E’ certo necessario innamorarsi dei propri ideali di riscatto, del recupero della dignità, della estrincazione, finalmente, della propria personalità. Un processo per chi è rivoluzionario che non può che accompagnarsi con il processo di liberazione delle classi subalterne dallo sfruttamento e dall’umiliazione quotidiana che riceve dalla classe dei parassiti, cioè da quel bestiario che viene chiamato capitalista, borghese, guerrafondaio…
Naturalmente tali ideali devono radicarsi in una filosofia capace di produrre una teoria generale compiuta capace di generare postulati che abbiano il dono dalla chiarezza lessicale e contenutistica e allo stesso tempo il dono della flessibilità dialettica.
La teoria che ha saputo dare tante risposte al nostro vivere sociale, per chi è rivoluzionario, ci viene dalla monumentale opera di Karl Marx. Gli studiosi, i militanti che hanno cercato di interpretare il nostro tempo devono ricorrere sempre al grande tedesco, sia che si siano chiamati Lenin, Gramsci, Guevara, Mao.
Non intendo parlare di Marx. Non ho nè l’energia nè la sapienza. Voglio sottolineare un aspetto che in Marx e nel marxismo di livello risulta a più riprese una sottolineatura d’obbligo.
La necessità di rivedere un modello d’interpretazione quando esso appare ormai in costrasto evidente con i processi “reali” (ovviamente di sempre difficile definizione).
E purtroppo questo è un pregio di cui difettano tanti militanti.
E non voglio certo qui entrare in merito ai tanti punti di contrasto nella teoria e nella prassi politica e culturale.
Pongo solo (e modestamente) i militanti sull’avviso. Molti di noi trasformano una convinzione, un’interpretazione, in mito. E ciò porta una gran parte di noi a non voler vedere una trasformazione dolorosa (ad esempio l’involuzione della CGIL e a suo tempo del PCI, ma se ne potrebbero portare tanti altri…) e ad agire come se nulla fosse successo. In tal modo si pensa di essere dalla parte delle classi popolari quando invece si è addirittura passati alla parte avversa.
Si vuole rimanere nelle antiche certezze per non soffrire, per non perdere le nostre sicurezze. Si crea un nuovo campo pratico e teorico che ci disturba e ci confonde, Non c’è bisogno di ricorrere a Freud e a Nietzsche per capire quanto è umana, estremamente umana, una tale debolezza. Ma certamente si cessa di interpretare in modo corretto lo stesso pensiero di Marx.
La capacità di correggere le nostre convinzioni, di porre in critica severa tanti nostri comportamenti, tante nostre ipotesi e teorie, di demolire i miti che ci siamo creati, compagni, questo sì che vuol dire essere marxisti.