Cinque operai sono stati falciati in un incidente sul lavoro, mentre sostituivano dei binari a Brandizzo in piena notte. Erano uomini tra i venti e cinquant’anni, possiamo immaginare la tragedia dei parenti, delle mogli e dei figli. La morte di un lavoratore sul lavoro è una tragedia plurale, intorno a lui c’è un mondo che dipende dal suo reddito e, specialmente, ci sono persone che non appaiono nei media, e che vivranno la tragedia per sempre. Ogni operaio che riceve la notizia della morte di un suo collega è scosso profondamente, perché sa che potrebbe toccare, anche a lui, potrebbe essere il prossimo, ma deve stare in silenzio.
La precarietà resa legge, ha reso operai e lavoratori ricattabili. La morte sul lavoro non può che far bruciare di dolore e rabbia, erano al lavoro i cinque operai per guadagnare quanto basta per vivere, per progettare e per sostenere le loro famiglie. Partiranno le inchieste per stabilire le responsabilità. Resta, ancora un dato non aggirabile, è il sistema lavorativo spesso a produrre le morti, spesso non vi sono le condizioni di sicurezza massime per difendere la vita dei lavoratori.
Il mondo del giornalismo ha coniato il termine femminicidio per esprimere gravità e specificità degli omicidi delle donne; il termine femminicidio presuppone implicitamente l’assassino, ovvero gli uomini. Nel caso di un lavoratore che cade sul lavoro, in genere quasi tutti uomini, il giornalismo non ha coniato un termine specifico per esprimere la gravità del reato: morire, mentre si lavora, per guadagnarsi il minimo per sopravvivere, spesso in condizione di precarietà, ci parla di un sistema sociale ed economico che ha istituito la normalità dello sfruttamento. Forse, se il sistema non ha coniato un nuovo termine per esprimere la “specificità di un operaio o di un’operaia” che muoiono sul lavoro è per il semplice fatto che non si vuole affrontare la radicalità del problema: si muore per sfruttamento e gli incidenti sono “omicidi” di sistema. Pochi osano pronunciare le parole ingiustizia e sfruttamento, quando accadono simili “incidenti”, perché farebbe emergere la verità: ci sono omicidi legati al sistema, in primis, con responsabilità personali. Il sistema agisce mediante persone che ricoprono ruoli all’interno della gerarchia lavorativa, ma l’”incidente” non è spiegabile solo con le responsabilità personali. La competizione globale e lo smantellamento dei diritti delle classi subalterne produce vittime quotidianamente, è la normalità del male del nuovo capitalismo.
In Italia nel primo quadrimestre del 2023, secondo i dati INAIL, ci sono state 264 vittime sul lavoro in aumento rispetto al 2022. L’INAIL rileva nel primo quadrimestre 15 vittime a settimana. Rispetto al 2022, stesso periodo, tre vite in più sono spezzate, mentre producevano per loro e per la nazione tutta. La fascia più colpita è quella 55-64 anni. Si va in pensione tardi, si invecchia e si muore sul lavoro. Un operaio anziano cade più facilmente per ovvi motivi, ciò malgrado la riforma delle pensioni resta al palo.
Non ci sono soldi ma per le armi da inviare in Ucraina, i soldi sono stati trovati. Il numero delle donne cadute negli “incidenti” è di 14, in sette hanno perso la vita in itinere. I comparti lavorativi nei quali si muore maggiormente sono: Manifattura, Costruzioni, Trasporto. Magazzinaggio, Sanità e Commercio. Le denunce maggiori si rilevano nel manifatturieri e nell’edilizia. L’evidente prevalenza di uomini, dunque, dovrebbe condurre il mondo del giornalismo a coniare un termine, al maschile, per la caduta sul lavoro di migliaia di uomini. Il silenzio dei media, invece, interrotto da frasi di circostanza, che si ripetono ad ogni tragedia, deve farci comprendere il sistema in cui siamo. Le quattro ore di sciopero proclamate non sono certo sufficienti a formare la coscienza di classe delle classi subalterne, manca una azione quotidiana di ricostruzione di una coscienza collettiva, dovrebbe essere il compito dei Sindacati che al momento è deficitario. Partiti che difendono i lavoratori non ci sono e l’individualismo inoculato sono gli ostacoli più grandi che rendono i lavoratori sempre più vittime e sempre meno protagonisti.
Fonte foto: Avvenire (da Google)