Il recente conferimento del premio Nobel per la fisica a Giorgio Parisi per risultati conseguiti nei suoi studi sui sistemi complessi o non lineari ha stimolato, soprattutto da parte di ricercatori scientifici, considerazioni filosofiche antideterministiche peraltro ormai da vari decenni largamente prevalenti fra i ricercatori e fra i filosofi della scienza, ma anche sulla stampa non scientifica o filosofica e in particolare su riviste e siti internet politico-culturali di sinistra.
In particolare in questi giorni si leggono frequentemente solenni rivendicazioni di “originalità” e di pretese “grandi scoperte”, nell’ ambito del dominante paradigma (indeterministico) della complessità e da parte dei suoi cultori, circa l’ impossibilità di conoscere e prevedere per filo e per segno il divenire di moltissimi fenomeni naturali, di contro a pretese di “onniscienza” attribuite (ma indebitamente) al determinismo filosofico e scientifico “classico”, che la moderna scienza fisica e la moderna filosofia della scienza avrebbero definitivamente superato.
Inoltre, contro la asserita indebita e irrealizzabile pretesa di conoscere l’ evoluzione certa, dettagliata, precisa e a lungo termine dei sistemi fisici complessi (la stragrande maggioranza in natura, essendo il caso di quelli semplici, come il sistema solare, una sorta di “eccezione che conferma la regola”), se ne encomia spesso lo studio probabilistico, facendo oggetto di grande ammirazione chi l’ ha proposto e praticato: dal per me ottimo Boltzmann a cavallo del XIX e XX secolo, al per me pessimo Prigogine a fine ‘900 e ai suoi epigoni di oggi.
Peccato che l’ autentico pioniere di questo approccio alla ricerca scientifica nel caso dei sistemi fisici complessi (e di quelli biologici, ad essi riducibili), ben prima ancora dell’ottimo Boltzmann (quest’ ultimo particolarmente in riferimento alla termodinamica e alla meccanica statistica), sia stato un certo …Pier Simon de Laplace, vituperatissimo da grandissima parte se non da tutti i propugnatori “del paradigma della complessità”, in particolare nel suo famosissimo Saggio filosofico sulle probabilità.
L’ Introduzione di questo volume contiene un celeberrimo (per gli irrazionalisti famigerato) passo che i suoi denigratori solitamente citano “tagliandolo”, con grande malizia per lo meno (se proprio non vogliamo parlare di disonestà intellettuale), appena dopo che vi é affermato che il divenire oggettivo reale del mondo fisico é rigorosamente deterministico, proprio là dove inequivocabilmente vi si afferma che l’ umanità sarà sempre inesorabilmente “infinitamente lontana” (parole sue testuali!) da un’ onniscienza che le permetta di prevedere per filo e per segno tale deterministico evolversi dell’ universo [1].
Cosìcché capita spesso di leggere che “Se può essere semplice descrivere l’interazione di due masse (ad esempio un pianeta e il suo satellite) in base alla legge di gravitazione, le cose si fanno appunto “complesse” quando consideriamo le reciproche interazioni fra tre o più corpi: le soluzioni comincerebbero a essere approssimate, sfuggirebbero al determinismo che consente di prevedere con certezza il momento di un’eclissi lunare o il passaggio della cometa di Halley”.
Al che si può facilmente obiettare che a sfuggire al determinismo non é la realtà fisica considerata (“le cose reali”), ma invece la nostra conoscenza di esse di fatto possibile.
Non é vero che, come si sente anche affermare, “In fondo, Newton avrebbe avuto fortuna o si sarebbe facilitato il lavoro”, che “il semplice sarebbe in realtà sempre e soltanto il semplificato”.
Invece Newton si é di certo genialmente semplificato il lavoro, come Galileo e prima ancora Archimede, seguendo un elementare principio euristico, ma non ha affatto semplificato -o meglio: preteso di semplificare- (a suo arbitrio) la realtà (per lo meno “macroscopica”); la quale é e rimane oggettivamente deterministica non meno che, in larghissima prevalenza ma per fortuna non esclusivamente, complessa e di fatto imprevedibile; e come tale é (stata) conosciuta da Newton.
La stessa possibilità di rintracciare un limitato ordine probabilistico nel caos apparente dei fenomeni non lineari (possibilità rivendicata dai sostenitori del paradigma della complessità e che oggi, grazie anche alla realizzazione di potenti computer, é oggetto di studio di molti validi ricercatori, fari i quali il recente premio Nobel italiano) presuppone sì che l’ evoluzione dei fenomeni osservati non sia calcolabile (soggettivamente, gnoseologicamente o come si preferisce dire epistemologicamente) per filo e per segno; ma anche necessariamente che questa stessa evoluzione sia (oggettivamente, ontologicamente) ordinata secondo inderogabili modalità o “leggi” universali e costanti astraibili da parte del pensiero dai fatti particolari concreti. Per esempio i dadi (paradigmatici di quella che é per l’ appunto detta “aleatorietà”) danno probabilità di risultati ben definite e calcolabili per il semplice fatto che le loro traiettorie e rimbalzi sono strettissimamente, rigorosissimamente, integralmente deterministici (oltre che impossibili di fatto da individuare e calcolare con precisione in ogni singolo caso); che se invece fossero autenticamente caotici, col cavolo che se ne potrebbero calcolare le probabilità degli esiti (mi scuso per l’ intemperanza verbale)!
Ed è proprio per questo che, come spesso rivendicato dai sostenitori del paradigma della complessità, “Quando ci troviamo di fronte a sistemi complessi la non linearità risulta irriducibile, la sensibilità alle condizioni iniziali (come il famoso battito d’ali della farfalla) rende in sostanza impossibile una predizione accurata”, e tuttavia é possibilissimo “descrivere quale forma assumerà il disordine, verso quale attrattore strano si disporrà la dinamica caotica, quale isola d’ordine potrà apparire nel mare del disordine” delle nostre conoscenze; anche in tutti questi casi nessun preteso caso convive con la necessità deterministica del divenire naturale: l’ unico “caso” reale é proprio precisamente quello che compare nelle nostre (limitate) conoscenze della natura reale, ma non c’ é affatto nella realtà naturale stessa.
Si sostiene anche spessissimo che il nuovo paradigma avrebbe “finalmente acquisito la consapevolezza del fatto che conoscere le leggi che regolano i comportamenti dei componenti di un sistema non implica di per sé la comprensione “olistica” del suo comportamento globale”, e che “La difficoltà non starebbe nel formulare leggi fondamentali, quanto nello scoprirne le concrete conseguenze, sapendo che non si potranno semplicemente dedurre dalle leggi”.
Tante grazie, ma questo lo sapeva di già benissimo il determinista Laplace, in barba alle frequenti scorrette distorsioni del suo pensiero da parte dei suoi denigratori indeterministi; e infatti é proprio per questo che ha scritto il suo celebre Saggio filosofico sulle probabilità!
Si pretenderebbe che i sistemi complessi o non lineari non siano “riducibili alla causalità classica in cui l’effetto sarebbe proporzionale alla causa”. Si tratterebbe fra l’ altro del caso di “quanto il recente premio Nobel Parisi ha mostrato nell’ambito di quegli strani oggetti da lui scoperti che sono i vetri di spin (spin glass)”.
A questo proposito per parte mia trovo per lo meno discutibile la pretesa di calcolare quantitativamente cause ed effetti (intendo “quantitativamente” non in riferimento alle grandezze fisiche implicate, ma invece circa una alquanto soggettiva “entità -nel senso di facile prevedibilità o meno- delle differenze” fra il “prima” e il “poi” della causazione); ma in ogni caso, a prescindere da quanto un “dopo causazione” possa essere stupefacente rispetto al “prima”, sorprendente e soggettivamente meraviglioso per chi l’ osservi, qualsiasi sistema complesso -per lo meno “macroscopico; ma secondo me non solo”- è perfettamente riducibile al determinismo causale classico in quanto oggettivo divenire (ontologico) dei fenomeni naturali; ciò che non é possibile fare, ma Laplace ne era di già ben consapevole malgrado la taccia diffusa dai suoi molti (e conformisti) denigratori indeterministi, é rilevarne e/o calcolarne (epistemicamente) e in modo insuperabilmente approssimativo (di precisione limitata), , le rigorosamente inderogabili caratteristiche quantitative.
Circa i rapporti fra fisica e biologia, i sostenitori del paradigma della complessità sono soliti enfatizzare il fatto che “nel mondo vivente tendono larghissimamente a predominare sistemi complessi nei quali avvengono processi frutto di interazioni e scambi dagli esiti non del tutto prevedibili (in pratica, di fatto; ma non in linea teorica, di principio, N.d.R.)”. E in base a questo innegabile rilievo negano spesso la riducibilità del mondo vivente alla materia inorganica, nonché la compatibilità e la comprensibilità naturalistica dell’ integrazione di fatto esistente fra queste due componenti della realtà naturale qualora della natura minerale, non vivente si avesse una concezione deterministica.
In realtà non vedo come un rigoroso determinismo ontologico oggettivo inevitabilmente “sottostante” l’ indeterminismo (comunque limitato, “probabilistico” e non “caotico”! Ordinato e non disordinato!) delle conoscenze che di fatto possiamo ottenere in grandissima parte dei casi non dovrebbe consentire la perfetta riducibilità della biologia alla fisica-chimica: la biologia moderna ha dimostrato e continuamente dimostra, con certezza tendenzialmente sempre più salda e indubitabile, che quanto avviene fra gli organismi é proprio perfettamente riconducibile alle sottostanti interazioni molecolari o atomiche!
Anche per quanto riguarda le questioni poste dai crescenti progressi della neurologia in ordine alla filosofia della mente e ai rapporti fra materia (cerebrale) oggettivamente studiabile e coscienza fenomenica soggettivamente vissuta si insiste sul fatto che “Abbiamo svelato molti dettagli funzionali dei miliardi di neuroni che si agitano nel cervello, ma resta ancora difficile capire come i loro collegamenti [pretesi essere, N.d.R] disordinati attivino le modalità di pensiero.
Ma in realtà Anche i collegamenti sinaptici fra i neuroni, per quanto estremamente complessi e intricati, sono ordinatissimi in senso deterministico (cioé seguono inflessibilmente determinate modalità generali astratte universali e costanti), malgrado la loro estrema complicatezza li renda di fatto in larghissima misura imprevedibili.
Semplicemente, e considerando la questione in termini generalissimi e astratti, se il divenire reale della realtà naturale non fosse integralmente, “inderogabilmente” ordinato secondo modalità e leggi universali e costanti astraibili da parte del pensiero (cioé se fosse disordinato, caotico), allora non ne sarebbe possibile, per definizione, la conoscenza scientifica.
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1 Cito dall’ edizione UTET del 1967, pagg. 242 – 244 (Evidenziazioni in MAIUSCOLO mie):
<<Tutti gli eventi, anche quelli che per la loro piccolezza non sembrano ubbidire alle grandi leggi della natura, ne conseguono necessariamente, come ne conseguono le rivoluzioni solari. Non conoscendo i legami che uniscono tali eventi allo intero sistema dell’ universo, li si è considerati come dipendenti da cause finali o dal caso, a seconda che accadano e si succedano con regolarità oppure senza ordine apparente; ma queste cause immaginarie hanno subito un graduale regresso con l’ estendersi dei limiti della nostra conoscenza, fino a scomparire completamente DI FRONTE A UNA SANA FILOSOFIA, che non vede in esse altro che l’ espressione della nostra ignoranza delle vere cause.[omissis]
Dobbiamo quindi considerare lo stato attuale dell’ universo come l’ effetto del suo stato precedente e come la causa di quello futuro. Un’ Intelligenza che conoscesse sia tutte le forze da cui è mossa la natura, sia la corrispondente situazione dei componenti di essa, in rapporto a un dato istante, e che fosse inoltre così vasta da poter trattare l’ intera serie di tali dati per mezzo dell’ analisi matematica, abbraccerebbe in una sola formula i movimenti tanto dei maggiori corpi dello universo, quanto del minimo atomo. Nulla sarebbe incerto ai suoi occhi, ed entrambi presenti le risulterebbero il passato e lo avvenire
[qui finiscono di solito le maliziose citazioni dei suoi denigratori; ma il testo di Laplace continua- inequivocabilmente!- come segue].
Con la perfezione che ha saputo conferire alla astronomia, L’ INGEGNO UMANO OFFRE UN LIMITATO ESEMPIO DI TALE INTELLIGENZA. Le sue scoperte in meccanica e in geometria, aggiunte a quella della gravitazione universale, l’ hanno reso capace di abbracciare nelle medesime espressioni analitiche gli stati presenti e futuri del sistema del mondo. Applicando lo stesso metodo agli oggetti della sua conoscenza, l’ intelletto umano è riuscito a ricondurre i fenomeni osservati a leggi generali e a prevedere quelli che vengono prodotti DA DETERMINATE CIRCOSTANZE [e non: da ogni e qualsiasi circostanza, N.d.R]. Tutti questi sforzi nella ricerca della verità tendono ad avvicinarlo continuamente alla grande Intelligenza sopra nominata, DALLA QUALE RESTERA’ SEMPRE INFINITAMENTE LONTANO. Siffatta tendenza, tipica della specie umana, è ciò che ci rende superiori agli animali, e il progresso in tal senso distingue nazioni ed epoche e ne costituisce la vera gloria>>.