Le lacrime del presidente della Conferenza sulla sicurezza di
Monaco Christoph Heusgen nel suo discorso conclusivo segnano plasticamente il
trauma del disincanto, il risveglio delle classi dirigenti europee che si
trovano di fronte al redde rationem, al conto salato della realtà che non
corrisponde ai desideri evocati, narrati e imposti alle popolazioni del
continente. Siamo di fronte a un cambio di paradigma, a una frattura insanabile
della storica alleanza atlantica oppure il dominus imperiale americano vuole
imporre la sua linea con le maniere più rudi e meno ipocrite del precedente Presidente?
La partita è aperta e certo sarebbe prematuro arrivare a delle conclusioni, in
un quadro internazionale così agitato e con varie faglie aperte in giro per il
mondo. Una cosa è certificata: il
livello miserabile delle elitès europee, la completa sconnessione dalla realtà
fattuale e dai sentimenti della grande maggioranza delle proprie opinioni
pubbliche. Dopo l’intervento del vice Presidente USA J.D.Vance, che in
sostanza ha detto la cosa più importante: in
città c’è un nuovo sceriffo, il piccolo Napoleone Macron ha messo su in
emergenza un tavolo che aveva la presunzione di mostrare i muscoli ma che nel
giro di un paio di ore ha mostrato quanto l’UE fosse solo un oleogramma. Non va
chiaramente minimizzata la portata della divisione che si sta consumando nel
rapporto di fedeltà-subalternità del patto transatlantico. Non c’è dubbio che
dalla fine della seconda guerra mondiale lo sceriffo americano e gli alleati
europei non hanno mai conosciuto una tale divaricazione degli interessi, non
certo dei valori condivisi. I valori condivisi sono sempre gli stessi:la supremazia coloniale della civiltà
occidentale sul resto del mondo, l’assoluta fedeltà all’apartheid genocidiario
dello Stato sionista di Israele, l’ostilità ontologica contro gli Stati “autocrati
o canaglia”.
L’amministrazione Trump indubbiamente sulla questione ucraina
sembra volere sparigliare le carte ed entra con l’irruenza del cowboy negli equilibri
dell’UE per promuovere una sostituzione delle classi dirigenti di alcuni paesi
strategici della burocratica Europa, far pagare ai tedeschi e agli italiani il
conto del gigantesco disavanzo commerciale USA, caricando le spese militari
della Nato agli europei e assicurandosi le risorse preziose del fallito paese
ucraino. L’opera del trumpismo, se riesce, è un capolavoro di realismo
pragmatico, in cui si applica con meno ipocrisia l’essenza della relazione di
alleanza che ci lega dal 1945 agli Stati Uniti d’America. Un paese occupante
che a seconda delle fasi applica la legge del dominus.
Ora la tecnocratica e burocratica Europa della Von derLeyen, Draghi, Kallas è in grado di esprimere in tempi non biblici un progetto alternativo e quindi oppositivo al dominus americano? Se ci dobbiamo affidare all’esperienza di questi decenni possiamo dire tranquillamente di no, estremamente improbabile. Non vanno comunque sottovalutate alcune controtendenze che si agitano: una fra tutte l’Inghilterra che oggi si trova per la prima volta disallineata al patto di acciaio che la lega storicamente all’aquila americana. In questo paese c’è un partito unico nemico acerrimo della Russia, laburisti, conservatori e liberali che dir si voglia. L’Inghilterra ha investito veramente tanto negli ultimi dieci anni in Ucraina e nell’est Europa, la sua aspirazione ad avere un ruolo nel Mar Nero è molto forte. Ma il partito della guerra contro la Russia è ancora molto forte tra le elites europee, non certo e solo perché devono tenere il punto dopo tanta propaganda sulla vittoria ucraina, senza perdere la faccia nel sostegno allo scaduto e avariato Zelensky, ma perché il conto più salato, nel caso della fine della guerra, lo pagherà l’Europa e quindi naturalmente le classi popolari del continente. Il partito della guerra è bipartisan in molti paesi europei con poche eccezioni, paradossalmente anche di destra nazionalista; la sinistra progressista e alternativa, con l’eccezione della BSD della WagenKnecht in Germania e in Italia Il M5S in forma molto blanda, è la più schierata con il partito della guerra, anzi essa ne è parte essenziale. I processi di transizione e di cambiamento sono in accelerazione, questo è il primo fatto con cui dobbiamo fare i conti. La seconda cosa da registrare è che comunque andrà i popoli europei subiranno ripercussioni negative, anche devastanti sul piano economico e sociale, in termini di ricaduta sul residuale Welfare sociale, regimi salariali, protezioni sociali assistenziali e i livelli della tenuta sociale saranno sottoposti ad ulteriori stress. Forse è arrivato il momento senza aspettare ulteriormente, che si costituisca in questo paese un fronte di emergenza popolare, un comitato promotore di una mobilitazione contro il partito della guerra, della crisi sociale, che si muova per mandare a casa questa classe politica miserabile e incapace di difendere gli interessi dei popoli europei. Cosa dobbiamo ancora aspettare per iniziare a muoverci, pensiamo che qualcuno dall’alto dalle “alte” sfere farà gli interessi delle classi popolari? Si deve partire da un comitato per un fronte unico popolare che chiami alla mobilitazione, senza piccole gelosie e ragionamenti da bottega.
Se qualcuno c’è batta un colpo!