Differenza nell’unità
Siamo ad un bivio nella storia dell’umanità: è in atto una mutazione antropologica. L’essere umano è creatura progettante, storicamente teleologica, la cui vita è segnata dal passaggio dalla potenza (dynamis) all’atto (enérgheia ed entelécheia), oggi è minacciata dall’inautenticità afasica. Ogni esistenza autentica si intreccia alla comunità, luogo in cui aristotelicamente “l’albero diviene fiorito”, è possibile l’esplicarsi dell’umanità. L’umanità è condizione ontologicamente processuale, si diventa umani, se la comunità tutta, accoglie la vita, partecipando alla sua libera realizzazione. Il bene del singolo è dunque speculare al bene della comunità. Sono due volti della stessa medaglia, olisticamente l’uno speculare all’altro. Ciascuno è portatore di un talento irripetibile, anche semplice, ma prezioso per egli stesso e per la comunità vivente. La vita è differenza nell’unità, e la comunità è l’epifenomeno e fondamento di tale condizione ontologica. Tale dimensione, sempre ideale ed in itinere, necessita del pensiero, della vita attiva, del tempo del pensiero. L’autenticità presuppone la comunità che ha posto l’attività del pensiero, quale suo fondamento. L’autenticità dell’esistenza ha una precondizione imprescindibile, la possibilità di sottrarsi ai cicli della produzione, i quali sono il mezzo e non il fine, per poter creare strutture di pensiero autonome attraverso le quali definire il progetto vitale personale e comunitario. La riflessione sottratta alla stimolazione perenne muove alla domanda che è anche un imperativo etico ineludibile di ogni essere umano “Conosci te stesso”. Il detto iscritto sul tempio di Delfi, indicava agli uomini la ricerca di sé attraverso la consapevolezza del limite.
Pensiero ed umanità
La concentrazione sottrae gli esseri umani agli stimoli, per riportarli a vivere la pienezza del tempo del pensiero. La contemporaneità invece ci mette dinanzi ad una mutazione inquietante: la concentrazione è ritenuta un limite negativo, positivo è solo l’uomo del fare fine a se stesso. Risuonano da ogni parte politica l’appello all’uomo del fare, mai del pensare. Si ha paura del pensiero, lo si ostracizza, per cui le riforme si abbattono sulla formazione curvandola al solo fare automatico. Risuonano nella mistificazione della neolingua gli inni al concreto inteso in senso poietico. Tale mutazione antropologica si esplica nella logica dell’azienda estesa ad ogni settore: dalla scuola alla sanità. La comunità stessa ha come obiettivo la parità di bilancio, non l’accoglienza degli esseri umani, i quali fungono da mezzo per la parità di bilancio. In tale contesto di attivismo vitalistico nichilistico, l’essere umano deve rinunciare alla rappresentazione mediata della dialettica, per essere corpo meccanico in attività perenne.
Ortega Y Gasset e la scimmia
Ortega Y Gasset, ha ben colto e profetizzato la mutazione in atto. Il filosofo spagnolo riporta l’esempio della scimmia. Guarda in uno zoo le scimmie, esse sono in perenne attenzione ad ogni stimolo, vivono in un fuori perenne, pronte a cogliere ogni messaggio, sono contenitori passivi, tra lo stimolo e la risposta è assente la mediazione del pensiero. La loro vita si esplica in un perenne atto meccanico, che non lascia loro tregua, sempre in difesa o in attacco a seconda dello stimolo. Ad Ortega Y Gasset sembra che l’umanità sotto l’effetto del fare, della stimolazione tecnica, stia regredendo, poiché sta rinunciando a ciò che la distingue dalle scimmie, a ciò che con fatica ha acquisito durante l’evoluzione biologica: la concentrazione. Le scimmie vivono in uno stato di continua alterazione, l’umanità, all’epoca del prometeo scatenato, del turbocapitalismo sta diventando sempre più simile alle scimmie. La comunità intera invita, incita, spinge all’uso. La comunità che non è più tale, è un immenso potentato economico, in cui l’essenziale è vendere per usare e consumare, in un eterno ciclo. Questa nuova forma di totalitarismo non riconosciuto, sta delineando un nuovo essere umano: la scimmia tecnologica, in perenne attività oculo-manuale. Si guardino le nostre strade, ovunque giovani e non, anche in uno spazio pubblico, si esibiscono nell’uso delle tecnologie. Non si guarda, non si fa attenzione allo sguardo dell’altro, alla povertà materiale ed alle miserie morali che sono sempre più palesi. Si vede senza guardare, l’attenzione percettiva è orientata su dettagli ed automatismi, e pertanto la verità si ritira dall’orizzonte cognitivo. Passeggiare è sempre stato il momento meditativo con se stessi e con gli altri, si pensi al peripato come alla scuola pitagorica, ora invece, è il luogo dove il mondo scompare, al suo posto vi è lo schermo del desktop. L’attenzione è nella risposta immediata allo stimolo, in tal modo il logos è sostituito dall’automatismo. Naturalmente il “γνῶθι σαυτόν”(Conosci te stesso) è il vero nemico assoluto del turbocapitalismo, esso spinge verso la “scimmia”. Si deve cominciare ad interrogarsi collettivamente, se si è per le tecnologie o esse per noi. L’animale è consegnato alla servitù delle cose, mentre l’essere umano tramite la concentrazione, sospende la signoria delle cose per pensarsi e pensarle; è questa la sfida antropologica del nostro presente e che segnerà il futuro di tutti, dobbiamo scegliere se essere “umani o nuove scimmie”:
“L’uomo si trova, non meno dell’animale, consegnato al mondo, alle cose intorno, alla circostanza. All’inizio la sua esistenza differisce appena da quella zoologica: anche lui vive governato da ciò che lo circonda, inserito fra le cose del mondo come una di esse. Senza dubbio non appena gli esseri intorno gli lasciano un po’ di respiro, l’uomo facendo uno sforzo gigantesco, ottiene un attimo di concentrazione, si mette dentro se stesso, vale a dire mantiene a fatica la sua attenzione fissa sulle idee che spuntano dentro di lui, idee che le cose hanno suscitato e che si riferiscono al loro comportamento, a ciò che poi il filosofo chiama “la sostanza delle cose”. Si tratta intanto di una idea molto grossolana sul mondo, che però permette di abbozzare un primo piano di difesa, una condotta prestabilita. Ma né le cose intorno gli consentono di rimanere a lungo in questo stato di concentrazione, né, anche se quelle lo consentissero, sarebbe capace quest’uomo primitivo di prolungare più di alcuni secondi o minuti quella torsione speculativa, questa attenzione fissa sugli impalpabili fantasmi che sono le idee. Questa attenzione verso l’interiorità, che è l’ensimismamiento, è il fatto più antinaturale ed extrabiologico. L’uomo ha tardato millenni e millenni nell’educare un po’ ‐niente più che un po’‐ la sua capacità di concentrazione. Quello che gli riesce naturale è sviarsi, sviarsi verso ciò che è l’esterno, come la scimmia nella selva e nella gabbia dello zoo. Il Padre Chevesta, esploratore e missionario, che è stato il primo etnografo specializzato nello studio dei pigmei, probabilmente la varietà di uomini ‐ come si sa ‐ più antica che si conosca e che è andato a cercare nelle selve tropicali più nascoste, il Padre Chevesta, che ignora completamente la dottrina da me ora esposta e si limita a descrivere ciò che vede, dice nella sua ultima opera del 1932, riguado ai nani del Congo: «Manca loro totalmente la facoltà di concentrarsi. Sono sempre assorbiti dalle impressioni esteriori, il cui continuo cambiamento, impedisce di raccogliersi in se stessi, che è la condizione inevitabile per ogni apprendistato. Metterli a sedere al banco di una scuola, sarebbe per questi ometti un tormento insopportabile, perciò il lavoro del missionario e del maestro si fa particolarmente complicato» [Bambutti, die Zwerge des Congo]. Però, sebbene instintivo e rozzo questo primitivo atto di concentrazione va a separare radicalmente la vita umana dalla vita animale, perché ora l’uomo, questo uomo primigenio, va ad immergersi di nuovo nelle cose del mondo contrastandole senza consegnarsi a loro completamente. Ha un piano contro di loro, un progetto di relazione con loro, di manipolazione delle loro forme, che produce una minima trasformazione intorno a lui, quanto basta perchè lo opprimano un po’ meno e di conseguenza, gli permettano più frequenti e profondi aumenti di concentrazione… e così via. Sono dunque tre momenti differenti che ciclicamente si ripetono nel corso della storia umana in forme ogni volta più complesse e
l’uomo con uno sforzo energico si ritira nella sua intimità, per formarsi idee riguardo le cose e il loro possibile dominio; è la concentrazione, la vita contemplativa, di cui parlavano i romani, il theoretikós bíos dei greci; la theoría; 3°, l’uomo torna ad immergersi nel mondo, per agire in esso secondo un piano prestabilito; è l’azione, la vita activa, la praxis[1].”
Un mondo di scimmie
Un mondo di “scimmie” perennemente in attività, estranee all’attività del pensiero è un mondo senza politica e senza speranza, solo attività senza concentrazione. La società della sorveglianza con i suoi inesauribili meccanismi di condizionamento dalla neuroeconomia alle neuroscienze cela il sogno distopico: eliminare dalla storia la variabile incontrollabile della coscienza, addomesticarla per renderla organica al sogno di una società umana sempre più simile ad un mondo di insetti gerarchizzato per funzioni. La morte di dio, metaforicamente della verità, comporta il facile trionfo delle scimmie, poiché se non vi è verità, regnano i mezzi che vampirizzano l’essere umano. La sorveglianza digitale isola, atomizza, ed impedisce il pensiero, in quanto l’esperienza della solitudine, del ritirarsi dal chiasso del mondo per concettualizzare è ostacolata dalla continua invasione mediatica:
Le attività mentali e, come si vedrà in seguito, in primo luogo il pensare – il dialogo senza voce dell’Io con se stesso – possono essere comprese come l’attuazione di quella dualità o scissione originaria tra me e me stesso che è inerente alla coscienza[1]”.
La coscienza pone la storia, la devia, la rende imprevedibile, e pertanto inquieta il totalitarismo del nuovo capitalismo che racchiude nel suo grembo la perversa religione del controllo. Solo mutando gli esseri umani in scimmie tecnologiche, il nuovo capitalismo può aspirare a realizzare il “suo sogno”, pertanto più fortemente bisogna opporre alla barbarie tecnologica che avanza la trasgressione della coscienza. La resistenza civile contro il disumano che avanza è l’imperativo a cui non ci si può sottrarre.
[1]Ortega Y Gasset, Ensimismamiento y alteración, Obras completas, Alianza, Madrid 1987traduzione di Alessandra Costa
[2] Hannah Arendt La vita della mente Il Mulino Bologna 2009 pag. 157
Fonte foto: l’arte dei pazzi (da Google)