Lo sciopero delle donne contro gli uomini e degli uomini contro loro stessi.
Anche quest’anno, come ogni anno, ci approssimiamo alla festa dell’8 marzo. Una giornata vissuta ormai più o meno da tutti/e come un rituale scontato, retorico, di cui abbiamo già ampiamente trattato esattamente un anno fa in questo articolo: La farsa dell’8 marzo
Talmente scontato che anche le femministe se ne sono accorte. E allora hanno pensato di dare nuova linfa a questo evento che serve da tempo solo a riempire le tasche dei fiorai, dei ristoratori e dei gestori dei campi di calcetto dove i mariti, approfittando della libera uscita, corrono a giocare mentre le rispettive mogli festeggiano con le amiche (così per lo meno gli raccontano…).
E allora cosa ti hanno fatto? Hanno promosso uno sciopero contro la violenza maschile (e ti pareva…) e le violenze di genere (che significa sempre violenza maschile…), come si evince da questo manifesto:
Insomma uno sciopero delle donne contro gli uomini. Il senso è questo ed è anche esplicitato con molta chiarezza: http://contropiano.org/news/lavoro-conflitto-news/2017/03/03/8-marzo-le-nostre-vite-non-valgono-allora-scioperiamo-089481
L’invito a scioperare, seppur rivolto principalmente alle donne – come spiegano le stesse promotrici – è esteso anche agli uomini. Insomma si chiede a questi ultimi, individuati come controparte, di scioperare contro loro stessi. Con un esempio banale ma forse efficace, è come se il sindacato dei metalmeccanici chiedesse agli industriali di scioperare insieme agli operai per aumentare i salari e ridurre l’orario di lavoro. Una contraddizione in termini. Un assurdo, diciamolo pure.
Ma non per il femminismo che da sempre ha individuato nel genere maschile tout court la sua controparte e che però chiede contestualmente agli uomini di pentirsi dei loro peccati e di aderire all’ideologia femminista che libererebbe non solo le donne ma anche gli uomini, in fondo anch’essi vittime del loro stesso sistema di dominio.
Ora, al di là dell’assurdità e dell’illogicità di tale paradigma, ciò che mi preme fondamentalmente sottolineare è il carattere esplicitamente sessista di una simile iniziativa, in cui la violenza viene attribuita solo ed unicamente al genere maschile. La cosa ancora più grave è il fatto che la quasi totalità delle forze sindacali (con la lodevole esclusione della FIOM che non manchiamo di criticare ma per altre ragioni) e delle organizzazioni politiche della sinistra, comprese quelle dichiaratamente comuniste, abbiano aderito allo “sciopero”. Se abbiano aderito per convinzione o per mera adesione allo “spirito dei tempi” (quindi per opportunismo) poco importa. Mi chiedo però come possa un’organizzazione comunista giustificare l’adesione ad uno “sciopero di genere”, esplicitamente rivolto contro un sesso.
Mi chiedo altresì, a questo punto, perché non fare una battaglia per istituire una Giornata Internazionale dei Caduti sul Lavoro. Sarebbe molto più coerente, specie per i comunisti, dal momento che se è vero che i morti sul lavoro sono da sempre pressochè soltanto uomini, è altrettanto vero che sono e sono sempre stati anche poveri, perché non si è mai visto un banchiere o un divo (o una diva) del cinema finire sotto una pressa o schiacciato da un trattore. Una tragedia, quindi, di genere (maschile) ma anche di classe.
L’istituzione di una simile Giornata non solo renderebbe il giusto e doveroso tributo alle centinaia di milioni di lavoratori caduti sul lavoro nella storia, ma aiuterebbe a riflettere su una tragedia che, come abbiamo detto, ha un doppio risvolto: di classe, perché a crepare sul lavoro sono soltanto i lavoratori, quindi i poveri, e di genere, perché quei lavoratori che da sempre crepano sul lavoro sono quasi esclusivamente maschi (le donne morte sul lavoro oscillano dal 3 al 5% sul totale ma in realtà sono quelle rimaste vittime di incidenti stradali mentre si recano sul posto di lavoro; per la legge vengono considerate cadute sul lavoro e noi non abbiamo nulla in contrario, ovviamente…).
Non solo, ci aiuterebbe a leggere o a rileggere la storia della relazione fra i sessi in modo un pochino più lucido e razionale e un po’ meno ideologico e a capire che forse è il caso di mettersi a tavolino e di rivedere un po’ di cose. Ad esempio a rivisitare criticamente una narrazione, quella femminista, che oggi è stata eretta ad una sorta di Verità Inoppugnabile, Incontrovertibile e Infallibile. Ma noi sappiamo che anche la scienza è fallibile (lo scoprirono Galilei e Bacone ben prima del liberale-liberista Popper…), e che il femminismo non è una scienza bensì una ideologia, cioè una ricostruzione ideologica e quindi parziale della storia, scritta da donne, da esseri umani. Di conseguenza, come tale, soggetta ad essere fallibile, interpretabile, criticabile e confutabile.
Ma oggi questa critica e questa confutazione non è possibile, non è socialmente e politicamente accettata. Chi osa farla, come noi, è sottoposto alla derisione, alla criminalizzazione, all’ostracismo, al pubblico ludibrio, alla scomunica e alla condanna.
In questo modo, nel momento in cui c’è una sola voce a parlare e a stabilire cosa è vero e cosa è falso, ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, la dialettica (e i marxisti – una famiglia molto allargata, checchè ne dicano gli ortodossi, alla quale anche il sottoscritto appartiene – dovrebbero sapere di cosa sto parlando) viene assassinata. Ma senza dialettica, senza polarità in relazione, appunto, dialettica, non c’è crescita di nessun genere. C’è solo la pedissequa e supina adesione a ciò che il solo punto di vista pubblicamente ammesso stabilisce come Verità. Abbiamo già fatto esperienza (il più delle volte tragica) di questo modo di procedere e non mi pare che si sia andati troppo lontani…
I comunisti residui (con rarissime eccezioni) scelgono di tradire o di venir meno alla dialettica, nel momento in cui scelgono di aderire dogmaticamente allo “spirito dei tempi”, a quello stesso spirito dei tempi che essi dovrebbe criticare e combattere. La qual cosa è una contraddizione in termini di proporzioni macroscopiche. Se è vero che la storia la scrivono i vincitori e non i vinti, se è vero, come è vero, che oggi il femminismo mediatico e politico è parte integrante dell’ideologia dominante e nessun altro punto di vista in tema di relazione fra i sessi è socialmente ammesso, i comunisti dovrebbero prenderne atto e aprire una riflessione.
Cosa impedisce di aprire quella riflessione?
Non c’è una sola risposta. Ce ne sono molte che saranno oggetto di un prossimo articolo.