Foto: Word in Freedom (da Google)
Ieri pomeriggio verso le 18 sono uscito di casa per andare ad un convegno. La città è completamente intasata dal traffico. E non sto parlando del centro storico ma del quadrante sud-ovest della capitale (Ostiense-Portuense, per chi conosce Roma). Si procede con molta difficoltà anche con lo scooter, non c’è un centimetro che non sia occupato da un’automobile, tanti salgono con il motorino sui marciapiedi per cercare di evitare gli ingorghi, rumore di clacson, gente che litiga, autobus messi di traverso, semafori in tilt, vigili urbani che tentano di mettere ordine al caos.
Un delirio.
Mi ritrovo bloccato a fianco di un “collega”, cioè uno dei tanti che gira per la città in motorino come me (i mezzi pubblici a Roma sono impraticabili a meno di non voler impiegare due o tre ore per uno spostamento che con lo scooter, in condizioni normali, richiede 15 minuti), ci guardiamo, scuotiamo entrambi la testa e lui a un certo momento mi dice con fare sconsolato:” E’ il bordello prenatalizio, la gente che esce per fare le compere, il consumismo, e poi ci lamentiamo di come siamo combinati”.
Naturalmente concordo con lui e subito dopo quel breve scambio di battute si apre miracolosamente un varco nel traffico e riusciamo a sgattaiolare (per poi fermarci pochi metri più avanti…).
La riflessione mi è sorta spontanea. Perché scegliamo di partecipare a queste orge collettive, a questi rituali scontati che si ripetono anno dopo anno? Qualcuno ci obbliga, forse?
La risposta è no, nessuno ci obbliga, e quindi siamo noi stessi che ci prestiamo volontariamente a queste liturgie. Siamo noi stessi che creiamo e alimentiamo quel potere (a volte manifesto, altre occulto, altre ancora sottile, quasi invisibile) che ci opprime e di cui verrebbe da pensare che abbiamo quasi bisogno.
Aveva dunque ragione Etienne de La Boetie, quel giovanissimo e ai più sconosciuto filosofo francese, amico del grande umanista Michel de Montaigne, che verso la metà del 1500 scrisse il suo celebre pamphlet – poco noto e recentemente riscoperto – dal titolo “Discorso della servitù volontaria”. ( https://www.linterferenza.info/contributi/leterno-ritorno-della-servitu-volontaria/ )
Il “potere” esiste, in tutte le sue più svariate forme, perché purtroppo è parte di noi, e siamo sempre noi che in qualche misura lo creiamo e scegliamo di servirlo, di sottometterci. E’ un meccanismo complesso e perverso dal quale non ci siamo mai liberati.
Il paradosso è che questa riflessione mi è venuta alla mente mentre mi stavo recando ad un convegno organizzato da una fondazione culturale di area socialista in occasione del centenario della Rivoluzione russa. Non poteva esserci contrasto più forte tra quell’incontro a cui hanno partecipato non più di una ventina di persone e l’orgia consumistica che si stava contestualmente consumando all’esterno di quella sala.
Intendiamoci, per sfuggire al Matrix non c’è bisogno di partecipare a convegni serissimi, siano essi filosofici o politici, è sufficiente farsi una passeggiata in un parco, da soli o con un amico, andare a giocare a calcetto, vedere un bel film oppure ascoltare della buona musica.
Perché non lo facciamo? Perché ci sottoponiamo volontariamente a ciò che ci viene chiesto (ma non imposto con la forza) di fare?
La risposta o le risposte potrebbero essere inquietanti.