Verità ed inquietudine
Le parole-concetto della filosofia sono verità che si storicizzano per esaltare l’umanità degli esseri umani e favorirne formazione e sviluppo. Non c’è umanità senza verità, quest’ultima non porta la pace, ma il conflitto, poiché guardare la verità, significa lottare con se stessi, far emergere le resistenze alla sua “presenza”. L’Umanesimo è lotta, è parola che smaschera falsi miti e, specialmente, forme di compensazione alla fragilità umana. La verità prima che si svela e rileva all’essere umano in ascolto alla propria natura è che “non è padrone” di nulla. Si appartiene ad una comunità, non la si può ridurre ad un ente da dominare. Ogni soggetto nell’incontro con se stesso si ritrova persona plurale, poiché ogni vita è sintesi di una comunità vissuta. Ascoltare l’essere è, dunque, orientarsi verso la dimensione del radicamento senza che esso possa essere definito o posseduto, perché la verità nello svelarsi “ammicca” senza lasciarsi possedere. L’essere umano è il pastore dell’umanità e del suo fondamento, solo se si dispone a rinunciare al possesso, nella libertà dall’inquietudine acquisitiva la verità umanizza la sua vita:
“L’uomo non è il padrone dell’ente. L’uomo è il pastore dell’essere. In questo <<meno>> l’uomo non perde nulla, anzi ci guadagna, in quanto perviene alla verità dell’essere. Guadagna l’essenziale povertà del pastore, la cui dignità consiste nell’esser chiamato dall’essere stesso a custodia della sua verità[1]”.
Pensiero all’asciutto
Senza verità non vi è mondo, perché non vi è storia. La verità è l’eterno che si storicizza. Se si rinuncia alla verità, si riduce l’essere umano a sola biologia, e dunque lo si rende simile a qualsiasi altro animale. Le scienze ci offrono una visione depressiva della persona, poiché è scomposta in funzioni, in semplici meccanismi al fine di essere manipolata. L’essere umano si sottrae alle scienze esatte per essere solo biologia. Il nichilismo è nell’efficienza del visibile e nella traduzione in linguaggio matematico-chimico che scompone e ricompone la persona ed ogni altro “ente” per farlo scomparire tra le categorie dell’operare scientifico:
“Questo modo di giudicare equivale al processo che tenta di valutare l’essenza e la facoltà del pesce in base alle sue capacità di vivere all’asciutto. Già da molto, anzi, da troppo tempo il pensiero si trova all’asciutto[2]”.
Il pensiero all’asciutto è pensiero senza dialettica, senza capacità polisemica, il pensiero reso sterile delle sue possibilità plurali è simile all’alveo di un fiume in secca, in cui la vita si ritira per lasciare spazio ad un mondo spoglio in cui regna la “nuda vita”. Senza Umanesimo dal mondo si ritira la linfa del concetto e non resta che la sterilità dell’esattezza che non si ascolta e non si pensa, si devitalizza la coscienza della suo principio vitale e pensante. L’antiumanesimo scientista è il nuovo ordine mondiale nel quale non vi dev’essere tempo e spazio per l’umano e per la verità.
L’essere
La polisemia della natura umana consente di approssimarsi alla verità fino all’indicibile, vi è un accostarsi alla verità che arriva al limite del dicibile, in quanto la verità incontra l’ostacolo delle parole, del lessico che non supporta la sua profondità, fino al punto che si deve rinunciare alle parole, per lasciare che la verità emerga e sia compresa secondo modalità non traducibili. Umanesimo è parola, linguaggio che si raccoglie fino al suo limite massimo, fino ad aprire brecce su alterità indefinibili. Solo l’essere umano è capace con la poesia e il linguaggio di giungere in luoghi della mente dove l’esattezza non può che tacere, perché svela il suo limite: l’essere umano è eccedente rispetto ad ogni riduzionismo biologistico, è un mistero su cui riposa il mondo ed il suo senso:
“Ma se l’uomo ancora una volta deve ritrovare la vicinanza dell’essere, deve prima imparare a esistere nell’assenza di nomi. Egli deve riconoscere allo stesso modo sia la seduzione della pubblicità, sia l’impotenza della condizione privata. Prima di parlare, l’uomo deve anzitutto lasciarsi reclamare dall’essere, col percolo che, sottoposto a questo reclamo, abbia poco o raramente qualcosa da dire. Solo così viene ridonata alla parola la ricchezza preziosa della sua essenza, e all’uomo la dimora per abitare nella verità dell’essere[1]”.
Linguaggio e verità
Il visibile non è tutto, la sua concretezza percettiva è rassicurante per il suo semplicismo, ma la persona non è riconducibile a poche funzioni biologiche, nell’essere umano alberga l’essere che non è esprimibile in formule, poiché è il fondamento delle stesse e, dunque, non può essere oggetto di definizione. Il linguaggio è un’esperienza che rivela il fondamento della realtà senza catturarlo in categorizzazioni, ma seguendo le sue tracce si possono seguire le orme di alterità altrimenti impensabili:
“L’errore del biologismo non è ancora superato per il fatto che alla corporeità dell’uomo si aggiunge l’anima, all’anima lo spirito, e allo spirito l’esistentivo, e per il fatto che si predica più forte che mai l’alto valore dello spirito, per poi far ricadere tutto nell’esperienza vissuta della vita, mettendo in guardia dal pensiero che con i suoi concetti rigidi distruggerebbe il flusso della vita, e dal pensiero dell’essere che deturperebbe l’esistenza. Il fatto che la fisiologia e la chimica fisiologica possano indagare sull’uomo come organismo dal punto di vista delle scienze naturali non è una prova che l’essenza dell’uomo stia nell’ <<organico>>, cioè nel corpo, come è spiegato scientificamente[2]”.
Il linguaggio è rappresentazione significante con il quale l’essere umano scopre di essere nella verità e di esserne custode contro le derive nichilistiche che lo afferrano per depredarlo. L’Umanesimo non è fuga dal mondo, ma è l’essere nel mondo per lottare contro i saccheggiatori di senso e della verità. Nello storia gli umanisti sono stati difensori dell’umano, il loro impegno ha incontrato sconfitte e periodi d’arresto, ma la loro motivazione è eterna, dev’essere trasmessa alle nuove generazioni, non con atti formali, ma con testimonianza vissuta bisogna dimostrare che resistere ed avanzare è possibile. Ogni essere umano dev’essere radura da cui deve risplendere la luce della verità; il conflitto diviene il segno della coappartenenza alla verità. Umanesimo è conflitto, in cui si scopre di appartenere alla dimensione del linguaggio-spirito, senza il quale non vi è che la caduta nel biologismo che umilia senza uccidere l’essere umano.
[1] Martin Heidegger, Lettera sull’ <<Umanismo>>, Adelphi, 2020 pag. 73lò
[2] Ibidem pag. 34
[3] Ibidem pp. 39 40
[4] Ibidem pag. 47