Quella che oggi è andata inesorabilmente scomparendo, è l’onestà intellettuale, ovvero la fedeltà a principi cardine del nostro pensare, la coerenza tra idea e comportamento, il possedere la capacità di essere liberi. Perché libertà significa essere capaci di riflettere su sé stessi autonomamente, così come sul mondo e sul ruolo che ci siamo dati nel vivere non dogmaticamente le nostre convinzioni, è andare oltre la “narrazione” e la retorica di chi ha reificato il miscuglio inoffensivo di incazzatura che non da fastidio a nessuno.
Ammetto che l’attuale dibattito politico non mi appassiona, considerato anche lo “spessore” dei contendenti nell’agone della politica, dove ognuno rappresenta i propri interessi e quelli della classe dominante. Partecipano alla gara tanti Peppone e don Camillo, fans fondamentalisti, fautori di quella sorta di espressione primitiva della percezione: la fede, credenza da sempre in contrapposizione col dubbio e la ragione.
Vedo troppa piaggeria nei confronti di presunti leader considerati sempre più spesso infallibili, il culto della personalità ha già fatto abbastanza danni e la storia è lì a dimostrarlo. Molti faticano a comprendere che la critica va considerata metodo scientifico ed esercizio politico costante, un percorso dialettico di confronto, che dà continuità ad un processo teso ad una costante ricerca della verità, anche attraverso l’autocritica, la quale, come strumento politico, si basa sul fatto che l’esperienza rappresenta un banco di prova per valutare cosa di positivo è stato fatto ed i perché degli eventuali aspetti negativi, senza sconti per nessuno.
La fallibilità dell’”homo sapiens”, in politica, è dimostrata perché, una volta conquistato il potere, sente la brama di mantenerlo. Quando in noi un’idea prende il sopravvento e diventa dominante, possono formarsi irrigidimenti che non sopportano la complessità del nostro divenire, una sola idea che predomina, diviene autoritaria e si fa “religione”. Svuotato il significato, resta il significante e nulla cambierà, quando un popolo, delega al mito di “leader” la salvezza, quando il culto delle persone ha il primato e, da spettatori, proiettiamo in loro desideri, bisogni e sogni. Ai Peppone e don Camillo non resta che inseguire le “novità” che, come le onde, si susseguono, ed ogni volta, dopo le emozioni e le indignazioni, si accorgono che quelle sono prive di conseguenze, perché, come le onde, tornano indietro nel mare dell’inconsistenza.