La morte di Pasolini è passaggio costitutivo della mia formazione; in particolare l’orazione funebre tenuta da Alberto Moravia, cui partecipai, a Campo de Fiori. Avevo 16 anni ma la voce rotta dello scrittore, il suo gesticolare sotto la statua di Giordano Bruno e il silenzio cupo della piazza, sono sempre con me. Perdonate l’impressionismo ma non voglio aggiungere un’opinione sulla sua opera e un teorema sul suo omicidio; credo sia utile invece rintracciare i suoi resti le sue “ceneri” -come lui fa sulla tomba di Gramsci nella foto- negli angoli bui di questa città. Poi la vita mi ha riservato di incontrarlo ancora nei luoghi dei suoi “Accattoni”, di abitare e passeggiare tra la periferia est e sud, di intravederlo tra i mali dell’ora lottare e denunciare, allora, solo, disperatamente vivo. Le ceneri di Pasolini cospargono la città, le sue lucide profezie, l’aver visto bene il presente, si sono ora tutte avverate. Pasolini è l’unico ad amare, anche da morto, questa città umiliata e offesa, vissuto tra gli umiliati e gli offesi, unico vivo