Abbiamo scovato questa brevissima considerazione sul ’68 del filosofo marxista Stefano Garroni (purtroppo scomparso lo scorso anno), scritta nel 2011, e la pubblichiamo volentieri proprio perché, nella sua estrema sinteticità, ci sembra un’analisi efficace di quel movimento, o meglio di quel fenomeno sociale e culturale, che fu appunto il tanto celebrato movimento del ’68.
Ma cosa fu e cosa rappresentò realmente quel movimento? Qual era la sua natura profonda? Quali furono le sue successive “evoluzioni” e gli effetti reali che produsse nel contesto sociale? Quali contraddizioni aveva al suo interno? Fu realmente un movimento rivoluzionario o finì per risolversi in una manifestazione del “decadentismo borghese” come sostiene Garroni? Oppure – come il sottoscritto umilmente pensa – si tradusse (al di là di quella parte di autentiche motivazioni che in parte conteneva alle origini) in un sostanziale processo di rinnovamento culturale e ideologico della borghesia e delle classi dirigenti che si apprestavano a sostituire un modello valoriale e ideologico (Dio, Patria e Famiglia) ormai obsoleto e inservibile, con un altro più funzionale alle nuove esigenze del capitalismo (laicismo, femminismo, retorica dei diritti umani, relativismo assoluto), anche se abilmente camuffato sotto spoglie rivoluzionarie?
Insomma, “Fu vera gloria?”, mi verrebbe da dire….
Torneremo senz’altro sull’argomento. Per ora riflettiamo con attenzione sulle parole di Stefano Garroni:
Stefano Garroni su Cavallaro, il sessantottismo, il postmoderno
“Leggo l’articolo di Luigi Cavallaro… In realtà, la problematica è relativamente facile da impostare. Nel ’68 non continua solo quella ribellione di classe (da tutti ormai dimenticata), che nei primi anni 60 aveva dato prova di sé in vari paesi europei -e in questi casi si trattava di autentiche lotte operaie, non sempre contenute nell’ambito dei progetti e direttive sindacali ufficiali (cf. Germania, Inghilterra, ma anche l’Italia). Nel ’68 vi fu anche una ribellione piccolo-borghese, cioè di strati che non riuscivano più a collocarsi nella nuova organizzazione capitalistica del lavoro (e sue conseguenze). Potremmo dire che piazza dello Statuto, i comitati unitari di base e la forte carica internazionalistica, furono gli elementi che caratterizzarono l’aspetto ‘proletario’, e ‘rivoluzionario’ del 68. Con la sconfitta, però del maggio francese e il ricorso sempre più aperto e sanguinoso al fascismo da parte della classe capitalistica, né partiti comunisti ormai riformisti e profondamente penetrati di craxismo (o analogo), né un movimento giovanile, politicamente immaturo e ignorantissimo, seppero reggere il braccio di ferro con l’avversario di classe. Ché al contrario, le tipiche ideologie del decadentismo borghese (aborto, femminismo, droga, omosessualismo), apparvero (con l’opportuno intervento dietro le quinte –ma neanche tanto- delle grandi multinazionali, come in varie occasioni i Sovietici dimostrarono, senza trovare però un editore italiano, che osasse tradurli e pubblicali); questo magma di decadentismo e di cultura della morte divenne bandiera del ‘post-moderno’, di chi ormai aveva superato ogni tentazione di organizzazione politica e di disciplina leninista (cadendo però spudoratamente nella mitologia maoista. E’ vero Rossanda?). Naturalmente, com’è tipico della piccola borghesia, questo atteggiamento ‘antiburocratico’ si rovesciò nel proprio contrario e nacquero tante piccole sette staliniste, maoiste, bordighiste e così peggiorando. Tutto ciò uccise quanto di sano dal punto di vista rivoluzionario il ’68 sembrava rilanciare e ciò che restò fu –ha ragione L. Cavallaro- una retorica, che non faceva altro che coprire di ‘progressismo’ il decadentismo borghese”.
Fonte: http://materialismostorico.blogspot.it/2011/05/stefano-garroni-su-cavallaro-il.html