L’azienda israeliana Harry Zahav Company (Montagne d’oro) ha annuciato la vendita di ville di lusso dove sorgevano i palazzi bombardati a Gaza con lo slogan:
<<Scegli la tua villa sul mare a Gaza>>
Sulle macerie dei palazzi rasi al suolo dalle autorità israeliane per evitare che i terroristi si possano nascondere tra i ruderi, sta per sorgere un nuovo quartiere di lusso di fronte al mare riorosamente per benestanti. L’invasione della Striscia di Gaza continua con circa ventimila morti per il 75% bambini e donne, mentre l’eccidio si consuma nell’impotenza delle autorità internazionali, gli affari continuano e sono paralleli. Scacciare i palestinesi da Gaza è un grande affare: armi e cemento avanzano sulle punte acuminate dei “giustizieri”. L’agenzia immobiliare ha colto l’occasione per avviare la colonizzazione di Gaza occupandola con il progetto che contempla le ville di lusso. La guerra è affare dei ricchi e per ricchi; il pianto dei bambini palastinesi e lo strazio delle madri sono ricoperti dagli slogan pubblicitari e dal boato delle artiglierie e dei bombardamenti che presto lasceranno il posto alle ruspe. I palestinesi con le loro vite difficili e disperate saranno dimenticati, non vi sarà più traccia tangibile della loro presenza. La colonizzazione è di per sé una operazione genocida, in quanto si occupano terre di altri popoli, li si sottomette e gli sconfitti possono solo diventare servi silenziosi o “trasferirsi volontariamente” in altro luogo. Non si tratta, in questo caso, solo di assistere a un processo di espulsione e reinsediamento, dinanzi a noi si squaderna la verità del capitalismo. Colonizzazione, sfruttamento e genocidio sono l’espressione compiuta dei processi capitalistici. Il capitale è una relazione sociale nella quale i dominatori sfruttano i dominati, sin quando sono utili per produre plusvalore, cessate le condizioni per lo sfruttamento, si eliminano i dominati. L’espulsione dei palestinesi è il capitolo finale della relazione di sfruttamento.
Il capitalismo del nostro tempo non è contenuto nei suoi effetti da alcuna etica e da nessuna forza politica, esso può dispiegarsi nella pienezza del suo nichilismo. Trasforma la morte e la vita in denaro, è la sua legge, è il suo comandamento che non conosce eccezioni. Il capitalismo è ormai un automatismo: dove vi è la possibilità di fare affari esso è presente, non ascolta il dolore dei morti, non sente la sofferenza dei vivi, è un processo finalizzato al plusvalore. La verità ormai svelata del capitalismo è una grande opportunità per capire la realtà storica, in cui siamo situati e per ricostruire una coscienza trasversale a livello sociale e culturale contro l’integralismo del plusvalore.
L’iniziativa della Harry Zahav Company chiarisce l’intento della classe dirigente di Israele, ovvero la colonizzazione dei territori, per cui i palestinesi non torneranno nei territori liberati dai “terroristi”, in quanto la loro terra, ancora una volta, è stata venduta al più forte con il silenzio complice delle oligarchie internazionali.
La velocità con cui il progetto è stato improntato, e la celerità dei permessi non possono che far sospettare che, in realtà, si aspettava solo il casus belli per procedere. Sono ipotesi verosimili, in quanto è umanamente impensabile che tutto sia frutto del caso. La verità deve circolare, il popolo palestinese e il popolo d’Israele hanno un nemico in comune che li divide e li manipola: il capitalismo. Il disvelamento della verità deve indurci a superare fratture e divisioni, in modo da garantire una resistenza propositiva che risponda alla contingenza nefasta del nostro tempo con la progettualità politica. Formare le coscienze che salveranno la storia, ora, è il fine verso cui orientarci. In un periodo storico in cui la banalità del male sembra prevalere risuonano le parole di Simon Weil tratte da “Versi letti alla merenda della San Carlomagno”, esse ci conducono oltre la fatalità di un male che ci sembra, a volte, inesorabile:
“Non son più, questi, i tempi quando l’uomo sognando,
S’inebriava invano di vane azioni; a noi
È destino combattere in lotte senza tregua,
Più belle delle lotte tra le nazioni. Quello
Che noi dobbiamo vincere, per parte nostra è il mondo;
Stringendo l’universo con la mano dei forti,
Stabilire la pace feconda e il diritto,
E dovunque stampare la nostra impronta fonda
Sulle cose e sul destino[1]”.
Per i morti non si può fare nulla, per coloro che sono caduti vittime del’antropofagia del capitale possiamo solo ricordarli e trasformare l’esperienza consapevole in azione di lota e di diffusione della verità. Vincere il “mondo” per il nostro tempo storico non può che essere l’esodo dalle grammatiche della violenza.
[1] Le poesie di Simon Weil a cura di Maura del Serra, C.R.T., Pistoia 2000, PAG. 19
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