Alcune primissime considerazioni a caldo su quanto accaduto e sta accadendo in Libano e in Medioriente, naturalmente da aggiornare costantemente nel tempo in base all’evolversi della situazione.
- La
capacità tecnologica dimostrata da Israele che è riuscito a perforare le difese
iraniane eliminando prima il leader di Hamas, Haniyeh (in pieno territorio
iraniano, addirittura nella capitale Teheran), e ora quello di Hezbollah,
Nasrallah (decapitando la pressochè totalità del gruppo dirigente dell’organizzazione),
contestualmente alla (terroristica) manomissione dei cercapersone in possesso
dei militanti di Hezbollah ma anche di semplici cittadini libanesi, rafforza l’ipotesi
che da tempo sostengo e cioè che l’intelligence israeliana fosse al corrente
dell’attacco della resistenza palestinese avvenuto il 7 ottobre dello scorso
anno, e abbia lasciato fare per poi avere il pretesto di scatenare la guerra di
annessione sia a Gaza che successivamente in Libano. Assai improbabile,
infatti, pensare che un apparato così sofisticato dal punto di vista
tecnologico, in grado di fare quello che ha fatto e continuerà a fare in questi
giorni, sia stato colto completamente di sorpresa da una operazione – avvenuta
peraltro con mezzi e modalità anche abbastanza rudimentali (pensiamo all’uso
dei deltaplani…) – che ha comunque richiesto da parte di Hamas e delle altre
formazioni palestinesi una preparazione di mesi se non di anni. Il Mossad è tristemente
noto per la sua micidiale (e criminale) efficienza e per essere uno dei servizi
segreti più potenti del mondo, provvisto peraltro di una fittissima rete di
spie e collaboratori ovunque ma anche e soprattutto, nell’ordine di svariate migliaia,
nei Territori occupati palestinesi. Possiamo realisticamente pensare che fosse
all’oscuro di quanto la resistenza palestinese andava preparando? In tutta franchezza,
non lo credo.
Fra pochi giorni
sarà l’anniversario di quell’attacco e Netanyahu, in crisi di immagine per
diverse ragioni (anche per la questione degli ostaggi della cui sorte ha ampiamente
dimostrato di infischiarsene), si appresta a celebrarlo mostrando la testa del
leader di Hezbollah al cospetto di una società israeliana lacerata che però si
ricompatterà di fronte a questo indubitabile successo militare e politico.
Ancora una volta Israele conferma che la sua tenuta, anche quella della sua società
civile, si fonda sulla superiorità militare e sulla sua capacità di imporsi sugli
altri con la violenza e con la guerra. La presunta debolezza dimostrata in
seguito all’attacco palestinese del 7 ottobre viene in tal modo cancellata. Resterà
ancora sul piatto per un po’ di tempo la questione degli ostaggi nelle mani
palestinesi ma non costituirà più un fattore di destabilizzazione per il
governo e per Netanyahu. Del resto, Parigi val bene una messa, come si suol
dire, e se l’obiettivo è la distruzione di Hamas e di Hezbollah, la messa in
ginocchio dell’Iran, la fine di ogni plausibile ipotesi di stato palestinese, l’annessione
di ulteriori e rilevanti porzioni di territorio e quindi il mai del tutto abbandonato
sogno del “Grande Israele”, anche il malcontento di una parte dell’opinione
pubblica israeliana può essere facilmente disinnescato.
- Attaccando
di fatto frontalmente l’Iran – che non è in grado di rispondere in modo
proporzionato né ha l’interesse e la volontà di farlo perché sa che la
strategia di Israele è proprio quella di trascinarlo in una guerra che non è in
grado di sostenere e che potrebbe minare alle fondamenta lo stato e la stessa
società iraniana peraltro profondamente divisa al suo interno – Israele trova
il tacito sostegno di molti paesi arabi come la Giordania, l’Arabia Saudita, ma
in fondo anche l’Egitto e la Turchia di Erdogan che aspira ad essere l’unica e
più grande potenza regionale ovviamente in coabitazione più o meno forzata con
Israele. Vero è che grazie alla mediazione cinese l’Arabia Saudita si è
riavvicinata all’Iran, non certo per ragioni ideologiche bensì perché la Cina
le compra un bel po’ del suo petrolio e perché la prospettiva dell’aumento dei
commerci e dei profitti, soprattutto se la Via della Seta dovesse realizzarsi
compiutamente, fa gola alla monarchia saudita. E però sappiamo bene come nel
quadro mediorientale le alleanze siano sempre state molto variabili, per usare
un eufemismo. Il ridimensionamento dell’Iran, che è l’unico vero stato avversario
di Israele nella regione – Siria a parte che però è fuori gioco in questa fase dopo
una guerra che l’ha stremata scatenatagli contro dagli USA – fa quindi comodo a
molti in quel quadrante, non solo ad Israele e agli Stati Uniti. Del resto le
borghesie e la classi dirigenti della maggior parte dei paesi arabi cosiddetti “moderati”,
al di là delle dichiarazioni formali, non hanno mai visto veramente di buon
occhio la creazione di uno stato palestinese provvisto di una reale autonomia e
indipendenza.
- L’esecuzione
di Nasrallah – neanche tanto mirata dal momento che hanno tirato giù sei
palazzi nel pieno centro di Beirut buttando ottantasei tonnellate di bombe (una
prassi sistematica per Israele) – è una sconfitta naturalmente non solo per
Hezbollah e per l’Iran, ma per tutti coloro che in quel quadrante geopolitico
si battono contro l’imperialismo israeliano, quindi in primis per i palestinesi
ma anche per gli Houti che non pochi fastidi hanno arrecato ad Israele e agli
Stati Uniti in questi mesi nel Mar Rosso. Ma, pur se indirettamente, è una
sconfitta anche per la Russia e per la Cina e nel complesso per l’area dei
BRICS. Perché comunque la riconquista di una posizione di egemonia di Israele
nell’area mediorientale è una vittoria anche per gli USA, indipendentemente se
alla Casa Bianca ci andranno Harris o Trump (che infatti festeggiano all’unisono
per l’esecuzione di Nasrallah) e per il blocco occidentale a guida statunitense
e segna comunque un arretramento per quella parte importante di mondo che si è
sottratta o si sta sottraendo al dominio americano e occidentale. La riconquistata
egemonia da parte di Israele, laddove si verificasse e con tutte le conseguenze
che ciò comporterebbe, potrebbe vanificare anche gli sforzi da parte della Cina
di assumere un ruolo di mediazione e quindi di attore protagonista nell’area
mediorientale.
Sia chiaro, il processo verso il mondo multipolare è a mio parere inevitabile per ragioni oggettive, ma indubbiamente i successi di Israele, in un’area tuttora strategica come quella mediorientale, possono rallentare quello stesso processo. E questo rappresenterebbe una sconfitta per tutti coloro che si battono per un mondo multipolare non più dominato dalle logiche imperialiste e dall’unilateralismo USA ma dalla ricerca di equilibrio e cooperazione fra stati e paesi autenticamente sovrani e indipendenti.
Fonte foto: Corriere della Seera (da Google)