Sono di ritorno dall’assemblea nazionale di Patria e Costituzione (quella di Stefano Fassina, per intendersi), alla quale hanno aderito altre associazioni dell’area della sinistra cosiddetta “sovranista”, come “Rinascita!” e “Senso Comune”. Alcuni di loro – e hanno ragione – trovano improprio l’uso del termine “sovranista” – ma si fa per capirci – altri invece lo rivendicano apertamente). Non so se ce ne siano anche altre ma non importa. Questo non vuole essere un report ma solo un commento all’evento. Saranno, eventualmente, loro stesse a comunicarcelo, se lo riterranno opportuno. Di seguito, il Manifesto per la Sovranità Costituzionale che hanno presentato: https://www.patriaecostituzione.it/wp-content/uploads/2019/02/Manifesto-per-la-sovranit%C3%A0-costituzionale-4.pdf
Sono state dette cose (che già conoscevo) condivisibili e altre meno o per nulla.
Sorvolo su quelle condivisibili perchè le potete leggere sul nostro giornale, e vado rapidamente a quelle non condivisibili che in parte ho già espresso in questo articolo e quindi non mi ripeto:
https://www.linterferenza.info/editoriali/sbaglia-la-sinistra-sovranista/
I punti di dissenso, per quanto mi riguarda (oltre a quelli già affrontati nell’articolo sopra linkato) sono l’immigrazione e il femminismo.
Il primo. Volendo sintetizzare con una battuta, potremmo dire che l’analisi che fanno è del tutto condivisibile; peccato che alla fine la risposta politica che propongono sia un topolino. Un topolino che però rischia seriamente di essere reazionario e criminale.
Passi per il criminale (si fa per dire…). In fondo anche aver ghigliottinato migliaia e migliaia di aristocratici durante la Rivoluzione francese è stato un fatto criminale. Una volta tagliata la testa al re e alla regina o al limite a qualche loro ministro, ci si poteva anche fermare. Quello che era giusto fare sul piano sia politico che simbolico, era stato già fatto (memorabile, da questo punto di vista, e invito tutti a leggerlo, il discorso con cui Robespierre spiega perché non si può NON giustiziare il re) tagliando appunto la testa al re e alla regina (nessuno sollevò una questione di genere nel caso specifico…). Non c’era nessuna necessità di quella successiva carneficina (anche in questo caso, non fu sollevata nessuna questione di genere…), del tutto gratuita, da un certo punto di vista. Quella “tonnara” di aristocratici, uomini, donne, fanciulli, fu quindi un fatto criminale ma NON reazionario. Di certo non avrei fatto né tanto meno farei oggi battaglie per difendere quella gente.
Idem come sopra per la famiglia dello zar Nicola II. C’era forse necessità di fucilare insieme a lui e alla zarina anche le sue figliolette? No, ovviamente. Si trattò, dunque, di un atto criminale, ma NON reazionario. Anche in questo caso non farei battaglie per riabilitare il nome dei Romanov…
Si potrebbe continuare a lungo. Era proprio necessario fucilare anche l’amante di Mussolini? No, ovviamente, però alla fin fine ‘sti “gran cazzi”, come si suol dire, se mi passate il francesismo. Volendo spingerci ancora più in là nel ragionamento, anche la deportazione e la eliminazione (molto spesso fisica) della classe dei kulaki (i contadini proprietari di terre, piccoli, medi e a volte ricchi), durante l’era staliniana è stato un fatto criminale ma NON reazionario. Si trattò di una scelta politica e strategica rivelatasi disastrosa (oltre che criminale), ma questo è un altro discorso. Ciò che voglio dire è che si trattò di una politica criminale ma NON reazionaria. Piaccia o no è così, e abbiamo sempre tenuto a sottolineare che questo giornale non è stato creato per rassicurare ma per dire quello che pensiamo.
Potrei continuare. Gli esempi potrebbero essere molti ma credo che quelli testè riportati siano sufficienti.
Ora, la proposta politica degli amici e dei compagni (perché tali restano per me, sia chiaro, a parte i filistei di sempre, ma questi stanno ovunque…) relativamente a come affrontare la quesitone dell’immigrazione, rischia di essere criminale e anche reazionaria.
Perché? Leggiamo il passaggio specifico del loro Manifesto:” Tanto la xenofobia, quanto il principio irrealistico di accoglienza illimitata (“no border”) sono risposte impraticabili per affrontare la sfida epocale delle migrazioni. Ignorano, infatti, le cause reali di un fenomeno che richiede soluzioni politiche. Con riferimento all’immigrazione in occidente, se milioni di esseri umani sono costretti a lasciare i loro Paesi è soprattutto perché il neocolonialismo dei Paesi ricchi continua a depredarne le risorse e a scatenare guerre locali per spartirsi materie prime e mercati, mentre le “riforme” imposte da Fmi e Banca Mondiale ne aggravano la miseria. Ribadito che, né il diritto d’asilo nei confronti di chi è stato privato delle libertà democratiche, né il dovere di umana solidarietà nei confronti delle vittime di guerre e catastrofi naturali possono essere messi in discussione, va riconosciuto che la regolazione degli ingressi, in relazione alle effettive capacità di integrazione, è condizione essenziale per offrire un’accoglienza degna (fino allo jus soli), ossia in grado di garantire ai migranti accolti condizioni di vita e di lavoro analoghe a quelle dei cittadini autoctoni e, contestualmente, evitare dumping sociale verso i residenti. Va, insieme, affermato il diritto a non emigrare, in quanto l’emigrazione non è affatto un fenomeno positivo per il Paese d’origine, mentre ciascuno dovrebbe avere il diritto a vivere e lavorare in condizioni dignitose nel proprio Paese: un diritto da difendere con la solidarietà internazionalista fra le classi popolari dei Paesi ricchi e i Paesi poveri, chiamati a lottare assieme per promuovere e rafforzare il diritto allo sviluppo integrale di tutte le nazioni”.
La contraddizione è clamorosa anche se non facilissima da cogliere per chi non è avvezzo ad approfondire. Da una parte si individuano correttamente le cause strutturali che determinano il fenomeno dell’immigrazione, e cioè le politiche imperialiste, colonialiste e neocolonialiste che da secoli depredano, saccheggiano e schiavizzano miliardi di esseri umani. Logica vorrebbe, dunque, che per affrontare il nodo dell’immigrazione, che è un epifenomeno (cioè un effetto), come è evidente, si “aggredissero” quelle cause strutturali di cui sopra. E questo può essere fatto partendo dalla testa – appunto – e non dalla coda. Tradotto, bisogna lavorare (so che è difficilissimo ma tant’è…) alla costruzione di una maggioranza che porti al governo del paese una coalizione politica che chiuda una volta per tutte con le suddette politiche imperialiste e neocolonialiste, sia economiche che militari e che costruisca con i paesi del cosiddetto “terzo mondo” e in particolare con quelli africani, rapporti di cooperazione e non di sfruttamento. Ciò significa fine delle cosiddette “delocalizzazioni”, con le quali le imprese nostrane sfruttano i lavoratori di quei paesi in un modo indecente, fine del saccheggio delle risorse, fine delle occupazioni militari, costruzione di relazioni economiche, commerciali e politiche all’insegna di un equo scambio: materie prime a prezzi concordati in cambio di tecnici, “know how” e sostegno effettivo e concreto alla costruzione di infrastrutture e di stato sociale. Se queste politiche fossero attuate, sono assolutamente convinto che nell’arco di un quindicennio (un lasso di tempo storicamente brevissimo) il flusso di immigrati tornerebbe ad un livello fisiologico e governabile, con il risultato di non impoverire ulteriormente quei paesi delle loro risorse umane e di non creare eventuali conflitti tra la popolazione autoctona (la nostra) e gli immigrati; la famosa guerra fra poveri che le classi dominanti di ogni epoca e contesto hanno sempre alimentato. A quel punto, ma SOLO a quel punto, un governo (democratico e realmente sovrano e che abbia tracciato una linea di demarcazione netta con le politiche imperialiste e neocolonialiste) avrebbe le carte in regola per porre anche la questione della regolazione dei flussi. Ma NON prima di avere attuato quelle politiche. Una politica di regolazione dei flussi, applicata hic et nunc, qui ed ora, nell’attuale contesto politico, significherebbe di fatto e inevitabilmente (quello che poi sta avvenendo, ed era già avvenuto con il precedente governo a guida Gentiloni-Minniti), attuare una politica repressiva e violenta (e quindi criminale) ma anche REAZIONARIA nei confronti degli immigrati, cioè di masse di popolazione che emigrano non per il gusto dell’esotico o per il desiderio di emigrare (come racconta la narrazione dei “no border” che finisce per essere organica a quella neoliberale e neoliberista) ma per una dolorosa necessità, quella cioè di sopravvivere o al più vivere in condizioni più decenti e dignitose rispetto a quelle che vivono nei loro paesi. Ma – rispondono gli amici della “sinistra sovranista” – tutta questa gente va ad impattare con la nostra gente creando conflitti e lacerazioni e soprattutto finendo per costituire quel famoso esercito industriale di riserva che serve come strumento di ricatto nei confronti dei lavoratori autoctoni. Obiezione a dir poco maldestra. Per la semplice ragione che in regime capitalista non si avrà mai, per ragioni strutturali, piena occupazione. L’esercito industriale di riserva è sempre esistito in regime capitalista. La differenza è che prima era composto da disoccupati autoctoni e oggi – con il pianeta completamente globalizzato – è composto da stranieri. Ma la sostanza è esattamente la stessa. E non mi risulta che fino a quarant’anni fa la Sinistra se la prendesse con i disoccupati; al contrario li organizzava o cercava di organizzarli, perché li considerava per quello che erano, cioè dei lavoratori inoccupati. Il fatto che essi premessero o che oggettivamente fungessero o fossero utilizzati come arma di pressione e ricatto, politico e psicologico, sui lavoratori occupati, non impediva alla Sinistra e al Movimento Operaio di difendere le ragioni degli uni e quelle degli altri, che erano poi le medesime. Non vedo cosa dovrebbe esserci di diverso oggi, a meno di non considerare il fatto di essere stranieri e di provenire da altre culture e paesi, come un elemento discriminante o destabilizzante. Non è stata forse altrettanto destabilizzante e lacerante (soprattutto per chi emigrava) l’immigrazione di milioni e milioni di nostri concittadini nell’Italia settentrionale nel primo e secondo dopoguerra? Certo che sì, ma la risposta della Sinistra non fu certo quella di impedire con la forza a quella gente di emigrare, al contrario si governò quel processo, e lo si fece spiegando alla propria gente, in particolare alla classe operaia del nord, che quella gente che emigrava era la loro stessa gente, anche se parlava un dialetto incomprensibile ed aveva usi e costumi così diversi dai loro (a proposito, avete mai riflettuto sul fatto che c’era molta più differenza 50 anni fa tra un contadino dell’entroterra calabrese e un operaio torinese di quanta ce ne sia oggi tra un giovane italiano e uno tunisino o marocchino che si parlano via chat e comunicano in inglese su internet?…). Questo non significa sottovalutare i problemi e le difficoltà che il processo migratorio comporta. Significa soltanto che una Sinistra Socialista autentica deve saper dare delle risposte adeguate, anche e soprattutto all’altezza delle sfide che la “complessità” della fase storica attuale, impone. Mi pare che da questo punto di vista, la risposta della “sinistra sovranista” sia decisamente inadeguata e di fatto subalterna alla destra, anche se questo viene negato con forza. Ma è una negazione che non porta ad una sintesi – per dirla con una battuta – quando anche un autorevole esponente (che stimo moltissimo sul piano intellettuale e culturale) di quell’area, tempo fa mi disse, in un colloquio informale al termine di un convegno, le testuali parole:”Fabrì, c’è poco da fare, se vuoi recuperare un rapporto con i ceti popolari, oggi devi innanzitutto dire che sei per la regolazione dei flussi…”. Questa affermazione palesa una subalternità e anche una debolezza politica sostanziale. Il non detto di quell’amico è:”Mi rendo conto e in fondo c’hai pure ragione però le cose oggi stanno così e questo è quello che oggi bisogna dire”.
Eh no, non ci siamo proprio. Quello che bisogna dire è come stanno le cose, anche a costo di rompersi la testa. Sono sempre stato convinto che “la verità sia rivoluzionaria” e che la verità sia amica delle classi dominate; sono quelle dominanti che hanno necessità di raccontare menzogne e di far sì che quelle dominate vivano nella menzogna. Mi rendo conto che è oggi difficilissimo spiegare questa “verità” alle masse popolari ma NON c’è altra soluzione. E’ un lavoro improbo, ingrato, ma non c’è alternativa. Tutto il resto è menzogna. E non si raccolgono frutti genuini e duraturi sulla menzogna.
Vado, molto brevemente, all’altra questione, il femminismo, rispetto alla quale, nel caso specifico, scrissi tempo fa questo articolo in risposta a Formenti che è sicuramente uno degli intellettuali di spicco di questa neonata aggregazione politica: https://www.linterferenza.info/editoriali/caro-formenti-femminismo-uno-solo/
Ad un certo momento ha preso la parola una donna, una economista (che a parte quello che sto per dirvi ha detto anche cose interessanti) che ha esordito dicendo:” Qui si parla di patria ma bisogna innanzitutto parlare di “MATRIA” perché le donne sono quelle più sfruttate ecc. ecc. più il solito armamentario ideologico femminista di sempre (per fortuna stavolta breve perché il tempo dato per gli interventi era ristretto) che non sto neanche a dirvi perché tanto lo sentiamo tutti i giorni da 40 anni almeno in ogni dove e su tutti i media. E naturalmente, scroscio di applausi dalla platea a mo’ di claque (non di tutti però, e mi sono divertito ad osservare chi applaudiva e chi no, fra questi alcuni miei amici che però, ad eccezione di uno, e quando dico uno, voglio dire uno, non hanno fino ad ora avuto il coraggio di manifestare il proprio dissenso pubblicamente con lo scritto o con la parola…).
Naturalmente, più di una volta si è fatto riferimento all’8 marzo e alle donne, alla lotta per l’eguaglianza dei generi (dando, ovviamente, per scontato, che le diseguaglianze colpiscono solo e soltanto le donne, a senso unico…). Insomma, la solita retorica e la solita – peraltro sottolineata in diversi passaggi – adesione all’ideologia femminista della quale anche questa “sinistra sovranista” (che dice di voler operare una cesura con l’attuale “sinistra” e con l’ideologia politicamente corretta) è pervasa e con la quale non ha nessuna intenzione di rompere nè lontanamente aprire una sia pur timida riflessione critica. Sai mai che il femminismo non sia Perfetto e non rappresenti la Verità Assoluta e Universale…
Mi pare che un soggetto politico realmente nuovo (hanno espressamente dichiarato di voler lavorare alla costruzione di un partito) che dichiara apertamente di voler chiudere con l’attuale “sinistra” sia essa liberal o radical, non possa mettere la testa sotto la sabbia rispetto a questa questione che – come ben sa chi ci segue da tempo – riteniamo essere uno dei mattoni fondamentali dell’ideologia capitalista dominante e naturalmente di quella “sinistra” liberal e radical di cui sopra da cui la “sinistra sovranista” dice di voler prendere le distanze e, anzi, considera propedeutico prenderne le distanze.
In conclusione, augurandogli il meglio, mi pare che il nuovo soggetto che si appresta a nascere nasca su presupposti vetusti e anche monchi: va bene il riferimento alla Costituzione del ’48 (che va difesa dagli attacchi che provengono da più parti, dalla destra ma anche dal fronte liberale e liberista europeo ed europeista), va bene recuperare il ruolo dello stato (in funzione anti neoliberista), però penso che una Sinistra nuova, moderna (nel senso di adeguata ai tempi e capace di interpretare correttamente la realtà) debba avere più coraggio (basta cagarsi sotto davanti al femminismo! …) e anche una maggiore “fantasia” e capacità di leggere e soprattutto approcciare la realtà, in tutta la sua complessità, con idee innovative e adeguate. Mi si chiederà quali. Ma questo sarà argomento di un prossimo articolo perché ’ho già fatta troppo lunga. Mi pare però che su questo giornale difettiamo su tante cose ma le idee non si può proprio dire che ci manchino.
Fonte foto: Dagospia (da Google)