«Perché è arrivato il giorno in cui saranno distrutti tutti i Filistei e saranno abbattute Tiro e Sidone con quanti sono rimasti ad aiutarle; il Signore infatti distrugge i Filistei, il resto dell’isola di Caftor. Fino a Gaza si sono rasati per lutto» (Ger 47,4-5); «Così dice il Signore:”Per tre misfatti di Gaza e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna, perché hanno deportato popolazioni intere per consegnarle a Edom. Manderò il fuoco alle mura di Gaza e divorerà i suoi palazzi, sterminerò chi siede sul trono di Asdod e chi detiene lo scettro di Àscalon; rivolgerò la mia mano contro Ekron e così perirà il resto dei Filistei», dice il Signore” (Am 1,6-8); «Guai agli abitanti della costa del mare, alla nazione dei Cretei! La parola del Signore è contro di te, Canaan, paese dei Filistei:”Io ti distruggerò privandoti di ogni abitante”» (Sof 2,5). Dulcis in fundo ecco Giosuè 6,20-21, che rievoca la distruzione di Gerico: «Il popolo lanciò il grido di guerra e suonarono le trombe. Come il popolo udì il suono della tromba e lanciò un grande grido di guerra, le mura della città crollarono su se stesse; il popolo salì verso la città, ciascuno diritto davanti a sé, e si impadronirono della città. Votarono allo sterminio tutto quanto c’era in città: uomini e donne, giovani e vecchi, buoi, pecore e asini, tutto passarono a fil di spada». Nota esplicativa: gli israeliti sono invasori provenienti dall’Egitto che muovono guerra (senza quartiere) a popolazioni da secoli insediate nella regione, giovandosi del sostegno di Jahvè.
Questi pochi versetti esemplificativi – tratti dalla Bibbia nella traduzione CEI 2008 e dal contenuto piuttosto “forte” – e altri consimili di rado vengono recitati a messa ma, oltre a suonare sinistramente attuali, ci rammentano che, al pari degli antichi poemi epici non soltanto occidentali, la narrazione biblica inframmezza asquarci di altissima poesia e gesta magnanime a compiaciute descrizioni di atroci massacri e ingiustizie. La sua unicità risiede tuttavia nel fatto che, mentre nessun greco moderno fonderebbe sull’Iliade la pretesa dei propri connazionali al dominio dell’Anatolia, l’Antico Testamento è ancor oggi considerato da tantissimi ebrei e cristiani “parola divina” – e dunque titolo imperituramente valido: la promessa di un Dio volubile e sanguinario al Suo popolo fa premio sui diritti acquisiti nel tempo dalle altre genti. Poco importa che la presa di Gerico a opera degli israeliti sia messa in dubbio da autorevoli studiosi o che di templi e palazzi edificati da re Davide non sia stata trovata traccia: l’epos è spesso utilizzato dalle classi dirigenti per forgiare un’identità nazionale e “giustificare” prevaricazioni e imprese scellerate (si pensi alla strumentale esaltazione di una romanità riveduta e corretta durante il ventennio fascista). Ribadisco quanto già affermato in precedenti scritti: per inquadrare gli avvenimenti odierni occorre tenere presenti le loro premesse storico-culturali (possibilmente senza banalizzarle: chi oggi nega il diritto dei palestinesi all’indipendenza argomentando che “uno stato palestinese non è mai esistito” disconosce il carattere progressivo della Storia e artatamente confonde lo ius naturale con il perpetuarsi di status quo sovente iniqui e – soprattutto –determinati da contingenze, quindi mutevoli nel tempo: a questa stregua la nascita nel medioevo di quasi tutte le nazioni europee sarebbe il frutto di un’usurpazione, e l’aspirazione dei curdi ad un proprio ordinamento statale risulterebbe infondata).
Così come i media, i social networks sono un immondezzaio di paccottiglia ideologica, ma peggiori delle semplificazioni sono le falsificazioni, opera di chi – in questo caso – fa risalire la crisi in atto all’attacco effettuato da Hamas il 7 ottobre scorso. Benché lo svolgimento di un rave party a poca distanza da un confine conteso assomigli a una provocazione e stiano emergendo (ma andranno confermate) gravi responsabilità dell’esercito israeliano nella mattanza, risulta impossibile legittimare l’assassinio a sangue freddo di civili inermi da parte dei guerriglieri; altrettanto inaccettabile è però il punto di vista di chi astrae quell’azione dal contesto in cui si è verificata e la riduce a un atto di barbarie gratuita. Hamas può non piacerci – e non ci piace – ma la sua condotta non si discosta nella sostanza da quella attuata, in un passato prossimo e remoto, da altri movimenti di liberazione nazionale in lotta con preponderanti oppressori: come indirettamente ci ricorda l’ONU le leggi della cavalleria vincolano anzitutto i più forti, che nello specifico caso mai si sono attenuti ad esse. Nei nostri giornali radio i miliziani palestinesi sono invariabilmente definiti “terroristi”, ma la medesima etichetta andrebbe applicata a un governo che bombarda cittadini indifesi, a masnade di coloni fanatizzati che sparano sui loro “vicini di casa”, a soldati assassini che mitragliano adolescenti armati di pietre (nonché agli ispiratori di tutti costoro, i bombaroli dell’Irgun tosto promossi a premier e ministri). Il paragone però non viene fatto, perché Israele è intoccabile e chiunque si azzardi a rimproverarlo viene bollato come “antisemita” (anche i palestinesi sono semiti, ma evidentemente di una serie inferiore). Per ironia della sorte i rivoltosi targati Hamas sembrano una replica degli zeloti di una ventina di secoli fa, che l’odierno Israele comprensibilmente esalta: patrioti ostili alla dominazione romana (peraltro assai meno ferrea di quella esercitata oggidì sui territori palestinesi) che, come ci ricorda lo storico Barry Strauss nel saggio del 2019 Imperatori – I 10 uomini che hanno fatto grande Roma, “si prepararono accuratamente (alla rivolta antiromana del 132 d.C.) fabbricando armi e utilizzando le grotte sia come fortezze sia come rifugi” sotto la guida di Simon Bar Kokheba, il Figlio della Stella sedicente Messia.
Altri si soffermeranno sui più recenti antefatti dell’ennesima guerra asimmetrica fra israeliani e palestinesi; a me preme sottolineare che l’atteggiamento del governo di Tel Aviv e di una parte non minoritaria della popolazione del Paese sembra ricalcare quello dei – presunti – antenati di tre millenni fa: le minacciose parole del tristo Netanyahu, di alcuni suoi ministri e di non pochi concittadini riecheggiano quelle pronunciate da Giosuè e dal suo Dio spietato, che preannunciano morte e desolazione a tutti gli avversari “votati allo sterminio” del popolo autoproclamatosi eletto. Il premier d’Israele si esprime come un condottiero biblico, persuaso di avere l’Onnipotente al suo fianco: un tanto non può non inquietare chi legge che «Poi Giosuè, e con lui tutto Israele, passò da Lachis ad Eglon, si accamparono contro di essa e le mossero guerra. In quel giorno la presero e la passarono a fil di spada e votarono allo sterminio, in quel giorno, ogni essere vivente che era in essa, come aveva fatto a Lachis» (Gs 10,34-37). Chiediamoci: è solamente una posa? I fatti e la progressiva radicalizzazione dell’élite israeliana cui abbiamo assistito nell’ultimo mezzo secolo attestano il contrario, ma nell’Occidente che si professa “libero e democratico” muovere critiche allo stato ebraico è severamente proibito: si incorre – mi ripeto – nella squalificante accusa di antisemitismo, che il compianto (si fa per dire…) Presidente Napolitano rivolgeva a chiunque contestasse il sionismo storico. La salvezza eterna e la “canaglieria”sono un a priori del tutto indipendente dalle opere, visto che a contare è solo la “fede”… nella Santissima Trinità, in Adonaio nella mammona occidentale.
Invero questa equiparazione fra Israele (rectius: i suoi governanti e i loro sostenitori) e il variegato e affascinante mondo ebraico, fucina inesauribile di talenti, è offensiva in primo luogo per moltissimi ebrei che, pur senza rinnegare origini e tradizioni di cui vanno giustamente fieri, sdegnano di avallare politiche “suprematiste” e di accodarsi a coloro che, come l’ambasciatore israeliano all’ONU, invocano capziosamente la Shoah per legittimare i misfatti di una classe dirigente indegna: personaggi notissimi come Moni Ovadia e altri meno conosciuti, ma egualmente coraggiosi e determinati (penso al triestino Giorgio Stern), si battono da anni in difesa della causa palestinese. Pure dall’interno delle comunità stanziate in Italia si levano voci favorevoli ad appiccare “il fuoco alle mura di Gaza” e alla distruzione dei suoi palazzi, ma se esse sovrastano innumerevoli altre è perché il nostro notabilato e i suoi accoliti hanno deciso da un pezzo che è conveniente schierarsi con Israele e con gli USA, qualsiasi cosa accada. Conseguenze di questo atteggiamento… filisteo sono la condanna automatica di qualsivoglia protesta individuale o popolare contro le sopraffazioni israeliane e la disumanizzazione dei resistenti in Terrasanta, che Tsahal neppure uccide, ma semplicemente “neutralizza”.Nella versione propagandata dai media mainstream, che enfatizza le responsabilità di una parte azzerando quelle dell’altra, i guerriglieri palestinesi odiano gli israeliani in quanto ebrei, mentre è vero semmai il contrario: razzismo, antisemitismo e pogrom sono specialità europee, ma se la Storia – o la sua caricatura – ricomincia appena il 7 ottobre 2023, dopo essere finita con la caduta dell’URSS, nulla osta a un disinvolto rimescolamento delle carte.
Forte del sostegno incondizionato del dio vivente a stelle e strisce, che, come l’inquilino della Casa Bianca, perde colpi ma non rinuncia a dissestare il mondo, il gabinetto Netanyahu architetta una soluzione “biblica” al problema palestinese con la connivenza delle cancellerie europee, meschinamente sottomesse agli interessi di Washington e Tel Aviv. La palma del servilismo spetta al tedesco Scholz, che dopo aver plaudito alla distruzione per mano “amica” di un gasdotto strategico per l’economia nazionale si inchina bocconi anche al cospetto degli israeliani, ma i sovranisti immaginari di casa nostra sgomitano per non essere da meno. Non ne siamo sorpresi: Giorgia Meloni ricopia le politiche del predecessore condendole con un sovrappiù di zelo, consapevole che, a differenza del supermanager Draghi, lei nella corporation Occidente può aspirare al massimo a un posto di capoufficio; quanto all’informazione mainstream, le esperienze del Covid e del conflitto russo-ucraino hanno certificato che essa è pura e semplice propaganda di regime, fra l’altro piuttosto rozza. L’ultima perla dei nostri media è la riesumazione del patriarcato cui, per finalità ideologiche (seminare discordia tra sudditi maschi e femmine), viene addossata la responsabilità di feroci delitti commessi da psicopatici, disadattati e ragazzini viziati… non invece di quelli che ne sono genuina manifestazione, come l’assassinio di Saman Abbas pianificato per motivi abbietti dalla sua famiglia pakistana. Che scribacchini miopi, presbiti e soprattutto allineati mettano in discussione il sistema di potere che dà loro da vivere è assolutamente impensabile…
«Se si tratta di forza, è lui il potente; se di giustizia, chi potrà citarlo in giudizio?» si interroga Giobbe (Gb 9,19), e noi mestamente con lui.
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