Di seguito la mia relazione introduttiva in occasione del decennale de L’Interferenza tenutosi a Roma sabato 11 Maggio.
(Fabrizio Marchi)
Abbiamo deciso di dare vita ad un giornale che avesse un approccio critico alla realtà nella sua complessità, fuori da liturgie e schemi preconfezionati e consapevoli del fatto che è necessario aggiornare le categorie con le quali si analizza e si interpreta la realtà stessa e probabilmente – senza dimenticare mai le nostre radici – anche crearne delle nuove alla luce di una realtà che, appunto, diventando con il tempo sempre più complessa necessita di strumenti adeguati per essere compresa e possibilmente trasformata.
Senza questo metodo di lavoro si rischia, anzi si arriva
inevitabilmente a capovolgere le cose. Si finisce cioè per applicare la realtà,
necessariamente deformandola, all’ideologia pur di far quadrare i propri conti,
cioè pur di confermare la giustezza e la validità del proprio paradigma
ideologico. Questo è ciò che ha determinato
e continua a determinare il dogmatismo. Viceversa, il nostro approccio
metodologico è sempre stato quello di cercare di entrare in una relazione
dialettica con la realtà per comprenderne le dinamiche sociali, economiche,
culturali, politiche e ideologiche che la caratterizzano.
E’ applicando tale metodo che siamo arrivati ad individuare quella
che per noi è l’ideologia attualmente egemone nelle società occidentali, cioè
l’ideologia neoliberale di cui ciò che definiamo con il termine di
“politicamente corretto” è il mattone o uno dei mattoni fondamentali.
Quali sono i capisaldi di tale ideologia?
- Il
capitalismo, non più concepito come una forma storica dell’agire umano, è stato
elevato a vera e propria condizione ontologica. Il che comporta che il dibattito
filosofico e filosofico politico viene contestualmente ridotto ad una sorta di
mero carosello di opinioni, privato quindi di ogni funzione e fondamento
veritativo (senza naturalmente, lo ripeto ancora, cedere mai al dogmatismo che
è speculare al relativismo assoluto, che è anch’esso una forma di dogmatismo).
Tale fondamento è oggi individuato solo e soltanto nella tecnica e nel capitale e ovviamente nel rapporto fra
tecnica e capitale, quest’ultimo già elevato, come dicevo, a condizione
ontologica, quindi imprescindibile e insuperabile. Possiamo dunque, credo a
ragione, parlare di società “tecno capitalista”, anzi, di dominio tecno
capitalista.
- La
conseguenza di ciò, e arrivo al secondo punto, è il relativismo culturale e
nello stesso tempo il disconoscimento di ogni aspetto naturale e biologico
dell’esistenza. Ciò che chiamiamo “transumanesimo” è il prodotto di una simile
concezione che potremmo definire “culturalista” se non ultraculturalista. Una
concezione che si fonda sull’idea di una totale separazione fra natura e
cultura, o meglio sulla negazione dell’esistenza di qualsiasi fondamento
naturale (ad esempio del maschile e del femminile che da tempo vengono
considerati come dei meri costrutti culturali). Ma questo è impossibile, a mio
parere un assurdo, per la semplice ragione che gli esseri umani sono esseri
naturali e culturali nello stesso tempo e questa è la loro specificità, fin da
quando i nostri antenati si drizzarono su due gambe e forse anche prima quando
erano in grado di selezionare un frutto rispetto ad un altro con delle primissime
e sia pur rudimentali operazioni logiche superiori a quelle di qualsiasi altro
animale.
All’estremo opposto di questa visione
delle cose si trovano quelli che io definisco gli “ontologisti”, oggi
minoranza, cioè coloro che sostengono – consentitemi l’uso improprio di certe
categorie ma ci capiamo – che “l’essere è” e non può essere altro rispetto a
ciò che è, quindi una condizione di immutabilità. La conseguenza ma soprattutto
il fine di questo modo di vedere le cose è naturalmente – sul piano politico,
ideologico e della concezione di quella
che chiamiamo società civile – il mantenimento e la conservazione dello status
quo.
Queste due concezioni si alimentano
vicendevolmente e sono facce della stessa medaglia. “Ontologisti” e
culturalisti”, destra e “sinistra” (che scrivo fra virgolette) , se traduciamo
il tutto sul piano politico. Oggi è naturalmente la visione culturalista ad
essere egemone, perché più funzionale per tante ragioni che ora non ho tempo di
spiegare al sistema capitalista, giunto all’attuale stadio del suo sviluppo e
alla sua riproduzione, fermo restando – e qui c’è la palese e grande
contraddizione di questa concezione – l’idea della immutabilità o meglio della
insuperabilità del capitalismo stesso che in tal modo non è più concepito
soltanto come un mero rapporto di produzione ma viene elevato ad una vera e
propria religione, sia pur secolarizzata, priva di una teologia vera e propria e
purtuttavia con un suo messianismo, un suo culto e i suoi riti (come sosteneva
Benjamin). Colpa, debito inestinguibile e sacrificio costituiscono le sue
fondamenta, i suoi precetti e il suo castigo, mentre il consumo e
l’accumulazione illimitata sono il premio. E’ infatti in una distorsione e in
una idea degenerata e pervertita del Cristianesimo che il capitalismo affonda
le sue radici, oltre e prima ancora della sua variante protestante e
calvinista, come peraltro A. Visalli ha egregiamente spiegato nel suo libro
“Classe e partito. Ridare corpo al fantasma collettivo”.
E’ all’interno di questo complesso
paradigma ideologico che nascono e si affermano il “transfemminismo”, cioè
l’ultimissima evoluzione del femminismo – comunque a mio parere già uno dei
mattoni fondamentali dell’ideologia capitalista e neoliberale – le teorie sulla
fluidità di genere, la cosiddetta cultura “woke”, e il “progressismo”, cioè
l’idea di un progresso illimitato e infinito, comunque foriero e portatore di
“Bene”, che marcia parallelamente e non casualmente al concetto di
accumulazione in linea teorica infinita e illimitata del capitale e delle sue
sorti magnifiche e progressive.
Ora, queste ideologie hanno una
diversa funzione, interna ed esterna. Quella interna ha come finalità quella di
costruire e alimentare ulteriori conflitti orizzontali – oltre a quelli
tradizionali, cioè autoctoni contro immigrati, lavoratori precari contro
lavoratori a tempo indeterminato, lavoratori privati contro quelli pubblici,
giovani contro anziani – e cioè quello delle donne (con a seguito le minoranze
lgbtq) contro gli uomini che è quello più subdolo perché va a toccare sensibilità
e aspetti profondi che riguardano la sessualità, l’affettività, il paterno e il
materno. E naturalmente quella di depistare dalle contraddizioni sociali (di
classe) con il compito di disinnescare il potenziale conflitto che da queste potrebbe
scaturirne, l’unico realmente temuto dalle classi dirigenti e che deve essere,
appunto, disinnescato alla radice. Questo conflitto, abilmente camuffato sotto
le vesti della emancipazione e della liberazione delle donne e dell’umanità
intera, si fonda sul postulato in base al quale l’attuale società capitalistica
sarebbe tuttora a dominio patriarcale. Questa tesi, a mio parere del tutto
priva di fondamento – ma ne discuteremo oggi pomeriggio – è tuttora sostenuta
da tutte le correnti femministe, nessuna esclusa, da quella dell’eguaglianza a
quella della differenza, a quella queer fino a quella cosiddetta interiezionale
o sedicente di classe.
La funzione esterna è invece quella
di fungere da grimaldello, da piede di porco ideologico per destabilizzare
stati e paesi non allineati all’impero (e all’imperialismo) occidentale a
trazione e dominio americano. Interessante notare che queste ideologie hanno
una grande capacità di penetrazione, anche in alcuni stati socialisti, o
semisocialisti, come Cuba e il Venezuela, e addirittura in parte anche in un
paese come l’Iran (sfruttando le sue contraddizioni interne), ma non in Russia
e in Cina, due paesi molto diversi fra loro, che hanno mantenuto una
sostanziale impermeabilità nei confronti dell’ideologia neoliberale e
politicamente corretta occidentale. Su
questo, naturalmente, è necessario riflettere perché non può essere casuale che
i due bastioni che guidano il mondo dei BRICS siano appunto impermeabili a
questa ideologia, nelle forme che questa ha assunto in Occidente.
Tornando, sia pur brevemente, alla
questione della tecnica, è evidente che la critica al dominio tecno
capitalistico non significa nel modo più assoluto – voglio chiarirlo – una
ostilità preconcetta nei confronti della tecnica in sé nè tanto meno della
scienza che comunque non sono mai neutre, è bene ricordarlo. Il problema è il
loro utilizzo in un senso o in un altro, proprio perché quella della loro
neutralità a prescindere dal contesto è un mito alimentato ad arte. E proprio
in un’epoca in cui si aprono prospettive nello stesso tempo affascinanti ma
anche inquietanti – penso innanzitutto all’IA, con tutto ciò che comporterà, su
come verrà utilizzata, in quale direzione e con quali finalità, ma penso anche
alla procreazione artificiale (pensiamo all’utero in laboratorio di cui la
maternità surrogata è soltanto il prodromo, che potrebbe aprire e a mio parere
aprirà uno scenario estremamente pericoloso, una forma di eugenetica più che
inquietante) – è fondamentale che scienza e tecnica debbano restare soggette al
controllo e al dibattito pubblico e democratico. Il che significa che il
politico, inteso come categoria, e la politica, intesa come dimensione pubblica
e democratica, debbono avere la priorità che invece hanno pressoché quasi
completamente smarrito da alcuni decenni a questa parte, nel mondo occidentale.
E’ a questo punto solo un apparente
paradosso che l’ideologia politicamente corretta in tutte le sue articolazioni
si sia affermata nella stessa fase storica (seguita al crollo del socialismo
reale sovietico) in cui le “democrazie” occidentali si stanno sostanzialmente
trasformando e in larga parte si sono già trasformate in “tecnocrazie”. Possiamo definire le attuali società
occidentali come liberali, o meglio neoliberali e tecnocratiche ma di certo non
democratiche o non più democratiche. Durante gli anni del cosiddetto
“trentennio glorioso”, infatti, anche e soprattutto in virtù dell’esistenza di
una “cosa” chiamata movimento operaio (e del movimento comunista e di quello
socialista), in Occidente abbiamo conosciuto una fase storica in cui i
lavoratori, le classi subalterne e le masse popolari, anche attraverso i loro
principali strumenti, cioè partiti e sindacati, hanno vissuto un protagonismo
sociale e politico che ha “imposto” una qualità e un tasso, diciamo così, di
democrazia mai conosciuto prima di quella stessa fase storica. Ma questa fase è
ormai finita, con il crollo del socialismo reale e del movimento comunista e
socialista. Con la crisi, la sconfitta e anche il fallimento dell’esperienza comunista concretamente
realizzatasi (per tante ragioni esogene ed endogene che ora ovviamente non
posso affrontare), quindi dell’”idea forte”, come si suol dire, entra in crisi
irreversibile anche l’”idea debole” che da quella forte traeva linfa e ragion
d’essere, cioè la ormai vecchia socialdemocrazia europea. E contestualmente al
morire del movimento comunista e di quello socialista si sono affermate fino a
diventare parte fondamentale dell’ideologia dominante, cioè dell’ideologia neoliberale
e politicamente corretta, quella femminista e i loro derivati, trans
femminismo, ideologia gender ecc. E questo è un fatto oggettivo. E’ evidente che
ciò non può essere e non è infatti casuale dal momento che queste ideologie non
nascono a Mosca o a Pechino ma nei campus californiani e nei salotti liberal
newyorkesi e contestualmente sbarcano in Europa occidentale contribuendo (anche
se non le sole, ovviamente) in modo significativo ad indebolire la Sinistra
storica, a minarla alle fondamenta e ad affossarla definitivamente. E’ solo apparentemente
paradossale che anche la sinistra cosiddetta o sedicente antagonista e anche la
gran parte di ciò che rimane di quella comunista o che si richiama, sia pure
tirandola per la giacchetta da più parti, all’esperienza comunista, non solo
non si sia resa conto di tale processo ma sia del tutto imbevuta di tale
ideologia. Afferma di voler combattere il sistema dominante ma ne sposa
totalmente la sua ideologia. Una contraddizione in termini clamorosa che per
quanto mi riguarda ci conferma quanto dicevo poc’anzi a proposito del
dogmatismo e del capovolgimento delle cose. Si osserva la realtà e poi la si
applica alla propria ideologia, ai propri “testi sacri”. Se i conti non tornano
si arriva a deformare la realtà pur di mantenere intatte le proprie
convinzioni. E’ ovvio che qui siamo di fronte a due aspetti. Uno è di ordine
psicologico – perché mettere in discussione le proprie convinzioni comporta uno
sforzo enorme, soprattutto per chi ha costruito la propria identità personale
sulle suddette convinzioni – l’altro è di natura strumentale, mi riferisco
ovviamente all’opportunismo che porta a non mettersi controcorrente o
“contromano” rispetto allo spirito dei tempi.
Alla luce di tutto quanto ho finora detto, e mi avvio alla conclusione, è dunque evidente che c’è bisogno di sparigliare le carte, di mollare vecchi ormeggi ormai inutili se non dannosi (il riferimento alle attuali “sinistre” non è casuale..) e di navigare in mare aperto, forti però delle nostre radici, della nostra esperienza e di una bussola che ci consentono una navigazione relativamente sicura anche quando si va di bolina, come si suol dire, e il vento è gelido e sferzante, come è in questa fase storica. Mi auguro che tutto questo lavoro prodotto in questi dieci anni (come quello prodotto da altri) possa essere utile non solo sul piano della riflessione politica e culturale ma anche per gettare dei semi per la costruzione di un futuro, ipotetico, auspicabile nuovo soggetto politico in grado di interpretare la realtà con lenti adeguate, quelle a cui facevo riferimento nell’incipit. Un soggetto di cui avvertiamo l’assenza e nello stesso tempo la urgente necessità, consapevoli però del fatto che è impossibile oltre che sbagliato forzare i tempi. Né tanto meno si può mettere il carro davanti ai buoi e pensare di poter fondare un tale soggetto unilateralmente partendo da presupposti ideologici dati a priori perché è evidente che non potrà che essere il risultato di un processo complessivo che matura e prende corpo all’interno delle contraddizioni, vecchie e nuove, prodotte dal contesto storico-sociale. In ogni caso su questo tema ci impegneremo ad organizzare un nuovo evento in tempi relativamente brevi.
Fonte foto: Aldo Cherini (da Google)