L’esito della tornata elettorale europea è complesso e per
nulla omogeneo, nonostante le varie vulgate mediatiche. Si rende quindi
necessaria un’analisi un po’ più approfondita stato per stato, per verificare
gli elementi comuni ai vari paesi europei e le (notevoli) differenziazioni che
hanno avuto e avranno il loro peso politico sugli equilibri interni all’UE e
soprattutto sulle strategie che questa sarà in grado di portare avanti alla
luce del voto.
Il dato più rilevante (e forse l’unico principale comune
denominatore di tutti gli stati europei) è l’astensione che riguarda il 50%
dell’intero corpo elettorale. Si è infatti ormai consolidata una spaccatura
nelle società europee che, sotto questo profilo, si sono con il tempo
americanizzate. La metà della popolazione che non va a votare è quella
socialmente più fragile, che si sente più esclusa e in parte si autoesclude,
convinta che la politica non solo non modificherà di una virgola la sua
condizione ma tutt’al più non potrà che peggiorargliela; una miscela di
disaffezione, indifferenza e rancore (anche se sprovvisto di una vera e propria
coscienza politica), nei confronti delle elite, siano esse di destra o di
“sinistra”. Una massa di persone composta da variegati soggetti sociali, per lo
più di ceto popolare ma anche piccolo e piccolissimo borghese, comunque la
parte più debole della società, quella delle periferie, più precaria, meno
garantita (una precarietà che accomuna ai diversi livelli sia il lavoratore
precario e il disoccupato che la partita IVA e il piccolo e piccolissimo
commerciante o artigiano), senza relazioni, senza “agganci”, senza amicizie
influenti, pressata dalle esigenze quotidiane e che “non ha tempo da perdere”
con quella (la politica) che viene avvertita come una dimensione che non ha nulla
a che vedere con le problematiche e le asperità della loro vita concreta.
Dall’altra parte abbiamo in buona parte (ma non del tutto,
ovviamente…) la società dei “garantiti”, di quelli socialmente più “robusti”
(anche in questo caso ai vari e differenti livelli, naturalmente…) che sono più
“inclusi” rispetto ai primi e quindi il loro tasso di disaffezione rispetto
alla politica è minore. La parte maggioritaria di questi vota in modo più o
meno convinto per i “partiti di sistema”, siano essi liberali, conservatori o
di “sinistra”, con alcune importanti eccezioni. E qui dobbiamo cominciare ad
analizzare le differenze fra paese e paese che hanno reso questo voto europeo
altamente disomogeneo.
Italia e Spagna sono i paesi più “allineati e coperti”
all’attuale establishment europeo, diciamo così, dove la grande maggioranza dei
votanti ha premiato i “partiti doc di sistema”, che in Italia sono FDI, FI, PD, AVS, Azione, SUE,
in Spagna soprattutto i Popolari e i Socialisti che confermano rispettivamente
il loro 30% circa di voti ottenuti. La
Lega ha giocato, perdendola, la carta dell’antisistema (che ovviamente non è,
anche perché una buona parte del partito è organica all’UE e al governo…) e
deve ringraziare la candidatura, azzeccata, di Vannacci che le ha consentito di
reggere botta nonchè a Salvini di restare in sella. Il M5S è il vero e
principale sconfitto. Un partito sciatto e incolore, privo di una vera identità,
né di lotta né di governo, né pro né antisistema, né pro né anti la guerra,
incapace di assumere posizioni nette e chiare, fondamentalmente subalterno al
PD, di fatto una forza del tutto innocua per il sistema stesso. Tutto ciò è
stato percepito in primis dal suo elettorato che infatti lo ha, giustamente,
abbandonato. Non credo che riuscirà a rialzarsi dalla legnata ricevuta. Gli
mancano sia le energie che le risorse politiche e umane. Per farlo dovrebbe
abbandonare completamente il tatticismo che lo ha contraddistinto negli ultimi
anni, dotarsi di un programma forte e definito che esprima contenuti netti,
chiari e forti sul lavoro, il salario, lo stato sociale, la sanità, la scuola,
la pace, la guerra, l’UE, la NATO, denunciare il falso bipolarismo
destra/”sinistra” in cui lo stesso M5S (che pure era nato proprio per scardinarlo…)
è ricaduto con tutte le scarpe e rompere quindi definitivamente con il PD e AVS
individuandoli per quelli che sono, cioè “partiti di sistema”. Ce la farà? Non
credo proprio. Questo dovrebbe essere il compito di una auspicabile nuova forza
Socialista e popolare che al momento non si vede all’orizzonte, anche se un bel
segnale che dobbiamo assolutamente raccogliere arriva dalla Germania dove il
neonato partito di Sahra Wagenknecht, già fuoriuscita dalla Linke (Sinistra) ha
ottenuto un incoraggiante 6%.
Proprio in Germania è cresciuto – ma era ampiamente previsto
– fino a raggiungere il 16% dei voti il partito di estrema destra (anche con
venature neonaziste) dell’AFD peraltro guidato da una donna lesbica che proprio
dell’islamofobia e dell’ostilità contro gli immigrati (musulmani in
particolare, individuati come omofobi e nemici del mondo dei diritti della
comunità lgbtq) ha fatto uno dei suoi principali cavalli di battaglia (come lo
era per il partito dell’estrema destra olandese). Questo per dire quanto la
tanto sbandierata questione LGBTQ+ non sia, per definizione, collocabile a
sinistra, per lo meno nella sua accezione più nobile (quindi non quella
attuale…). In Israele, la comunità LGBTQ, una delle più potenti e sponsorizzate
di tutto il mondo occidentale, non sta alzando un dito per impedire il
genocidio del popolo palestinese. Il che non mi stupisce affatto dal momento
che non è certo l’appartenenza di genere o l’orientamento sessuale a determinare
la propria collocazione politica e tanto meno quella sociale. Dovrebbe però
stupire i sostenitori di tale tesi per i quali le persone lgbtq sarebbero
“progressisti e di sinistra” per default, ma sarebbe come chiedere ad un mulo
di occuparsi di filosofia. Resta il fatto che, a mio parere, l’AFD ha già fatto
il pieno dei voti e non avrà nessuna possibilità di incidere sugli equilibri
politici. Il partito di Sahra Wagenknecht, che sostengo apertamente, nasce
proprio per riallacciare i rapporti con quei ceti popolari che, giustamente
disgustati dalle politiche neoliberali, neoliberiste e dalle posture woke e
politicamente corrette del carrozzone neoliberale, sia della CDU che della
“sinistra” liberal dell’SPD e dei Verdi (i più guerrafondai in assoluto), hanno
dato i loro consensi alla destra estrema. Per prosciugare il brodo di coltura
della destra – spiega chiaramente la Wagenknecht nel suo libro “Contro la
Sinistra neoliberale” – è innanzitutto necessario rompere (cosa che lei ha già
fatto) con l’attuale “sinistra” liberale e politicamente corretta. Un esempio
da seguire, un punto di riferimento, una relativamente piccola ma importante
luce nell’oscurità in cui siamo precipitati.
E ora veniamo invece al dato più importante, quello che
spariglia o che potrebbe sparigliare le carte anche in Europa, sto parlando
ovviamente della Francia dove il RN è diventato il primo partito con il 32% dei
voti. Il successo di Marine Le Pen non è dovuto ad un rigurgito neofascista ma
alla legittima insofferenza di parte dell’elettorato popolare nei confronti dei
pruriti guerrafondai di Macron che ha fatto della guerra contro la Russia il
suo cavallo di battaglia. Anche in questo caso l’assenza di una forza
autenticamente Socialista in grado di coniugare la difesa degli interessi
popolari e delle classi lavoratrici con l’indipendenza e la sovranità nazionale,
ha fatto sì che parte dei ceti popolari si spostasse verso il Rassemblement
National. Anche la France Insoumise di Melenchon ha assunto posizioni sbiadite
e ambigue su un tema troppo importante come quello della guerra e del
coinvolgimento diretto – come ventilato apertamente da Macron – della Francia
nel conflitto in Ucraina, con l’invio di truppe francesi sul campo. Se a tutto
ciò sommiamo la crisi economica e i conflitti sociali (in specie la
controriforma delle pensioni) che hanno attraversato il paese in questi anni,
capiamo le ragioni della grande avanzata del RN. Ora la partita decisiva non
solo per la Francia ma anche per l’UE si giocherà alle prossime elezioni
legislative del 7 luglio. Se Macron e l’establishment europeista riuscirà a
compattare un fronte variegato di forze in grado di superare e contenere il RN,
allora gli equilibri e l’establishment europei, pur seriamente ammaccati, non
dovrebbero subire particolari sussulti. In caso invece di vittoria della Le Pen
gli equilibri europei si modificherebbero necessariamente. E per quanto abbia
già iniziato a stemperare le sue posizioni anche e soprattutto in tema di
politica internazionale (leggi la guerra in Ucraina e la collocazione della
Francia rispetto alla NATO), è evidente che la sua affermazione elettorale e
politica nel paese oggettivamente più importante dell’Unione Europea (la
Francia è una potenza nucleare…) indebolirebbe moltissimo la stessa UE. Quanto
meno la vis e narrazione mediatica stucchevolmente guerrafondaie e antirusse,
con un governo tedesco (l’altro paese più importante dell’Unione) comunque
indebolito dal voto e con una Francia riottosa, subirebbero una forte
decelerazione. E questo sarebbe un fatto indubbiamente positivo. Certo,
resterebbe l’amarezza laddove a determinare l’indebolimento delle politiche
imperialiste e guerrafondaie dell’UE a rimorchio degli USA e della NATO fosse
una forza di destra con venature su alcuni temi apertamente reazionarie, ma
questo è uno dei paradossi della fase storica che stiamo vivendo e non possiamo
farci nulla. Del resto la mutazione genetica sia sociale che politica avvenuta
negli ultimi decenni ha visto e vede la “sinistra”, sia liberale che radicale,
diventare parte integrante e organica del sistema neoliberale e sostenere
apertamente le sue guerre imperialiste. Ascoltare le parole scandalizzate della
segretaria del PD che arriva a chiamare in causa Giacomo Matteotti e lo
squadrismo fascista per commentare la ridicola pantomima avvenuta ieri n
Parlamento, lei che ha appoggiato tutti gli invii di armi e soldi al governo razzista
e nazista ucraino è, per quanto mi riguarda, nauseante.
L’esito delle prossime elezioni legislative francesi sarà, dunque, non dico determinante – perché non credo affatto che la Le Pen si metta apertamente di traverso rispetto agli USA – ma sicuramente potrebbe indebolire sensibilmente se non scompaginare gli attuali equilibri interni all’UE. Per questo credo che in queste settimane, se ho capito qualcosa della politica, “partiranno dei bei treni”, come si suol dire in gergo, per condizionare il voto francese, o, da una parte, per rafforzare la coalizione europeista anti RN rimettendo tutti in riga oppure, sul versante opposto, per ammorbidire la stessa le Pen, per “melonizzarla” (cosa in parte già avvenuta…) e farle capire che se vuole veramente governare non può allargarsi più di tanto. Gli argomenti, a tal fine, possono essere diversi, sia di ordine economico che geopolitico (la posizione della Francia nei vari scacchieri). Si vedrà.
Resta sul piatto una UE priva di una base consensuale di massa a decenni dalla sua fondazione, completamente subalterna agli USA, umiliata politicamente e vessata economicamente (leggi il sabotaggio del gasdotto North Stream 2 che ha messo in ginocchio la Germania facendola entrare in recessione), con i vari stati che la compongono ridotti a satelliti degli Stati Uniti. La retorica europeista è al capolinea. La guerra della NATO in Ucraina le ha dato il colpo forse mortale. Attendiamo gli esiti del voto francese e seguiamo gli sviluppi.
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