L’asse neoliberista della seconda repubblica è culturalmente trasversale. Chi ancora non ha compreso questo nesso essenziale non credo abbia la possibilità di porre le basi per un intervento politico in controtendenza con la dittatura dei “mercati”.
La svalutazione del lavoro è uno dei paradigmi fondativi del sistema repressivo neoliberale. Difatti l’apparato politico/istituzionale posto a difesa della “mercificazione assoluta” si dota di un elemento repressivo per ciò che concerne i propri postulati economici da far rispettare a qualsiasi costo e di elementi pedagogico/permissivi per spingere l’individuo a rappresentarsi in perenne concorrenza con gli altri e a raccogliere le sollecitazioni del mercato nella ricerca del godimento illimitato, sempre delimitato a un eterno presente.
Il senso della Costituzione economica – rappresentata dai Trattati istitutivi della UE – che ha sostituito quella sociale del ’48 è racchiuso alla perfezione dalle parole del Presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini – di sinistra – il quale vorrebbe che i beneficiari del reddito di cittadinanza si prodigassero nella raccolta agricola in quanto sarà difficile – a causa dell’epidemia – disporre di manodopera extracomunitaria a basso costo.
L’idea che il salario rappresenti una variabile indipendente dal conflitto tra capitale e lavoro e che quindi dipenda esclusivamente dalla tassazione d’impresa è uno di questi paradigmi economici. Per escludere il conflitto, la narrazione neo-liberale sulla mobilità e sulla flessibilità, ha convinto masse di lavoratori a concepirsi come imprenditori di sé stessi e quindi che gli interessi d’impresa e quelli del lavoratore debbano coincidere. Ma questo paradigma ha funzionato tendenzialmente per il lavoro medio-alto. Per asservire anche il lavoro “operaio” alle logiche d’impresa occorreva uno schema repressivo nei confronti delle capacità di resistenza delle organizzazioni sindacali. Lo si è ottenuto con la messa in concorrenza tra lavoratori. Da un lato attraverso le esternalizzazioni e dall’altro con le de-localizzazioni.
Così oggi il lavoro diventa una gentile elargizione del capitale e il salario diventa una variabile al pari della beneficenza. Anzi chi non accetta determinate condizioni di sfruttamento si pone in uno stato di pigrizia parassitaria. Nella mentalità del management totalitario la disoccupazione rappresenta una colpa personale da espiare pubblicamente e quindi chi percepisce il reddito di cittadinanza si cuce addosso lo stigma del debitore. In quanto colpevole dovrà risarcire la produzione che è etica di per sé. Ma questo meccanismo funziona se è presente un esercito industriale di riserva.
Bonaccini non nasconde questo elemento quando fa riferimento al lavoro degli extracomunitari. Al pari degli schiavisti ottocenteschi ritiene utile l’immigrazione per ragioni puramente economiche – altro che umanitarismo. Candidamente ammette che loro servono ad abbassare il livello della lotta di classe. La frase si dota di un razzismo intrinseco poiché dà per scontato che chi viene da fuori sia adatto ad accettare qualsiasi condizione lavorativa senza alcuna capacità di resistenza.
Questi postulati politici sono condivisi oggi sia dalla destra che dalla sinistra. Per questo motivo destra e sinistra saranno sempre unite nel combattere movimenti che immettono nel dibattito questioni definite “novecentesche”. I 5Stelle hanno rappresentato sotto questo punto di vista un’anomalia del Sistema. Non perché si pongano in netta controtendenza rispetto al modello neo-liberale ma solo perché lo spazio da conquistare elettoralmente li ha costretti a occuparsi del basso della società. Tant’è che le misure sociali proposte – come il reddito di cittadinanza – non risolvono la questione centrale che resta quella dell’azione dello Stato in conformità con le libertà positive previste dalla nostra Costituzione, le quali richiedono politiche del lavoro attive e tendenti alla piena occupazione.
Esattamente sotto questo aspetto si possono scorgere le differenze esistenti tra il sovranismo costituzionale e il nazionalismo o con l’altreuropeismo (coloro i quali ritengono che la UE sia riformabile). Il sovranismo non fa riferimento a elementi mitici nel riferirsi o alla superiorità morale di una nazione o a una costruzione immaginifica che non esiste, ma allude a un determinato modello di sviluppo che fu quello del patto socialdemocratico a economia mista delineato dalla Costituzione, al cui interno la lotta di classe era riconosciuta come elemento centrale della società e dove i lavoratori si potevano porre in aperto conflitto con il capitale. Ritiene che questo modello possa concretizzarsi esclusivamente in un luogo in cui il popolo condivida sentimenti solidali e che riconosca di conseguenza la legittimità dello Stato. La forma storicamente determinata dove è stato possibile costruire politicamente questo sentimento è lo stato-nazione.
Ma appunto destra e sinistra oggi rifiutano una ripoliticizzazione della società che consiste nel riconoscimento del conflitto di classe. Per questo al posto del conflitto si riferiscono a generici interessi nascenti dalla società civile che equivalgono sempre agli interessi dei privati. Non è un caso che motore mediatico della campagna elettorale di Bonaccini sia stato il movimento delle Sardine che ha sponsorizzato come etico il comportamento individuale votato all’impoliticità quando si associava la gentilezza e l’educazione al dovere di non pensare.
Fonte foto: Corriere (da Google)