Silvio Berlusconi non gli avrebbe manco stretto la mano (parole sue, già dimenticate dall’erede putativo Tajani), ma per politici e giornalisti italiani il teatrante Zelensky è una sorta di “autorità morale” che nessuno può mettere in discussione, e cui non è lecito dire di no… forse perché nulla può venir negato ai suoi rapaci sponsor d’oltreoceano.
Ispirato da Lucio Cornelio Silla, o più verosimilmente dall’operato degli zelanti propagandisti del Corsera, il presidentissimo travestito da guerriero annuncia l’intenzione di stilare liste di proscrizione di cittadini italiani ed europei troppo comprensivi nei confronti di Vladimir Putin, cioè restii a condividere e diffondere una ricostruzione della vicenda russo-ucraina – quella “certificata” da Washington – talmente rafferma, manichea e inverosimile da risultare grottesca.
C’è tuttavia ben poco da ridere, perché una schedatura del genere già esiste, è stata eseguita – e viene, si presume, costantemente aggiornata – dai sedicenti attivisti del sito Myrotvorets, espressione in realtà dei sanguinari servizi segreti ucraini, e l’inclusione nella lista non espone solamente al biasimo, visto che molti fra i segnalati sono periti di morte violenta: il giornalista Rocchelli, il dissidente ucraino Oles Buzyna, la figlia del filosofo Dugin sono fra le numerose vittime innocenti di sicari che non appartengono alla categoria dei cani sciolti.
Per finire in questa mortifera black list non occorre essere agenti russi o sostenitori delle politiche del Cremlino: è sufficiente fare il proprio dovere di giornalista indipendente (come nel caso di Andy Rocchelli, ammazzato intenzionalmente dai soldati di Kiev assieme al collega Mironov per i suoi reportage dal Donbass) o esprimere un’opinione che valichi i confini del proprio studiolo o della ristretta cerchia di amici su Facebook.
Non meravigliano la burbanza e la sfrontatezza dell’establishment politico ucraino, una congrega di avidi e volgari lestofanti assoldata dagli americani per nuocere alla Russia e all’Europa intera: l’attorucolo Zelensky e i suoi sodali interpretano il ruolo che Washington ha assegnato loro, riportano alla servitù continentale gli ordini di servizio padronali e contano di essere ricompensati, al termine della “rappresentazione”, per lo sporchissimo lavoro svolto. Neppure l’atteggiamento arrendevole dei leader europei in fondo stupisce: fin dall’inizio della crisi, che risale a molti anni fa (l’avvio in sordina coincise con la farlocca “rivoluzione arancione” del 2004, il primo episodio “caldo” fu invece la breve guerra russo-georgiana), le classi politiche del Vecchio Continente sono apparse conniventi e complici dell’avventurismo statunitense, che pure danneggiava – e danneggia – i rispettivi interessi nazionali. L’ex comico ucraino ha venduto il proprio popolo per ben più di trenta denari: niente di strano che se la intenda con un’abile e spregiudicata comiziante, che pur di conservare un insperato potere octroyée non ha esitato a stipulare un accordo al buio dissennato e foriero di sventura per il nostro Paese.
È un fatto che, con pochissime eccezioni, i “nostri” governanti si stiano comportando da amministratori (o curatori) infedeli, anteponendo alle esigenze dei cittadini-sudditi e persino a quelle di crescita economica i desiderata dell’élite nordamericana da cui, a onta delle patetiche esibizioni di “sovranismo”, vengono imbeccati e diretti. A destare impressione non è dunque la sostanza (dell’assoggettamento alla potenza egemone), ma semmai la rinuncia a salvare le apparenze: l’oscena pretesa sillana di Zelensky di tacitare e punire i dissenzienti non ha suscitato nemmeno uno sconcerto di facciata da parte dei destinatari – politici della UE e operatori mediatici – che palesano in tal maniera la loro totale indifferenza verso quei valori democratici di cui tanto spesso si riempiono svergognatamente la bocca. Nulla da aggiungere, se non che con questo imbarazzante contegno i (sedicenti) nostri rappresentanti danno ragione a quanti li tacciano di corruzione e ipocrisia.
In effetti i segnali di una deriva autoritaria si vanno moltiplicando: indigna l’immotivato pestaggio inflitto qualche giorno fa in Toscana da torme di celerini a giovanissimi studenti inermi, ma ancor più la reazione scomposta della destra di governo alle parole accorate e stavolta pienamente condivisibili del Presidente della Repubblica. Un vicepremier in preda ai capogiri elettorali finge di interpretare le critiche come un “attacco alla polizia”, mentre ad essere stigmatizzata è la condotta violenta e riprovevole di singoli reparti e funzionari, aggressori fatti passare per aggrediti, e il suo alter ego ripesca, decontestualizzandola, la discussa frase pasoliniana sugli agenti “figli del popolo”. I cicisbei d’area si spellano le mani e in diretta tv rilanciano il messaggio (che suona all’incirca così: non disturbate il manovratore, anche se ha innestato il pilota automatico!): è piuttosto evidente la volontà di intimidire quella porzione non esigua, ma frammentata, di opinione pubblica poco avvezza a ubriacarsi di propaganda fidei.
Le violenze poliziesche non sono un’esclusiva della c.d. Seconda (o Terza) Repubblica: tutti ci rammentiamo dei morti di Reggio Emilia, e nei Settanta, segnati però dalla piaga del terrorismo, le sparatorie erano all’ordine del giorno. Dopo anni di relativa calma, Genova 2001 rappresenta uno spartiacque, per via della comparsa sulla scena degli inafferrabili (e ambigui) Black bloc, ma soprattutto perché alla pacifica opposizione no global qualcuno decise di impartire una dolorosa lezione. Da allora la repressione si è accanita non tanto su teppisti da stadio e facinorosi quanto – e non credo sia pura casualità – su chiunque abbia messo in discussioni le “verità” sistemiche: i lavoratori sfruttati della logistica, ad esempio, i portuali triestini contrari all’imposizione del Green pass, la gioventù indignata per i massacri “difensivi” israeliani. La gestione securitaria della pandemia, in particolare, ha svolto una funzione “educativa” nei confronti delle masse, abituandole a intermittenti sospensioni dei diritti fondamentali in nome dell’emergenza e inculcando in milioni di conformisti un misto di riprovazione e astio verso dissidenti e semplici dubbiosi.
È abbastanza sintomatico che i media tendano oggidì a sovrapporre la figura del supposto “putiniano” a quella del c.d. no vax, facendole coincidere e additandole all’indignazione dei “bravi cittadini”: il passo successivo è l’aperta persecuzione/proscrizione di soggetti rappresentati come malvagi sabotatori e quinte colonne di un nemico disumanizzato.
Questo andazzo – cioè il fare di ogni erba un fascio, senza distinguere fra posizioni e critiche non omogenee – acquista un senso se la prospettiva è quella di una “guerra grande”, di un definitivo regolamento dei conti con la concorrenza. Giulietto Chiesa, che ci ha lasciato troppo presto, aveva maturato da tempo la convinzione che gli USA stessero pianificando un conflitto risolutivo con Russia e Cina: non era la sua una delirante profezia, bensì un’analisi predittiva basata su documenti, dichiarazioni più o meno esplicite, azioni intraprese e dati di fatto. Gli eventi susseguitisi nell’ultimo biennio – e non solo in Ucraina – confermano la fondatezza della previsione: spalleggiati da un nugolo di viceré europei alla loro mercé gli americani alzano progressivamente la posta in gioco, per vincere una “pace” che consisterebbe nella cancellazione della Russia dalle carte geografiche e nel saccheggio indiscriminato delle sue risorse. Un progetto da III Reich, insomma. La ventilata discesa in campo di truppe della NATO per combattere direttamente contro i russi, già logorati da un conflitto durissimo, sarebbe nelle intenzioni la mossa da scacco matto: “La Russia non può e non deve vincere questa guerra”, ha scandito Macron, rivelandosi un Tusk qualunque. Nell’attesa della spallata da parte del IV Reich… pardon, della NATO, l’abbattimento di qualche aereo radar nemico conferisce (come ci insegna il Tom Clancy di Uragano rosso) un prezioso vantaggio strategico che ripaga ampiamente di venti Bakhmut o Avdeevka perdute dagli ucraini, che esaurita la funzione di interditori saranno abbandonati senza complimenti al loro destino. Attenzione però: nell’ottica del tutto per tutto anche noi europei occidentali risultiamo sacrificabili, nella duplice veste di coscritti e di civili – questo senza considerare che l’oste Putin potrebbe presentare il conto anche ai suoi ottimisti aggressori d’oltreoceano.
Ubi solitudinem faciunt pacem appellant, disse un capo britanno a proposito dei conquistatori romani… ma il nemico stavolta si annida in mezzo a noi, anche se per ingannarci pretende di difendere i cosiddetti valori occidentali (a tutti gli effetti una finzione scenica).
Fonte foto: ANSA (da Google)