Da tempo ritengo che la crisi pandemica iniziata
cinque anni orsono – o, per essere precisi, la sua gestione da parte dei
governi sedicenti “democratici” – abbia rappresentato non tanto una soluzione
di continuità con il passato prossimo quanto piuttosto un disvelamento, la fine
di una narrazione che di veridico aveva poco o nulla.
La bolsa retorica dei diritti e delle libertà
individuali cedette allora il passo a toni ultimativi, autoritari che non ammettevano
repliche né obiezioni: si trattò di un esperimento riuscito di
irreggimentazione delle masse volto a verificarne la docilità e le eventuali
reazioni, che furono alquanto fiacche. Già ammaliato dal canto delle sirene
pubblicitarie, il cittadino occidentale si rivelò, alla prova dei fatti,
facilmente suggestionabile e, nonostante le pose qualunquiste, “umile e grato
ai potenti”. L’appoggio incondizionato offerto dai media generalisti ai
governanti agevolò l’opera di convincimento: lo stesso schema è stato poi
applicato al conflitto russo-ucraino, fatto spudoratamente passare per una
“aggressione non provocata”. L’elemento di novità è costituito dalla pervicace
costanza con cui una certa tipologia di messaggi (psyops) viene oggi
diffusa urbi et orbi: ai tempi dell’assalto alla Grecia, nel 2014,
l’azione di screditamento del gruppo obiettivo fu condotta con perizia e
sistematicità assai minori – accumulando esperienze il sistema affina le
proprie armi. Il rischio messo in conto è quello di rivelare a non pochi
osservatori la sua vera natura oligarchica: il gioco vale però la candela,
visto che una larga fetta dell’opinione pubblica si dimostra permeabile alla
propaganda e di conseguenza propensa all’arruolamento (ideologico, per il
momento), parecchi preferiscono volgere lo sguardo altrove per non dover
rinunciare a sedimentate illusioni, altri ancora non ardiscono opporsi con
decisione e si limitano a bofonchiare improperi.
Per salvare un minimo di apparenze nell’era
postdemocratica i regimi “compensano” la revoca di quelli sociali con una
spruzzata di diritti civili e moralismo manicheo, ma attenzione: anche
nell’ambito della categoria di moda oggigiorno è necessario distinguere fra
prodotti originali e contraffatti. Possiamo considerare diritti autentici quelli
al divorzio e all’aborto, soluzioni dolorose a gravi ed effettivi problemi: la
loro introduzione risale all’ultima fase del “trentennio glorioso”,
caratterizzata in Italia anche dalla riforma del diritto di famiglia (1975),
che sancì finalmente l’eguaglianza dei coniugi, e dall’abrogazione in ambito
penale di norme sessiste, discriminatorie e aberranti come il delitto d’onore
(1981). Queste importanti e lodevoli iniziative, si noti, procedettero di pari
passo con provvedimenti di politica sociale tesi a migliorare le condizioni di
vita dei ceti subalterni e ad attuare il principio di uguaglianza sostanziale
enunciato dal secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione repubblicana:
pensiamo all’istituzione (1978) del Servizio sanitario nazionale, che garantiva
a tutti i cittadini (l’imperfetto è d’obbligo…) cure mediche adeguate e
gratuite.
Le promesse e le concessioni del XXI secolo sono invece paccottiglia, merce scadente e talora dannosa: il DDL Zan, per fortuna accantonato, enuncia concetti scivolosi, quali l’inafferrabile identità di genere, cioè “l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere” che, essendo cangiante, può aprire la strada all’insorgere di disturbi dissociativi della personalità; di matrice genuinamente neoliberista è la c.d. gestazione per altri, meglio nota come “utero in affitto”, che, contravvenendo al principio per cui l’essere umano non può essere oggetto di diritti, mercifica il corpo femminile trasformando donne bisognose in incubatrici a disposizione – dietro modesto compenso – di famiglie e individui benestanti. La riduzione di bimbi non ancora nati a res in commercio, sarebbe per il Capitale, perennemente alla ricerca di nuovi mercati, un’apprezzabile conquista, e poco importa delle possibili ripercussioni psicologiche sull’oggetto di compravendita: business is business! Anche cause a mio avviso giuste come quella dell’estensione della tutela giuridica alle coppie omosessuali vengono strumentalizzate per finalità “addestrative”: anziché una sostanziale equiparazione si esige, con gratuita provocazione, il nomen iuris di matrimonio, cioè dell’unione fra un uomo e una donna a scopo di procreazione. Si cerca, in generale, di condannare e liberarsi di una tradizione che ha aspetti sia positivi che negativi al fine di privare l’uomo di riconoscibili punti di riferimento, siano essi l’appartenenza comunitaria o l’identità personale, che sempre più deve assomigliare a uno specchio infranto. Viene incentivata persino la fuga dal genere homo: bimbi disturbati o semplicemente immaturi e troppo fantasiosi sono invogliati a proclamarsi cani o gatti e a pretendere di essere trattati come tali da una società insofferente al pensiero critico, ma non alle stravaganze.
Malgrado l’apparenza non assistiamo però ad alcun
effettivo progresso in tema di diritti civili, che si stanno invece riducendo.
L’esperienza del Covid 19 ci ha insegnato che ai governi basta invocare un
preteso “stato di necessità” per comprimere le libertà fondamentali sancite
dalla Costituzione: quelle di circolazione (art. 16) e di riunione (art. 17)
sono rimaste sospese a lungo, mentre trattamenti sanitari obbligatori sono
stati imposti indirettamente, in spregio alla previsione dell’articolo
32 che richiede una “disposizione di legge” (formale). Quanto alla libertà di
espressione (art. 21), essa è garantita solamente a coloro che rilanciano le
“verità” ufficiali: chiunque contestasse la versione mainstream incorreva all’epoca
del Covid nell’accusa di essere no vax (e dunque nell’esclusione
sociale), oggi in quella non meno infamante di “putinismo”. Proprio la
copertura politico-mediatica della guerra nell’est Europa, provocata e
alimentata dalla NATO (veritas se ipsadefendet!), ha evidenziato come il
buonismo e l’antirazzismo delle élite occidentali siano fasulli: il livore
vomitato da politicanti e maître à penser sul popolo russo (defunti
compresi…) certifica il suprematismo di un’oligarchia che guarda al resto
dell’umanità – noi compresi – con malcelato disprezzo.
In un tale contesto continuare a parlare di democrazia
è ridicolo e fuorviante. Benché la hybris occidentale rappresenti al giorno
d’oggi la principale minaccia per il futuro del genere umano, questo nostro
microcosmo ha in sé le potenzialità per invertire il corso della Storia. Di
tutte le civiltà quella eurocentrica è senz’altro la più dinamica e capace di
autocorrezione: se è vero – come scrissi a suo tempo – che l’uomo bianco
volentieri “sbandiera tradizioni culturali e progresso scientifico come prove
indiscusse della propria superiorità su “razze” votate all’immobilismo, e
pertanto inferiori” è altrettanto indubbio che, in quanto eredi della grecità,
noi europei siamo inclini a mettere continuamente in discussione le nostre
convinzioni e il nostro agire e, ove ci paia necessario, a sconfessarli. Tesi –
antitesi – sintesi: qui sono nati il capitalismo rapace e la sua negazione più
radicale.
Tocca rammentare l’insegnamento di J. G. Fichte, che
affida all’io empirico/individuale un compito gravoso ma esaltante, quello di
superare con un inesausto sforzo di volontà gli ostacoli disseminati sul nostro
cammino dalla realtà “esterna” al fine di accedere progressivamente a una
dimensione collettiva e sociale.
Come tutte le crisi anche quella attuale – gravissima – offre delle opportunità da cogliere.