Masterchef ed Expo: l’Italia dei servi e dei padroni

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Aveva visto giusto Corrado Ravazzini nel suo cortometraggio ”perfetto”

a identificare nel ristorante il luogo dove meglio emerge, e meglio viene esibito, lo ”status sociale” nel capitalismo post-moderno.
Si andava al ristorante banalmente per mangiare, ma ora tra cuochi che non sono più cuochi bensì  ”chef”, tra piatti che non sono più piatti ma opere di arte moderna impossibilitate a riempire lo stomaco perchè miserrime nel contenuto e nelle dimensioni, diventa chiaro che tra il fine (mangiare, possibilmente bene) e il mezzo (il ristorante, guai a chiamarlo trattoria perchè troppo evocatoria di bifolchi camionisti con la camicia a quadretti) si sono inseriti una serie di sgradevoli ostentazioni di ”skill sociali” che contribuiscono a farmi guardare all’ambiente degli ”chef” e dei ristoranti ”blasonati” con una sorta di imponderabile disgusto.
L’avevamo già visto con il mercato del vino, dove per ”ribrandizzare”  un buon Barbera erano arrivate orde di buffoni chiamati ”sommelier” a sentire retrogusti improbabili di tabacco e di cumino a questo e quell’altro vino; era necessario trasformare la bevanda popolare per eccellenza, il vino, in uno skill sociale da esibire per dimostrare il proprio status.
Tale disgusto si amplifica a dismisura quando accendo la televisione e osservo per alcuni minuti (limite massimo di tolleranza) una puntata di “masterchef”. Questa spiacevo sensazione (appunto di disgusto) non è tuttavia del tutto infruttuosa, perchè ha un effetto pedagogico e mostra chiaramente che l’equazione ”ristorante=ostentazione della differenza di classe sociale”  non è solo frutto della mia immaginazione ma una realtà oggettiva e conclamata.
Del resto non si tratta solo di un paradigma sociale che ci ricorda – per chi l’avesse dimenticato – che viviamo ancora in una società divisa in classi, ma anche del paradigma del capolinea di una nazione, la nostra, che ormai si è ridotta come un paese del terzo mondo a vendere solo cibo e turismo.
Se penso all’expo del 2015 dedicato al cibo (si ricordi che per esempio la Tour Eiffel fu costruita appunto nell’expo del 1889, e si raffronti con la miserrima sagra del tartufo nostrana a cui l’abbiamo ridotta nel 2015) mi rendo conto che per un giovane in questo paese non c’è più speranza. L’unica prospettiva che gli offre questo paese è scegliere tra una carriera come cameriere o come cuoco, magari con la segreta speranza un giorno di diventare ”chef” e rifarsi delle umiliazioni subite dal cliente che per definizione ”ha sempre ragione”,e di quelle subite dal padrone che, per definizione, ha ancora più ragione del cliente.
Diventa così magicamente spiegabile,per noi outsider del mondo della cucina, tutto l’assurdo interesse sado-masochista,che in questa infelice nazione milioni di persone riversano in questa sarabanda di maleducazione e arroganza chiamata ”masterchef”:
Frotte di cuochi e camerieri vedono in masterchef una sorta di rievocazione della loro triste, alienante e frustrante vita quotidiana.
Ma c’è di più, masterchef è il momento pedagogico in cui bisogna insegnare a milioni di giovani italiani come ci si comporta nei confronti dei superiori, come subire i peggiori insulti senza fiatare; del resto è questo che offre il mercato del lavoro al giovane italian. Se l’industria è morta, finisce la possibilità anche solo teorica di fare una carriera ”tecnica” in cui il lavoro sia scisso dal suo aspetto servile di ”sudditanza al cliente” (e al padrone).
Ma l’industria è morta e all’expo si parlerà di cibo, cibo solo cibo e nient’altro che cibo…
Riflesso di ciò che l’Italia è diventata: un paese con una minoranza di ricchi e una maggioranza di poveri che possono lavorare solo e soltanto in una serie di lavori servili che gratifichino i padroni, perchè è questa la traduzione vera della parola arcana ”terziarizzazione” dietro la quale si cercano di nascondere le tremende condizioni della società capitalistica postindustriale.
Credevamo che la fabbrica fosse l’apice dello sfruttamento, e invece è arrivata l’era del ristorante, degli chef e dei masterchef:

Cari giovani, buona fortuna, ne avremo bisogno.

4 commenti per “Masterchef ed Expo: l’Italia dei servi e dei padroni

  1. Hank Bukowski
    24 Marzo 2015 at 10:20

    E’ evidente che questa moderna crisi è il prodotto di una rivoluzione liberista che, di fatto, sta piegando le democrazie, le nazioni, le Costituzioni, il mercato del lavoro e lo stato sociale alle necessità del mercato e della finanza globalizzati. Il governo unico mondiale dell’economia è un dato di fatto, gestito dai poteri negativi e imposto agli Stati/Nazione sotto il ricatto del default. Il debito pubblico è la trincea dove si combatte la guerra della sovranità, per cui più uno Stato è indebitato, più gli viene imposta una cessione di sovranità, che travalica i limiti della democraticità, o della costituzionalità. Le oligarchie economiche, che determinano lo stato di necessità, hanno quindi il privilegio della decisione, e impongono una politica di controriforme che sta devastando la libertà e i diritti dei lavoratori.

  2. Stefano
    24 Marzo 2015 at 23:25

    Caro mio
    Il frustrato mi sembri tu… Dietro al cibo c’è’ il cuoco, il cameriere, l’artigiano, il contadino e anche l’industriale!
    Dietro al cibo ci sono scelte etiche e politiche, scelte che ognuno di noi deve fare con consapevolezza anche nella Triste e Mera vita Quotidiana perché anche se non sembra, da questa scelta dipendono condizioni sociali e posti di lavoro di tutti quelli che, di nascosto ai tuoi occhi, preparano,coltivano,allevano e confezionano il tuo pasto quotidiano.
    All’EXPO bisognerebbe andarci e con spirito critico, capire cosa ci fanno MC Donald e Coca Cola come main partners in un luogo che dovrebbe esser un santuario del cibo e non di spazzatura .
    E poi, caro mio, Master Chef non e’ la ristorazione, come Forum non e’ un tribunale e l’Isola dei Famosi un villaggio di naufraghi: come diceva il caro Gaber ” quando e’ merda e’ merda” e quindi basta non guardarla, ci sarà sempre tv spazzatura ma non e’ (forse) questo il demone più grosso…
    Quindi rilassati che noi che della ristorazione ne abbiamo fatto un mestiere sappiamo bene cosa e’ realtà e cosa e’ finzione…

    • Fabrizio Marchi
      25 Marzo 2015 at 0:49

      Caro Stefano, ho l’impressione, spero che non me ne vorrai, che sia tu a non aver capito nulla dello spirito dell’articolo (e del suo autore).
      Enrico non se la prende mica con i lavoratori ma con il sistema che crea le condizioni affinchè quegli stessi lavoratori coltivino inevitabilmente un senso di frustrazione (e di alienazione). Né potrebbe essere altrimenti perché il sistema capitalistico stesso ha necessità di instillare quel senso di insoddisfazione e di frustrazione profonda nei subalterni perché deve farli galoppare, al fine di autoalimentarsi e di perpetrare se stesso e le sue dinamiche. In fondo è una variante (molto) più sofisticata del vecchio “bastone e carota”. Oggi è la “carota”, da un certo punto di vista, ad essere privilegiata, cioè ad essere oggetto delle maggiori attenzioni, perchè hanno capito che è lavorando su questa che il sistema può trarne maggiori vantaggi. Il discorso, come al solito, anche in questi casi, potrebbe essere lunghissimo…
      Rileggi bene e con calma l’articolo e capirai.
      Cerchiamo di mantenere la calma e la lucidità perché a volte è facile fraintendersi, specie quando non si comunica di persona.

  3. Alex
    4 Aprile 2015 at 1:54

    Non riesco a capire tutto questo rancore verso un settore che valorizza i prodotti agroalimentari italiani. Mangiare e bere bene é anche sinonimo di cultura. É una delle cose che più ci invidiano all’estero e che tentano invano di copiarci. E noi cosa facciamo? Ci diamo dentro con le bastonate, perché é ovvio, un sommelier é uno con la puzza sotto il naso, e uno Chef si crede il padre eterno…
    Ma poi, che cosa c’entra Masterchef con la ristorazione?
    Leggendo l’articolo, se così si può definire, traspare un misto di ragionamenti adolescenziali e frustrazione anti borghese. C’é gente che ama questo mestiere, e lo fa bene. Fattene una ragione.

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