“Quo Vado?” è un film intelligente e divertente. Come commedia, rientra nella migliore tradizione della “commedia all’italiana”, non seriale ma di “ricerca”, mentre ha la grazia di affrontare con tocco lieve questioni importanti. La comicità di Checco Zalone, qui matura in una trama convincente, avendo l’umanistica capacità di accogliere l’opposto, il deriso. Ciò mi pare possibile per il suo condivisibile modello di intellettuale: 1) Zalone è laureato in Giurisprudenza e credo abbia avuto una qualche dimestichezza con attività e materie afferenti quei suoi studi, tuttavia dissimula l’astrattezza della legge e procede al punto; 2) parte quindi dal sentire popolare, popolaresco, di lì induce un punto di osservazione: ascolta, anzi aderisce alla vita (tradizioni,valori, gusti) del popolo, ma coglie nel “posto fisso” il punto storico, quello che permette la sopravvivenza del popolo, e, quindi, il punto di contatto e di confronto con le classi dirigenti, quelle che la storia la fanno.
Da Fantozzi a Checco
Quaranta anni fa Paolo Villaggio, attraverso Fantozzi, iniziava un viaggio analogo dentro il ceto impiegatizio; la differenza tra il pessimismo iconoclasta di ieri, contro l’omologazione e il realismo di oggi, risente della piega dell’epoca. Ieri, nella società a piena occupazione soprattutto settentrionale, si guardava al posto fisso criticandone i suoi aspetti alienativi (di qualità) \ oggi nel selvaggio liberismo il posto fisso è una risorsa, anzi una valore supremo per il popolo secondo il dogma del senatore Nicola Binetto (Lino Banfi). Questa evoluzione spiega anche le modalità del conflitto di allora, Fantozzi sempre incazzato (poi frustrato) nel rapporto con i superiori (fino al megadirettore “grandfigliodiput”) \ ora nella scanzonata rassegnazione di Checco di fronte l’accanimento della dr.ssa Sironi. Entrambi, questi poeti dei “ceti medi”, segnalano un metodo “antimoralistico” di approccio al mondo popolare, che riproduce i vizi dei ceti dirigenti e le necessità di sopravvivere dei diretti.
La solitudine del posto fisso
“Quo vadis domine?” chiese Pietro al Signore; “Vado a Roma per essere crocifisso nuovamente” la sua risposta. “Dove vado?” si chiede ora Checco. Allora qualcuno era interessato alle sorti dell’altro \ Checco rimasto l’unico a doversi muovere dalla sua tranquilla provincia da solo dovrà risolvere “dove andare”. Al bivio tra Ardeatina e Appia, Cristo sta venendo a Roma per “globalizzarsi”, Checco, dalla Roma miserabile delle stanze della burocrazia, viene spedito ob torto collo a “globalizzarsi”. Lui va.
Fondamento e crisi di Checco: umanesimo dell’intreccio
Checco ha dei fondamenti: la solida autorità e tradizione paterna, ancor prima della banale e distratta domanda del maestro su “cosa farai da grande?”, ha formato un intuito realistico (“voglio fare il posto fisso”). Il contesto meridionale, affettivo e sociale, ha confermato realizzandolo il proposito infantile. L’apice di questa prima fase formativa è il colto dialogo con il cacciatore che offre a lui una quaglia dopo aver ottenuto il rinnovo della licenza di caccia; conclude Checco “ma quale corruzione e concussione, questa è educazione verso i posti fissi”.
Arriva la crisi su questo suo mondo della “sicurezza” con la messa in mobilità e di qui inizia il pregevole movimento dialettico che da la cifra “umanistica” al film.
Fenomenologia di un Esodo
Si diceva di un popolo oramai ricaduto, nella premoderna, separazione dalle classi alte, una situazione di esodo (come direbbe Tony Negri). Da questa lontananza –dove non è possibile la relazione conflittuale di Fantozzi- le parole dei politici e le azioni dei tecnocrati appaiono disgrazie casuali, come la grandine per i contadini. Ad una possibilità storica, incazzarsi, è subentrata una necessità naturale, rassegnarsi. L’incontro tra i due mondi è quindi da evitare ma a volte succede. La dr.ssa Sironi, tagliatrice di teste che deve liberarsi dei posti fissi, impartisce rapide disposizioni ai mobilitati->riceve una firma liberatoria->distribuisce un assegno. Disciplina->riflesso approvativo->soluzione numeraria (denaro), il meccanismo deduttivo (alto->basso) è confermato e avvia un altro ciclo (sotto un altro) ma arriva Checco che inceppa il tic-tac. “Vado” il suo atto di volizione, perciò accompagnato da l’interrogativo (?) dall’indeterminatezza (dove vado?) slabbra il meccanismo, introduce libertà. Di fronte a questa improvvisa apertura la tecnocrate, col suo misero diagramma, si schianta rovesciando la prosopopea del suo dire nella passione isterica, nella “fissa” paranoica dell’accanimento invece Checco dimostra sul campo il suo sapere. La cultura di Checco dimostra tutta la sua “mobilità” (lui che era “fisso” ma fondato) sapendosi non solo adattare alla Sardegna e poi al mobbing ma comprendendo una società polare nel senso geografico della Norvegia ma anche nel senso dialettico, di opposta alla mentalità mediterranea, e infine giungendo ad attaccare, con realismo, l’ottusa cultura calabrese.
Fallimento tecnocratico
Facile qui sarebbe accostare la prassi irrazionale della dr.ssa Sironi all’approccio infantile della Fornero, che ha generato il mostro pensionistico, oppure alla povertà culturale (nel senso che non sa proprio cosa sia la PA) della spaurita Madia come d’altra parte è facile paragonare i grandi annunci del ministro Magno (omen nomen) alle roboanti iniziative dell’ex sindaco di Firenze. Più significativo invece è rintracciare Checco Zalone (persona-intellettuale) dietro il sapere di Checco (lo “scetticismo” del posto fisso) o meglio verificare quanto sa della PA e delle avventurose riforme. Zalone sa e ci mostra molto: la PA è stata il volano dei consumi attraverso le assunzione keinesiane di massa (“la prima repubblica non si scorda mai”) allo stesso modo ora è terreno per il tirocinio dei meccanismi tecnocratici, che qui falliscono e per l’esibizione retorica di politici senza qualità con il combinato che la Provincia ora si chiama Area Metropolitana. Da Bassanini, a Brunetta alla Madia, si assiste allo smantellamento del servizio pubblico, per il semplice motivo che non si affronta il problema che invece angustia Checco: lo Stato “dove va?” a “che serve?”. Per questo la dr.ssa Sironi agisce irrazionalmente, girando a vuoto, e ci appare inferiore a Checco, che utilizza il suo sapere per uscire dal vuoto e conoscere il mondo.
Il mondo educato di Checco
Fino a giungere in Africa, dove esplora, nella civiltà della sopravvivenza, la cosa che c’è sotto il suo fondamento, “il posto fisso” cioè la “sua” sopravvivenza. Il Capo tribù sa vedere i suoi sentimenti, la sua mozione morale (la fuga) nascosta dalle chiacchiere (le scuse); quel saggio sciamano ricompone “ragione e sentimento” (mentre Jane Austen non può riuscirci) l’amore di Checco per Valeria (Nobili il cognome ad indicare il suo idealismo) e la ragione, il posto. Checco scopre lì la comunità e trova una nuova protezione, una fissità più larga, ultra-individuale dov’è possibile superare lo scetticismo della sopravvivenza “egoistica” dentro una comunità sopravvivente. Checco approda a questa sintesi e la commedia al suo scioglimento perché si è andato educando (formando), in varia maniera, cioè ha ascoltato il mondo; di contro gli studi astratti dei tecnici e l’autismo dei politici governa la frammentazione meccanica del mondo, la maleducazione (mal-formazione).