Razzisti NATO

In un articolo scritto cinque anni orsono (https://www.sollevazione.it/2018/10/il-razzismo-ologramma-o-minaccia-concreta-di-norberto-fragiacomo.html) mi interrogavo sulla genesi del razzismo propriamente detto e su una sua possibile recrudescenza in età postmoderna, partendo da una constatazione: questa ideologia non è affatto un evergreen della millenaria vicenda umana, bensì la “sovrastruttura necessaria di un sistema che pratica l’imperialismo di rapina ed è al suo interno multipolare e in continuo fermento, vista la lotta serrata fra un pugno di nazioni (bianche e industrializzate) per la supremazia economico-militare globale” – un prodotto ottocentesco, funzionale alla realizzazione di un progetto egemonico concepito dalle classi privilegiate delle potenze industriali dell’epoca.

Per invogliare masse di diseredati a spargere senza risparmio il sangue proprio ed altrui in conflitti combattuti a migliaia di chilometri da case simili a tuguri occorreva instillare nelle loro menti la convinzione di far parte di un’élite “razziale” chiamata a “civilizzare”, soggiogandolo, il resto del mondo, popolato da una semi-umanità colorata, primitiva e barbarica; si sottaceva ovviamente il particolare che a trarre vantaggio dalle conquiste sarebbero stati esclusivamente i ceti dominanti. La scienza dell’epoca fabbricò prove a sostegno della pretesa superiorità degli europei, mentre eminenti studiosi e letterati si preoccuparono di nobilitare le campagne predatorie, presentandole come missioni benefiche (“il fardello dell’uomo bianco”) e necessità storiche.

Con la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’affermarsi dello strapotere USA però le esigenze mutano. Nell’Occidente capitalista al policentrismo precedente si sostituisce un nuovo ordine, diretto da Washington e fortemente gerarchico: se lo scopo è la globalizzazione dei mercati e la sostituzione del cittadino con il consumatore meticcio allora il razzismo diviene un ostacolo, una sovrastruttura di cui sbarazzarsi, perché le idee (malsane) che ne stanno alla base mal si conciliano con il disegno di omogeneizzazione progressiva dell’umanità – così mi espressi nel 2018, per poi commentare che “Il Capitale si rivela più antirazzista di Marx ed Engels… ma solo perché il vecchio arnese ne intralcia lo sviluppo!” In conclusione, mi ponevo una domanda e mi davo una risposta: è possibile un riacutizzarsi nell’immediato futuro dell’epidemia razzista? “Se è vero che 1) quest’ideologia non gode più di alcun credito scientifico, 2) è socialmente inaccettabile, 3) non serve più a mobilitare e irreggimentare le masse per finalità di sopraffazione, 4) contrasta con le esigenze dell’economia, dovremmo rispondere di no”.

Come si può vedere non spacciavo certezze a buon mercato, anche se le mie affermazioni furono – legittimamente – contestate: preferii allora l’uso di un cauto condizionale a quello dell’indicativo e non mi sentii di escludere che, brevi o medio tempore, l’oligarchia occidentale potesse “sostenere qua e là, per motivi tattici, singoli regimi di ispirazione nazionalista. Anche un nuovo fascismo è dunque astrattamente configurabile – ma sempre col beneplacito del Capitale, s’intende”. 

Non posso certo vantare doti di preveggenza, poiché in realtà fenomeni del genere erano già in atto e, d’altra parte, all’epoca non mi prefiguravo l’irrompere di una pandemia non metaforica né, tantomeno, lo scoppio della guerra fra NATO e Russia (preannunciata dal compianto Giulietto Chiesa). Nella seconda metà della vita i lustri passano fin troppo in fretta, ma quello trascorso dalla stesura di quel mio testo a oggi ha segnato una drammatica accelerazione degli eventi, quasi la Storia – che qualche buontempone dava già per spacciata decenni fa – si fosse d’improvviso infilata in un wormhole. Tocca insomma aggiornare la riflessione proposta allora alla luce di sopravvenienze fattuali che pochi erano in grado di pronosticare.

Per i suggeritori del mainstream nulla è nel frattempo cambiato: il razzismo avvelenerebbe la società oggi esattamente come nel 2018. Quello perennemente denunciato da stampa e tivù “ufficiali” è però un “razzismo” generico, di grana grossa, che confonde in un nebbione moralistico manifestazioni fra loro dissimili, che vanno dalla paura del diverso ai pistolotti di qualche generale in cerca di notorietà, dalla reazione irritata di certe bagnanti triestine al “tuffo col burqa” di donne musulmane all’insofferenza verso i migranti che vediamo camminare lungo le strade provinciali. Tutto questo – sostenevo e sostengo – non è propriamente razzismo, ma rientra in un atteggiamento difensivo (e al limite xenofobo) che si riscontra in quasi tutte le comunità umane, e pure in quelle animali: una reazione dal basso che può sicuramente venire strumentalizzata da chi governa, ma che non è riconducibile a una precisa strategia. Il problema è che, avvezzati come siamo a sentir gridare “al lupo” all’apparire di un bastardino, rischiamo di voltarci dall’altra parte quando il predatore effettivamente si appalesa.

Richiamo l’attenzione su alcune mie datate considerazioni che ho riportato in apertura: in un mondo multipolare lo strumento-razzismo può essere utilmente impiegato da un’élite per disumanizzare un nemico esterno e persuadere i sudditi/esecutori dell’esigenza che sia combattuto e tolto di mezzo. Ci sono oggi questi presupposti e le altre condizioni che ho in precedenza citato?

Vediamo come stanno le cose. Russia e Cina sembrano adesso più minacciose di quanto non fossero nel 2018 anche perché, ben lungi dal chinare il capo dinanzi ai diktat americani, rifiutano un ruolo subalterno e mostrano “intollerabili” velleità di protagonismo: la Federazione ha varcato il Rubicone, accettando la sfida (militare ed economica) lanciatagli dall’Occidente collettivo, i cinesi non si sforzano più come un tempo di “sopire, troncare” e lasciano trapelare le proprie ambizioni. Seguendo il loro esempio altri importanti Paesi (India, Brasile, perfino l’Arabia Saudita) si ritagliano spazi di autonomia e mostrano insofferenza verso il predominio a stelle e strisce: il secolo americano è storia passata, l’unipolarismo degli anni ’90 uno sbiadito ricordo. In questo quadro cangiante potremmo legittimamente chiederci se un rigurgito razzista (anticinese e antirusso) contrasti ancora con le esigenze di un’economia, quella USA, che non esercita più un’incondizionata supremazia sul meloniano “globo terracqueo”, riducendosi a tiranneggiare i protettorati europei. A me pare di no, ed è palese che l’appello a un’indimostrata – ma continuamente esibita – superiorità morale dell’Occidente “democratico” serve a fomentare nelle masse domestiche l’avversione nei confronti degli altri, dipinti quasi alla stregua di alieni. Nessuno scienziato si azzarderebbe naturalmente ad avallare un’ipotetica superiorità etnica di nordamericani ed europei sugli asiatici (cui, si noti, la propaganda ucraina e non solo equipara i russi, retrocessi da slavi a “tartari”), ma la scarsa propensione di questi ultimi a idolatrare il feticcio democratico viene sbandierata, neanche troppo larvatamente, come una prova di arretratezza culturale, e dunque di inferiorità. Il razzismo “puro” e schietto rimane socialmente inaccettabile, però la condanna morale di chi non si adegua ai nostri standard è pronunciata, senza imbarazzi e a reti unificate, da politici, giornalisti e persino intellettuali e produce (o intende produrre) gli stessi effetti.

Un’esagerazione asserire che sta rinascendo un razzismo dall’alto, che presenta caratteristiche in parte inedite ma nella sostanza comparabili a quello in voga fra Otto e Novecento? La crociata antirussa bandita all’indomani dell’invasione dell’Ucraina (e quindi pianificata in precedenza) contraddice le risposte minimizzatrici: abbiamo assistito alla messa al bando di cantanti, direttori d’orchestra, violiniste, atleti (persino quelli paraolimpici!), all’espulsione delle squadre nazionali da tutte le competizioni sportive ecc. Coloro che, come i tennisti e pochi altri, sono ancora ammessi alle gare vengono privati della bandiera e diventano “apolidi”; la damnatio memoriae si estende a geni della letteratura morti e sepolti, perché tutto ciò che proviene dal mondo russo deve essere percepito da noi spettatori degli audiovideo made in NATO come scadente, squallido, corrotto e ripugnante. Ecco allora che i soldati della Federazione vengono raffigurati come unni dediti all’alcolismo e allo stupro, ma nel contempo codardi e incapaci di battersi, e un popolo intero – che ha donato all’umanità opere immortali in tutti i campi – viene svilito a turba viziosa di infingardi, di cui è lecito auspicare l’annientamento (attenzione: un domani toccherà ai cinesi e a chiunque ardirà opporsi all’oligarchia yankee). Nel mondo al contrario, che non rassomiglia al bozzetto scarabocchiato da Vannacci, si sdogana il razzismo spacciandolo per attaccamento a libertà e diritti e si colpevolizzano i timori – fondati o meno che siano – di gente comune gettata allo sbaraglio in un universo senza regole né punti di riferimento riconoscibili.

“I finanzieri occidentali potrebbero avere interesse a sostenere qua e là, per motivi tattici, singoli regimi di ispirazione nazionalista. Anche un nuovo fascismo è dunque astrattamente configurabile – ma sempre col beneplacito del Capitale, s’intende (2018)”: il supporto al neonazismo ucraino e lo sdoganamento di destre becere, ma supine a Washington confermano l’assunto.

Razzismo e fascismo sono armi di riserva, conservate per decenni in magazzini sotterranei da un’oligarchia che, nascondendo il suo volto mostruoso dietro una maschera (sempre meno) benevola, rappresenta oggi la più seria minaccia per la sopravvivenza e il progresso del genere umano.

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3 commenti per “Razzisti NATO

  1. Franco Trane
    16 Settembre 2023 at 20:53

    Ignoranza,Ccredulità, Paura, Odio.
    Fascismo: il braccio armato del kapitalismo.

  2. Yak
    23 Settembre 2023 at 9:30

    Anche lo stesso “negro” che nella veste di immigrato col barcone o sofferente miseria viene sostanzialmente dipinto come “buon selvaggio” bisognoso di aiuto e di assistenza, o addirittura “risorsa”, se scaccia il colonialista e instaura rapporti di collaborazione con chi lo tratta in maniera egualitaria, diventa povero demente incolto manipolato dal “nemico” o addirittura nemico esso stesso.

    • Fabrizio Marchi
      23 Settembre 2023 at 10:47

      Bè, francamente considerare come un nemico un migrante che sbarca col gommone o viene raccolto in mare, il più delle volte vittima di mafie che speculano sulla sua pelle, mi sembra veramente una boutade priva di ogni fondamento. L’immigrazione di massa è uno degli effetti del saccheggio e della rapina effettuata a livello mondiale dal sistema capitalista, colonialista e imperialista. Quindi non confondiamo lo spacciato con lo spacciatore e prendiamocela con chi di dovere, cioè con i veri responsabili di questa tragedia che però non casca dal cielo e ha delle ragioni molto concrete e individuabili (e individuate). Di tutto abbiamo bisogno tranne che di guerre fra poveri e men che meno di depistaggi ideologici. Questa roba lasciamola ai Salvini vari. Noi abbiamo il dover di spiegare le cose come stanno, non alimentare la propaganda del versante destro del sistema.

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