La sconfitta della tentata controriforma governista della Costituzione risulta essere uno sguardo intenso sull’evoluzione della crisi sistemica nella quale viviamo.
Il ragionamento renziano, ispirato alla cultura della governabilità che si afferma in Italia con Craxi ed ha in Blair la massima espressione, era: più potere al governo e meno ai lacci e laccioli del parlamento. Chiaro il conflitto con lo spirito parlamentarista dei costituenti ma soprattutto falsa la rivoluzione copernicana delle responsabilità del “non fare”. Non è vero che l’esecutivo non abbia potere, tant’è che il parlamento è oppresso dalla decretazione e la pubblica Amministrazione, organizzata, di fatto, da circolari e decreti attuativi. L’impotenza dei governi risiede altrove, non nell’ostruzionismo del basso, nei veti dei rappresentanti, ma dall’iperattivismo dell’alto, delle elite economiche transnazionali.
Dal 1989/91 la democrazia è ridotta a retorica, cioè a discorsi per distrarre il popolo dalla sua condizione. La politica dunque non è più ispirata al principio universalista di organizzazione della società ma impartisce disposizioni per difendere interessi ristretti. Il margine di credibilità del falso è legato alla quantità di briciole salariali elargite più la credibilità dello spettacolo elettorale. Nel breve volgere di pochi mesi molti episodi, da Tsipras in Grecia alle amministrative di primavera, alla Brexit e ora al No referendario, lasciano intravedere la rottura dell’equilibrio tra sfera sociale, abbandonata alla sopravvivenza ferina, e l’auroreferenziale gioco politico come liturgia mediatica.Ora succede che I suoi sacerdoti – molti hanno colto la profonda affinità tra l’azzardo di Cameron e quello di Renzi – appena si affacciano alla finestra del palazzo vengono sepolti dai pomodori. D’altra parte i tentativi di ridare centralità alla decisione politica appaiono poco credibili e paradossali essendo nelle mani bucate di agenti del liberismo, cioè di chi vuole poco centro, pochi controlli, poco Stato. Il problema irresolubile che si va prospettando alle élites politiche dominanti, e che la riforma renziana è stata farsesca sintesi e simbolo, è come introdurre forme sempre più dirette di autoritarismo senza farsene accorgere e senza prebende salariali.
Di fatto è oramai in corso una secessione del popolo e una endemica rivolta. In crisi i corpi intermedi come i sindacati, la società pare autonomizzarsi e il potere sacralizzarsi, una situazione di frattura simile a quella medievale ma perdurando e anzi assolutizzandosi la pervasiva necessità del Capitale di tenere tutti dentro il proprio imperio. Alla rivolta manca certo direzione, intanto però i tentativi sempre più convulsi di “tecnicizzare” i governi, a partire dal golpe Monti, ribaltano per negazione, sul popolo la difesa della politica, interessato com’è a difendere spazi per pratiche collettive di difesa di interessi, che un tempo si sarebbero detti di classe. Una preliminare e forse ancor primitiva pedagogia del conflitto e della sua rappresentanza.