La principale base sociale di riferimento di tutte le destre occidentali è quella parte di borghesie nazionali che sono rimaste escluse dal circuito del grande capitale internazionale e multinazionale, con la conseguente perdita di egemonia, sia economica che politica che non si sono rassegnate a perdere e che aspirano naturalmente a riconquistare. Le destre, da quella di Trump a quella di Le Pen e Meloni rappresentano questa aspirazione politica. A tal fine, sono riuscite nel tempo ad uscire dal relativo isolamento in cui si trovavano e a conquistare larghi consensi fra i ceti popolari.
Come ha potuto realizzarsi questa alleanza inter-classista e il passaggio di larga parte dei ceti popolari nelle file della destra?
Le ragioni sono diverse. La sconfitta storica del Movimento Operaio e delle sue determinazioni politiche (il Movimento Comunista e quello Socialista) ha lasciato campo libero al sistema capitalista che a quel punto non ha avuto più bisogno di qualsiasi forma di mediazione sociale e politica. Come conseguenza di ciò l’attacco al mondo del lavoro – sempre più precarizzato e frantumato in mille rivoli (anche in seguito ad un processo di radicale ristrutturazione dell’organizzazione del lavoro) – che ha gradualmente perso ogni potere contrattuale, contestualmente all’attacco ai diritti sociali e al welfare.
Questa graduale messa all’angolo del mondo del lavoro – avvenuta con la complicità dei sindacati e della “sinistra” liberale post socialista e post comunista divenuta simbiotica al sistema capitalista – è stato accompagnato da una poderosa offensiva ideologica che ha portato con il tempo alla dissoluzione del concetto di classe (e di coscienza di classe) sostituito dall’individualismo e dal conseguente processo di atomizzazione sociale e dissoluzione di ogni vincolo solidaristico e comunitario. In questo contesto, è evidente come la destra abbia avuto buon gioco nel diventare punto di riferimento per settori sempre più crescenti e disorientati di masse popolari sprovviste di coscienza di classe ma disgustate da una “sinistra” liberale organica, politicamente e ideologicamente, al capitalismo transnazionale e “globalista”. Il contratto sociale” proposto dalle destre ai ceti popolari è in estrema sintesi il seguente: riduzione al minimo dei diritti sindacali e della capacità contrattuale (non solo salariale) dei lavoratori, in cambio della (promessa) sicurezza e stabilità e soprattutto della messa al riparo dai potenziali “competitor”, cioè dai lavoratori immigrati (esercito industriale di riserva). Un compromesso al ribasso (oltre che fasullo), naturalmente, per i lavoratori e i ceti subalterni, ma considerato accettabile dati i tempi.
La Lega è stata la prima forza politica a proporre questo “patto” ma la scelta di Salvini di sostenere il governo Draghi (un vero suicidio politico per il leader della Lega), anche a causa delle sue contraddizioni interne, ha favorito Giorgia Meloni che è riuscita a diventare il nuovo punto di riferimento per tutto quel mondo della piccola e media impresa (e in taluni casi anche medio alta) con lavoratori e ceti popolari al seguito perchè troppo deboli, ricattati e incapaci a sviluppare qualsiasi forma di conflittualità verticale (basso contro alto).
Ora, il nuovo governo, al di là dei proclami e della finta opposizione a quello precedente, dovrà cercare di coniugare le politiche economiche imposte da Bruxelles (e ormai soprattutto da Washington e Londra nei confronti delle quali l’obbedienza dell’esecutivo sarà cieca) e duramente inasprite dalla guerra in corso, con le sue promesse elettorali e la necessità di mantenere un certo consenso fra quei settori sociali che l’hanno sostenuto. Ma è ovvio che qualcuno dovrà necessariamente pagarne le spese. Questo qualcuno sono i ceti sociali più deboli del paese, cioè i disoccupati e i precari, tanto più che non fanno parte del bacino elettorale del centrodestra e di FdI in particolare.
L’attacco al reddito di cittadinanza è il mattone fondamentale di questa offensiva antipopolare che ha tre obiettivi fondamentali: 1) rastrellare denaro togliendolo letteralmente dalle tasche dei più poveri 2) immettere sul mercato manodopera a basso costo debole, ricattabile e quindi disposta a qualsiasi condizione di lavoro 3) tenere comunque sotto costante ricatto i lavoratori stabilmente occupati e frustrare ancor più le loro già debolissime velleità conflittuali. Non c’è spazio, nell’economia capitalista e nella fattispecie liberista, per una ripartizione equa della ricchezza così come dei sacrifici.
Chi pensa, dunque, ingenuamente, che la destra sia un pochino meglio della “sinistra” è grave in errore. Giorgia Meloni rappresenta uno schieramento politico, ora al governo, sordidamente e visceralmente classista e reazionario (né più e né meno del governo Draghi e dei governi di centrosinistra camuffati e riverniciati dall’ideologia politicamente corretta) chiamato in questa fase a fare il “lavoro sporco”, come si suol dire, proprio perché gode dell’appoggio di larghe masse popolari. Lo stesso compito che era stato affidato al centrosinistra in altre occasioni.
Dal canto suo la “sinistra” liberale, complice di questo disegno reazionario e antipopolare di cui l’establishment di casa nostra (di destra o di “sinistra”) è mero esecutore, non può che continuare nella sola cosa che sa fare, cioè sventolare le scontate bandiere dei diritti civili (interpretati a senso unico) del politicamente corretto e di un antifascismo ipocrita quanto fasullo che rappresenta un’offesa per chi il (nazi)fascismo lo ha combattuto veramente a suo tempo, armi in pugno.
L’opposizione a questo governo atlantista, guerrafondaio, classista e reazionario, dovrà essere durissima e intransigente.
Fonte foto: Il Riformista (da Google)