Non varrebbe neanche la pena spendere una parola per parlare della scissione di Di Maio dal M5S, se non fosse per la gravità della fase politica (guerra e crisi economica) e per il fatto che la suddetta scissione è stata promossa e organizzata ad hoc da chi fa questo genere di “lavoro” (sporco) per conto dell’establishment politico.
Di Maio è semplicemente un miracolato dalla vita, un personaggetto di infimo ordine, un furbetto opportunistello privo di ogni spessore e consistenza politica e culturale che si è ritrovato – non sa neanche lui come e perchè, è probabile che lui stesso pensi di vivere in una realtà onirica – a svolgere un ruolo che non avrebbe mai immaginato di ricoprire se soltanto glielo avessero detto prima.
Che vogliamo farci, la vita è a volte qualcosa di imperscrutabile e apparentemente incomprensibile e comporta anche eventi di questo genere, e cioè che un microbo come Di Maio possa diventare ministro della Repubblica più e più volte. Hegel ci direbbe che anche fatterelli e personaggetti insignificanti come questi sono strumenti dell’ “astuzia della Ragione”, cioè dello Spirito, che se ne serve per la sua autorealizzazione.
Io che non sono hegeliano penso invece che il Giggino nazionale sia la perfetta e più coerente espressione di un contesto storico e di una politica con la p meno che minuscola che non può che produrre simili aborti. Io mi vergognerei anche solo a mandare in giro per il mondo a rappresentare un paese un catorcetto del genere che non sa neanche se il Venezuela o la Colombia si trovano in America Latina o in Asia, perché questo è il livello. Ma tant’è.
La domanda vera – ma la risposta è già contenuta nella precedente affermazione – è come sia possibile che un individuo del genere possa diventare ministro degli esteri e ora anche leader di una neonata forza politica, sia pur eterodiretta. Conosco personalmente nella mia sfera di amicizie e relazioni personali, decine e decine di persone che hanno qualità intellettuali, politiche, culturali e un patrimonio di conoscenze infinitamente superiore alle sue e che però sono rimaste delle illustri sconosciute. Ed è proprio questo che ci deve far riflettere. Un contesto e una classe politica che consentono ad un soggetto come Di Maio di diventare quello che è diventato dimostrano quale sia il loro livello. E non c’entra nulla, sia chiaro, il fatto che prima di diventare deputato e ministro Di Maio facesse il “bibitaro” allo stadio; questi sono discorsi qualunquisti e antipolitici, speculari al personaggio in questione. Giuseppe Di Vittorio, solo per fare un esempio, era un bracciante inizialmente semianalfabeta che in virtù di una grande esperienza politica e umana e di una altrettanto grande scuola politica nella quale si formò divenne un grande dirigente del Movimento Operaio italiano.
Di Maio è un individuo senza arte né parte le cui uniche “doti” sono la furbizia e l’opportunismo. Per questo è stato premiato da un sistema che necessita di tali soggetti. Renzi è il suo parente più prossimo (anche se a mio parere più brillante e con un maggiore spessore politico, non a caso è cresciuto alla scuola democristiana) e infatti i due si assomigliano molto.
Ora si è reso protagonista di una scissione ai danni del M5S e di Conte. In realtà l’operazione è stata, come dicevo, eterodiretta. Sono stati sufficienti i mal di pancia di Conte e di ampi settori del M5S rispetto all’invio di armi all’Ucraina e in generale alla posizione da assumere rispetto alla guerra in corso per accelerare il processo. Di Maio si è messo sull’attenti e ha promosso, insieme ad un consistente manipolo di sfaccendati miracolati senza arte né parte come lui (e quando gli ricapita a questi…) questa scissione filo atlantista, guerrafondaia e filo americana.
Tutto ciò dovrebbe far riflettere anche sulla natura ambigua e a dir poco contraddittoria di questo movimento, il M5S, che conteneva tutto e il contrario di tutto e che si è andato frantumando in corso d’opera – né poteva essere altrimenti data la sua intrinseca e strutturale contraddittorietà – passando di alleanza in alleanza, prima con la Lega e poi con il PD.
Ma non è soltanto la guerra il pomo della discordia. Anche i timidissimi tentativi del M5S a guida Conte di sia pur pallido contenimento delle politiche liberiste e impopolari del governo Draghi e del PD, non sono stati tollerati. Conte e il M5S sono stati oggetto di attacchi concentrici, palesi da parte della destra e soprattutto della Meloni, in particolare sul reddito di cittadinanza, e occulti da parte del PD, formalmente alleato, e dei corridoi del “palazzo” che conta.
Ormai non c’è più posto per queste scaramucce da prima repubblica, la tecnocrazia al potere vuole soldati pronti a scattare sull’attenti con partiti ridotti a pure forme vuote chiamate a ratificare decisioni già prese e in tal modo a coprire ideologicamente un sistema neoliberale che di autenticamente democratico non ha più nulla. Di Maio si è garantito il posto al sole e i suoi reggicoda una collocazione “adeguata” post legislatura. Del resto Parigi, come recita il proverbio, val bene una messa. E allora tutti sull’attenti senza tante storie.
Fonte foto: Panorama (da Google)