L’elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica è un fatto rilevante e segnala numerosi elementi di interesse politico e anche storico.
Personalmente ritengo la figura di Mattarella degna della carica che andrà a ricoprire, intessuta com’è della tragedia del fratello Piersanti e dell’esperienza di costituzionalista. Senz’altro un segno di discontinuità con la figura e il ruolo di Giorgio Napoletano.
Tornando alle considerazioni più oggettive c’è anzitutto da rilevare il dato storico: l’elezione di un democristiano “non pentito” sancisce il fallimento della lunga stagione “decisionista” della cosiddetta “Seconda Repubblica”. Soprattutto dice dell’inesistenza delle culture politiche di questo ventennio e più, della loro pura funzione/finzione propagandistica, plasmati come sono stati, gli sbiaditi politici di questa età, dai “tempi televisivi”.
Il democristiano al Quirinale rinvia a culture “organiche” –nel senso di Gramsci- cioè organizzate, segnalando due aspetti: la cultura cattolica ha una sua resistenza etica mentre, al contrario, il cedimento di quella socialista e comunista al “relativismo capitalista della merce” ne segna l’attuale irrilevanza politica, in quanto organizzativa. Dunque, in secondo luogo, se è vero che Renzi celebra un’altra vittoria “tattica” e “spettacolare” contro uno pseudo-avversario com’è lo stremato Berlusconi, è altrettanto vero il dato strategico che il suo decisionismo –vuoto come tutti i decisionismi, decisi da altri poteri- subisce “strategicamente” un condizionamento. Il partito si compatta attorno ad un tendenziale conservatore –ricordiamo la legge elettorale Mattarella difforme dall’italicum e, come ricordato, la tradizione costituzionalista della sinistra morotea- e in pratica, per ottenere ancora movimento governativo-mediatico, Renzi, pur con un partito fedele, è costretto a cedere egemonia nei contenuti all’unica componente culturalmente coesa all’interno del circo Barnum di nani e ballerine che è l’attuale PD. Il grande centro che va sorgendo potrebbe intrappolare l’agitazione puramente “simbolica” di Renzi a meno che – ed è nelle corde pusillanimi del fiorentino – lo stesso non faccia una conversione ad U e divenga il gestore della mediazione sull’azione, sostituendo magari qualcuna delle sue oche giulive con Rosy Bindi. Al di sotto di questi movimenti di riorganizzazione della “palude”, del partito della nazione o del centro, c’è il grande centro sociale che è il ceto medio insidiato dalla crisi “irrisolvibile” ma sensibile alle promesse di dividendi. Il successo o l’insuccesso politico dipenderanno soprattutto dall’andamento della crisi e dalla potenza di utilizzo dei presenti trionfi “simbolici”. Renzi può a questo punto rischiare l’accelerazione aprendo la crisi di governo ma la dissoluzione di Berlusconi, l’uccisione del suo modello ideologico in una specie di farsa edipica, e il ritorno degli equilibri “costituzionali” (cioè della prassi amministrativa e del peso della burocrazia) potrebbero incarcerare le sue fughe, i sogni, le promesse. Se poi la materialità della crisi economica prendesse un verso greco, allora questo novello centro avrebbe bello e pronto l’agnello sacrificale.