“Ovunque la borghesia è giunta al dominio essa ha distrutto tutte quelle condizioni di vita che erano feudali, patriarcali, idilliache. Essa ha distrutto senza pietà tutti quei legami multicolori che nel regime feudale avvincevano gli uomini ai loro naturali superiori, e non ha lasciato fra uomo e uomo altri vincoli se non quelli del nudo interesse e dello spietato pagamento in contanti. Essa ha spento i santi timori dell’estasi religiosa, l’entusiasmo cavalleresco, e la sentimentalità del piccolo borghese dalle limitate abitudini, immergendo il tutto nell’acqua gelida del calcolo egoistico. Ha risolto la dignità personale in un semplice valore di scambio; ed alle molte e varie libertà bene acquisite e consacrate in documenti, essa ha sostituito la sola ed unica libertà del commercio, di dura e spietata coscienza. Al posto, in una parola, dello sfruttamento velato di illusioni religiose e politiche, ha messo lo sfruttamento aperto, senza pudori, diretto e brutale”.
Questo brevissimo stralcio del Manifesto del Partito Comunista di K. Marx e F. Engels spiega con estrema chiarezza e semplicità qual è la natura reale del capitalismo.
Dovrebbe essere letto con attenzione da tutta quella “sinistra”, liberal, radical o sedicente antagonista che – imbevuta fino al midollo di femminismo in tutte le sue differenti declinazioni – ancora teorizza che l’attuale società capitalista sia a trazione o a dominio patriarcale.
Trovo anche singolare, a dir poco, che questo passaggio (seconda pagina del testo) non sia stato colto nella sua estrema chiarezza.
Marx vive in un contesto storico e sociale, l’Europa del secolo XIX, dove ancora il regime feudale o semifeudale è fortemente radicato e impregna ancora, specie dal punto di vista culturale, le società dell’epoca. Pensiamo a tutta l’Europa dell’est, alla Russia, alla Spagna, a buona parte della Prussia, dell’Italia e anche della Francia. Nonostante ciò vede lontano e più lontano di altri, e capisce che ormai da lì a poco quel mondo si andrà estinguendo, con tutto il suo carico di ideologie, valori e culture. E infatti da lì a poco si estinguerà del tutto. Tra la fine del secolo XIX e la prima metà del secolo scorso, ogni residuo di ancient regime morirà, lasciando solo qualche ruggine qua e là nelle aree più arretrate del mondo occidentale. E morirà perché, come abbiamo spiegato tante volte (rimando alle lettura dei tanti articoli che abbiamo pubblicato in tema e, per la verità, non solo noi ormai, fortunatamente), il sistema capitalista non saprà più cosa farsene di quella cultura e di quel sistema valoriale-ideologico ai fini della sua riproduzione.
Il vecchio regime (l’ancient regime) muore con l’avvento del capitalismo, e insieme ad esso muore anche il patriarcato che ne era una delle espressioni.
Pensare, dunque, che l’attuale sistema capitalistico sia ancora fondato sulla cultura patriarcale (con tutto il carico di maschilismo ecc.) equivale a sostenere che gli attuali rapporti di produzione siano di tipo feudale e non capitalistico. Insistere con una simile tesi significa non avere capito nulla del processo di trasformazione della società (capitalista) avvenuto da un secolo a questa parte. Significa restare aggrappati ad un feticcio che non ha più nessun fondamento nella realtà concreta e che serve soltanto a tenere in vita una ideologia e una serie di soggetti ad essa legati per ragioni di ordine identitario, psicologico e personale o per opportunismo politico.
Il capitale ha infatti da tempo fatto sua questa ideologia che, da par suo, si è lasciata completamente fagocitare nonostante i (goffi, a mio parere) tentativi da parte di alcune correnti minoritarie (vedi quella cosiddetta “intersezionale”) di cercare di coniugare ciò che è non coniugabile (la logica di classe con quella “di genere”). Non lo era neanche ai tempi dell’ancient regime, men che meno lo è oggi. La contraddizione è strutturale e insanabile e va quindi superata.