Nell’esprimere la nostra più piena e totale solidarietà (di classe, non un “semplice” e pur sincero cordoglio personale e umano) alla famiglia, ai colleghi e agli amici di Luana D’Orazio, la giovanissima operaia di Pistoia, madre di una bambina, vittima di un gravissimo incidente avvenuto nella fabbrica tessile dove lavorava, non possiamo esimerci da una riflessione.
La morte di una donna sul lavoro sta suscitando, giustamente, tanta indignazione, anche e soprattutto tra “vip”, famosi giornalisti e leader politici; fra gli altri ho appena letto i post pieni di sgomento su Facebook di Andrea Scanzi, Enrico Mentana e Giorgia Meloni. Ma ne arriveranno tanti altri, per default, come si suol dire.
A giudicare dalle reazioni di questi signori sembra quasi che la morte sul lavoro sia un fatto occasionale e accidentale. Eppure sono dei giornalisti e dei leader politici, dovrebbero sapere – così come, soprattutto, i dirigenti sindacali – che ogni giorno in questo paese muoiono per incidente sul lavoro circa tre lavoratori, pressochè tutti uomini con rarissime eccezioni come quella, appena avvenuta, della povera Luana.
Perché queste reazioni addolorate e veementi solo in questo caso? Possibile che questa immane tragedia di classe (perché muoiono solo lavoratori, nessuno ha mai visto un banchiere o un notaio morire precipitando dalla sua scrivania…) e di genere maschile (perché muoiono solo uomini pressochè quasi in esclusiva) sia occultata per ciò che riguarda il suo risvolto di genere?
Cos’è che ci lascia indifferenti rispetto alla morte sul lavoro degli uomini? Eppure ci raccontano da tempo immemorabile che l’attuale società (capitalista) sarebbe tutt’uno con la “cultura” e il dominio maschilista e patriarcale.
I conti non mi tornano. Se così fosse – vado a logica – la tragedia dei morti sul lavoro vedrebbe sicuramente un maggior drammatico equilibrio (che, ovviamente, non ci auguriamo affatto) in termini di vittime fra uomini e donne.
La ragione è molto semplice: da che mondo è mondo gli oppressori mandano gli oppressi a morire sul lavoro. Del resto, abbiamo mai visto un proprietario di una piantagione morire di crepacuore (o di frustate) sotto il sole mentre raccoglie il cotone? Abbiamo mai visto un industriale morire schiacciato sotto una pressa al posto di un operaio? Mai, ovviamente.
Non solo. In una società maschilista e patriarcale, la morte di un uomo sul lavoro dovrebbe suscitare tanto e maggior sgomento rispetto a quella di una donna e sarebbe oltre modo mediaticamente enfatizzata.
Sappiamo bene che così non è. Il macabro, drammatico e quotidiano susseguirsi dei morti (maschi) sul lavoro lascia del tutto indifferenti quegli stessi giornalisti, leader politici, sindacali, personaggi dello spettacolo e vip vari che oggi invece fanno a gara per dimostrare il loro dolore per la morte di Luana.
Due pesi e due misure. A questo punto, un paio di ulteriori e inevitabili considerazioni.
La prima. I poveri muoiono sul lavoro al posto dei ricchi (e delle ricche). Questa è una verità socialmente accettata, nonostante tutto, anche se ormai siamo rimasti in pochi, anzi pochissimi, a ribadirla. Del resto, oggi, chi vuol passare per bolscevico?
La seconda. Gli uomini muoiono sul lavoro al posto delle donne (e al posto dei ricchi e delle ricche). Lo dicono i numeri che chiunque può verificare, non me lo sto inventando io. E questo perché la vita degli uomini è considerata di fatto sacrificabile, a differenza di quella delle donne. Oggi come ieri. Sul lavoro, in trincea, in una miniera, in una acciaieria, in una cava di marmo, in un cantiere edile, su un traliccio dell’alta tensione, su un transatlantico che affonda. Questo è vero se è vero che la morte sul lavoro di una donna è considerato un fatto talmente eccezionale da suscitare l’indignazione di tutti, al contrario di quella di un uomo che in tal modo muore due volte; la seconda per indifferenza.
Questa invece, rispetto alla prima, è una verità indicibile. Del resto, oggi, chi vuol passare per maschilista?
Che ciascuno/a rifletta. Resto sempre convinto che la verità è rivoluzionaria, come diceva un tale.
Fonte foto: Il Riformista (da Google)