Quelli che seguono sono degli stralci della relazione che il Prof. Antonio Martone svolgerà in occasione del decennale della fondazione de L’Interferenza che si terrà sabato 11 maggio alle ore 10 a Roma presso il Centro Congressi Cavour in Via Cavour 50/a.
(…) Da questo punto di vista, credo allora si possa
affermare che il passaggio dalla fase moderna a quella contemporanea,
attraverso la disinibizione post-edipica del desiderio, non è affatto detto
abbia prodotto maggiore libertà. In realtà, il capitalismo ha assunto un ruolo
predominante nel plasmare le nostre identità, sfruttando abilmente la nuova
potenza di un simbolico senza freni a fini di produzione e di controllo. Il
capitalismo ha saputo, cioè, impadronirsi dei processi di identificazione di
massa, trasformandoli in uno strumento efficacissimo del proprio potere.
Attraverso la produzione incessante di modelli,
immagini e ideali, il capitalismo inscena ogni
giorno una nuova rappresentazione mitologica, diversissima da quella che
spiegava l’origine del mondo e la sua struttura fondamentale, e così pure altrettanto
lontana da quella legata al dispositivo moderno costruito sul trinomio Dio
Patria Famiglia[1], ma
parimenti capace di dare senso al quotidiano – anche e soprattutto a quel caos
secolarizzato che costituisce la società di massa contemporanea. La nuova
mitologia plasma costantemente le aspirazioni, i desideri e le identità, appropriandosi
dei sentimenti e delle ambizioni, essendo alla radice, peraltro, delle
frustrazioni e delle angosce di cui è colmo il nostro tempo.
Già qualche decennio fa, un grande saggio di Roland Barthes
analizzava la capacità che hanno i miti di permeare ogni aspetto della vita
quotidiana[2],
trasformando concetti, oggetti e persone in simboli carichi di significato
culturale e sociale. Barthes, peraltro, sosteneva che il linguaggio stesso,
attraverso la sua capacità persuasiva e pervasiva, contribuisce alla creazione
di miti che a loro volta influenzano la nostra percezione della realtà. È
interessante notare come Barthes abbia intuito assai precocemente l’importanza
del linguaggio e dei media nella loro capacità di costruzione mitica, anticipando
il massiccio sviluppo dei mass media dei decenni successivi. La sua analisi
critica della società contemporanea nella sua dipendenza dai miti linguistici
rimane rilevante anche oggi, considerando il ruolo sempre più centrale
posseduto dalla comunicazione (online e offline) nella nostra vita quotidiana.
I “miti d’oggi” non sono certamente
più quelli dettati da un’intollerabile auctoritas
paterna (ciò che era il dato peculiare della visione del mondo moderna) ma
s’impongono con non meno forza di prima, poiché sono dettati da celebrità,
influencer, brand e stili di vita. Invece di portare all’emancipazione del
desiderio singolare, il nomadismo post-edipico, e l’emancipazione dalla legge
della castrazione, hanno portato alla creazione di nuove forme di controllo e
di legge. Nel contesto dell’apparato tecnocapitalistico, singolare commistione di
potere tecnologico e capitalismo, sono emerse nuove regole e norme che
disciplinano e controllano la società. Tali norme, giuridiche, morali,
pratiche, vanno considerate in maniera sistemica: intrinseche alla logica del capitalismo
avanzato e della tecnologia, possono essere altrettanto restrittive e
oppressive delle vecchie forme di legge. Si può dire, anzi, che la capacità impositiva
del contemporaneo sia decisamente più forte, poiché l’autorità del padre
costituiva pur sempre una legge esterna e, dunque, da questo punto di vista, le
si poteva in qualche modo resistere, mentre il potere contemporaneo viene
invece introiettato e si sa che non esiste giudice più inflessibile del proprio
despota interno.
In questo senso, si comprende
allora come e quanto il capitalismo abbia saputo costruire abilmente un
simbolico che tutti sono chiamati a imitare – non più basato su una legge
paterna universale, ma su una produzione
di significato che serve gli interessi del mercato: siamo evidentemente
intrappolati in un labirinto di aspettative e di desideri imposti in maniera
sistemica e l’identità umana, maschile o femminile che sia, è diventata –
appunto – merce fra le merci. Sia le donne, sia gli uomini sono guidati da
meccanismi sottili e complessi che utilizzano – fra le altre – ideologie come
il femminismo, la tecnofilia e l’individualismo neoliberale per perpetuare e
consolidare un (bio)potere di formazione e di controllo della psico-sfera umana
che si realizza perloppiù attraverso l’intensificazione della visione del mondo
no alternative to capitalism[3].
(…)
[1] Su questo punto, cfr. F.
Marchi, Contromano. Critica dell’ideologia
politicamente corretta, Zambon, Venezia 2018.
[2] R. Barthes, Miti d’oggi, Einaudi, Torino 1974.
[3] Sul tema dell’insuperabilità storica del capitalismo, cfr. M. Fisher, Realismo capitalista, Produzioni nero, Roma 2018.