Chi l’avrebbe mai detto che saremmo usciti dalla crisi pandemica “grazie” alla guerra? Del resto, come dicevano i latini, “ubi maior, minor cessat”.
La guerra imperialista preventiva e permanente degli USA e della NATO con UE scodinzolante al guinzaglio (stile bondage, per capirci…) attraversa oggi una fase topica, vista la reazione ampiamente prevedibile (e forse anche auspicata dagli strateghi di Washington…) della Russia al processo di destabilizzazione in atto da una decina di anni in quello che è obiettivamente il suo cortile di casa. Del resto, un colpo di stato attuato da forze neonaziste che hanno consegnato (come da accordi) l’Ucraina agli USA difficilmente avrebbe potuto sortire effetti diversi. Ed è noto che la corda, a forza di tirarla, prima o poi inevitabilmente si spezza.
Per questo c’è bisogno della massima concentrazione mediatica. Tutte le attenzioni devono essere dedicate al nuovo (si fa per dire perché in realtà ha radici antiche) mostro, non più il virus invisibile ma la visibilissima e cattivissima Russia, da sempre l’incubo del mondo occidentale. Sì, perché la Russia incarna da sempre nell’immaginario occidentale il Male per eccellenza. In generale tutto ciò che è estraneo alla cultura occidentale è stato e continua ad essere considerato Male ma la Russia è in cima alla lista per diverse ragioni che affronterò in un articolo ad hoc.
La narrazione terroristica dal punto di vista psicologico sulla pandemia si sposta quindi sulla Russia e contro la Russia. I dati attuali ci dicono che il numero dei deceduti e dei ricoverati per il covid è più o meno lo stesso dei mesi precedenti quando l’orchestra mediatica ripeteva ritmicamente e ossessivamente H24 la stessa lugubre nota, ma questo è del tutto ininfluente per le logiche che muovono il sistema mediatico.
Ora lo spartito è cambiato ma la nota è sempre la stessa, ed è la paura. Fino a quindici giorni fa di un nemico invisibile e ora di uno visibile, aggressivo, minaccioso e fondamentalmente barbaro, sia nel senso proprio del termine (lo straniero) sia, soprattutto, in quello che la consuetudine e la vulgata da sempre gli attribuiscono, cioè incivile, selvaggio, violento e brutale per definizione.
Il paese che ha dato i natali a Tolstoj, Lenin, Dostoevskij, Puskin, Sacharov, Gagarin, Gorkij, Gogol, Tarkovskij e tantissimi altri che hanno contribuito a rendere più vivibile e anche più saggio questo mondo grazie alla loro opera e al loro lavoro, deve essere precipitato nell’abisso del male. E non ci si venga a raccontare che il problema è un solo uomo e una volta fatto fuori quello torniamo a volergli bene come prima, perché non gliene abbiamo mai voluto. Sicuramente meno di quanto non ne abbiano voluto i russi nei nostri confronti, se non altro perché costretti, obtorto collo, a salvare anche noi per poter salvare loro stessi. E non credo ci sia necessità di spiegare a cosa mi riferisco.
La paura è il filo conduttore che lega la narrazione sul covid a quella sulla Russia. In quello che viene considerato il regno della laicità e dei lumi per eccellenza, cioè il mondo occidentale, la costruzione del consenso (e il controllo delle masse) avviene attraverso l’uso lucido e spregiudicato del più antico e viscerale dei sentimenti: la paura. Tutto ciò, indipendentemente dalla fondatezza o meno delle ragioni che potrebbero o dovrebbero ingenerare quella stessa paura. La quale viene scientemente alimentata invece che disinnescata attraverso un approccio realmente laico e razionale ai fatti. Ma sono proprio questi che devono essere occultati, rimossi o tutt’al più modificati.
Siamo nel terzo millennio, in quella che viene considerata la parte più evoluta e migliore del pianeta, ma siamo ancora governati con la paura che ci viene lucidamente instillata.
Fonte foto: The Moscow Times (da Google)