quella che oggi non esiste più) o farà quello che è chiamata a fare, oppure non avrà neanche senso di esistere. Questa auspicabile SINISTRA – ma forse è meglio tornare a chiamarla socialista e di classe – dovrà distinguersi nettamente sia dalla destra che dalla “sinistra” e tracciare una linea di demarcazione netta con entrambe, sia dal punto di vista politico che ideologico.
(Fabrizio Marchi)
Foto: L’Espresso – La Repubblica (da Google)