La pubblicistica sul PD sin dalla sua nascita è stata sempre molto ricca; di recente, tra i saggi che ho letto sul tema il saggio di Antonio Floridia “PD un partito da rifare? Le ragioni di una crisi.”edito dalla Castelvecchi, presentato anche a Potenza dall’autore a cura del “Comitato Comunità e Sviluppo Basilicata”; quello di Goffredo Bettini “A sinistra da capo” ed. Paper FIRST e più di recente il saggio del giovane giornalista David Allegranti dal titolo “Viaggio nel partito di Elly Schlein” ed. da Laterza e presentato a Potenza nell’ambito delle iniziative estive alla presenza dell’autore e dell’ex parlamentare PD Salvatore Margiotta, protagonista, negli ultimi decenni, della vita politica locale e nazionale. Il lavoro di Allegranti merita di essere letto per la ricchezza delle interviste rilasciate da diversi esponenti di spicco del PD: da Del Rio a Bindi passando per Zanda, Guerini, Gori, Orlando, Cuperlo, Nannicini e lo stesso Margiotta. Il saggio è interessante perché ricostruisce la storia del PD, da Renzi in poi, attraverso le interviste rilasciate da vari esponenti politici.
In merito all’elezione della Schlein a segretaria del PD sottolinea giustamente la Bindi <<non si vince un congresso e non si vincono le primarie senza i voti dei presunti elettori o dei passanti, come diceva qualcuno. E non si vincono neanche se manca un sostegno dal partito. In questo caso, almeno metà partito in termini di appartenenza era sicuramente con Schlein. Franceschini, Orlando, Bettini, Zingaretti, Boccia sono tutt’altro che passanti. (…)>>.
Per cui è del tutto evidente che una metà del PD ha puntato sulla novità, ossia la vera cifra della politica italiana da quando gli elettori hanno iniziato a dare quel 25,55 % di consensi al M5S alle elezioni politiche del 2013 , il 40,81 % al PD di Renzi alle elezioni europee del 2014 per poi proseguire con il 33% al M5S alle politiche del 2018, il 34,26% alle elezioni europee del 2019 alla Lega di Salvini fino al 25,98% a Fratelli d’Italia alle elezioni politiche del 2022. Guardando il succedersi di questi risultati e soffermandoci ad analizzare i risultati delle primarie a partire da quelle che incoronarono a suo tempo Prodi, il numero dei partecipanti al voto e alle primarie si è ridotto progressivamente e coloro che decidono di andare al voto lo fanno puntando sulla novità. Sia chiaro elezioni politiche, elezioni europee e primarie del PD sono cose diverse, nonostante le specificità c’è una costante: la riduzione progressiva del numero dei partecipanti al voto. Alle ultime politiche ha votato il 64% degli italiani, l’elezione del Segretario del PD ha visto la partecipazione di 1.098.623 elettori rispetto ai 4 milioni delle primarie che individuarono in Prodi il candidato de l’Ulivo. Il PD alle politiche ha preso circa 5,4 milioni di voti e il 19,04% dei consensi, in termini assoluti 1 milione di voti più del M5S. In sostanza oggi il PD ha meno della metà dei voti presi dal PD di Veltroni e dal Pd di Renzi ed è persino sotto di 3 milioni di voti rispetto al PD con segretario Bersani. Di fronte a un dato di questo genere verrebbe da dire, leggendo poi soprattutto le varie interviste, che il PD è un partito in pieno marasma senile nonostante la giovane età. Fatta questa premessa passo ad analizzare alcuni punti dell’interessante saggio di Allegranti partendo dai fatti narrati dall’Autore per provare a dimostrare che il Pd, a certe condizioni, potrebbe uscire fuori dallo stato in cui versa e tornare a svolgere un ruolo centrale nella politica italiana. Sostiene l’autore che sul Congresso del PD ha aleggiato il fantasma di Renzi. Non poteva che essere così. Renzi non era un corpo estraneo al PD. Renzi si inserisce a pieno titolo nella progressiva trasformazione della cultura politica del centrosinistra iniziata con la fondazione del PD e la leadership di Veltroni. Una cosa è fare sintesi tenendo insieme i valori della tradizione della sinistra storica italiana rappresentata da PCI e PSI con la dottrina sociale della Chiesa per essere chiaro fino in fondo con il Codice di Camaldoli, altra cosa è pretendere di scimmiottare i Democratici americani con quel “I Care” di Kennedy. L’incontro tra cultura cattolica e comunismo ha origini antiche. Gramsci, ancora prima che diventasse “comunista”, nel 1918, in previsione della nascita del PPI , avvenuta l’anno successivo, oltre che guardare con attenzione alla nascita di quel partito auspicava l’incontro con i Cattolici. L’incontro tra Comunisti e Cattolici è stata la costante del rapporto tra quei due partiti. Il punto è che il PD nasce vecchio, questo è un dato da non sottovalutare. Le varie “terze vie” rappresentate dal New Labour di Blaire, la Neue Mitte di Schroeder, i New Democrat di Clinton erano sulla via del declino, l’Ulivo è stato la nostra “terza via”. Solo per inciso il saggio di Giddens con cui teorizzava la “terza via”, in Italia viene pubblicato con la prefazione di Romano Prodi. Il PD di Veltroni non solo è fuori dalle tradizioni culturali e politiche delle sinistre italiane e, più in generale anche, di quelle dell’Europa continentale; ma riesce ad essere altra cosa anche rispetto alla stessa proposta avanzata da Michele Salvati nel suo “Manifesto per il Partito Democratico”. Salvati auspicava l’incontro tra Socialismo e Liberalismo con il recupero della cultura Azionista. Cultura politica questa che, ad una attenta analisi, è stata fondamentale ai fini della fondazione della c.d. Seconda Repubblica. Quando il PD nasce siamo in presenza della crisi degli hedge found prima e dei debiti sovrani dopo. Sono entrambi segnali di una crisi profonda del modello neoliberale anglo-americano. Modello di capitalismo che spiegò benissimo a suo tempo Michel Albert in “Capitalismo contro capitalismo”, evidenziando come esso fosse alternativo al modello capitalista renano proprio dell’Europa continentale. Il capitalismo renano è l’ordoliberalismo, ossia l’economia sociale di mercato richiamata espressamente nel Trattato di Lisbona. L’economia sociale di mercato, come spiega molto bene Flavio Felice, ha rapporti stretti con la dottrina sociale della Chiesa. A partire dall’interpretazione originale di don Luigi Sturzo passando per il Codice di Camaldoli, per i governi di De Gasperi e Fanfani, si ha la prova del filo diretto che ha unito il Partito Popolare con i teorici del modello economico, sociale e politico rappresentato dalla Scuola di Friburgo. L’economia sociale di mercato non solo ha fornito il necessario supporto teoretico alla CDU in Germania e in Italia prima al PPI e poi alla DC ma, in Germania, il Congresso di Bad Godsberg ha visto la SpD aderire all’economia sociale di mercato rinunciando al marxismo e alla lotta di classe. Dalla lettura del settimanale Rinascita di fine anni ‘70 e primi anni ‘80 e dai documenti economici prodotti dal PCI negli anni ‘70 in poi, è possibile evincere come anche il “maggior partito comunista” dell’Europa Occidentale si fosse incamminato sulla stessa strada della SpD tedesca e cioè l’avvicinamento all’economia sociale di mercato. Con la crisi del 2008 – 2010 è lo stesso capitalismo a chiedere “più Stato” come prova il salvataggio delle varie banche private ad opera di Obama negli USA e dei governi britannici nel Regno Unito. Il PD culturalmente e politicamente sceglie di aderire in modo acritico al neoliberalismo anglo – americano con effetti devastanti, nel giro di pochi anni passa da 11 milioni di voti a poco più di 5 milioni delle ultime elezioni politiche. Il Jobs Act è un provvedimento neoliberale. La chiusura della “Sala verde”, come ricorda Orlando, è un dato culturale, politico e sociale non indifferente, è il rifiuto al confronto con le parti sociali. Il dire, come fa Renzi, che per gli operai ha fatto più Marchionne che i sindacati significa operare per destrutturare la società in funzione del mercato come unico strumento per la soluzione delle criticità causate dal finanzcapitalismo, tanto per ricordare l’eccellente formula coniata da Luciano Gallino. Artefice dell’americanizzazione del PD, oltre Veltroni, in parte è stato anche Bersani con quel continuo richiamo alle “liberalizzazioni” e con l’improvvida dichiarazione, in piena campagna elettorale, che in caso di vittoria comunque la linea del governo sarebbe stata quella già tracciata da Monti. Veltroni, Bersani e infine Renzi hanno segato il ramo dell’albero sul quale erano seduti. Renzi non è un corpo estraneo del PD: è esattamente la conclusione del processo di trasformazione in senso neoliberale del PD con l’aggiunta di una buona dose di populismo. Renzi è la risposta populista dell’establishment al populismo di Grillo. Entrambi i “populismi” non hanno nulla a che vedere con il “popolo”, per capirlo è sufficiente leggere quanto scritto e teorizzato sul tema da Laclau e Mouffe a proposito di “ragione populista”. L’oltre 40% di voti alle elezioni europee del 2014 è stato un voto, in parte, contro D’Alema e Bersani, non un voto per Renzi. Su quel risultato elettorale hanno pesato le scelte politiche dell’allora Presidente della Repubblica Napolitano che, analogamente al comportamento tenuto all’epoca dello scontro tra Berlusconi e Fini, dimenticando che l’Italia è una Repubblica parlamentare, fece decantare il tutto per imporre la propria volontà. Passata la sbornia delle elezioni Europee la partecipazione al voto è andata via via riducendosi con l’astensione e lo spostamento del voto dal PD prima verso il M5S e poi verso la destra ( Lega e Fratelli d’Italia), come evidenzia molto bene Cuperlo nell’intervista riportata nel libro di Allegranti. Per le ragioni che ho provato ad analizzare succintamente, il Congresso del PD non poteva che essere su Renzi non in quanto persona ma sul suo operato e su come si è arrivati ad una trasformazione talmente profonda che invece di portare crescita dei consensi ha prodotto il contrario. Dalla lettura delle interviste non mi sembra che il lutto sia stato in qualche modo elaborato. Goffredo Bettini titola il suo libro “A Sinistra da capo”: dal momento che ha sostenuto la Schlein, devo ipotizzare che la nuova segretaria rappresenti quell’essere di nuovo a Sinistra. Mi viene in mente una battuta che girava in rete subito dopo le elezioni in Spagna e il buon risultato dei Socialisti: ” Sanchez ha chiesto consiglio al PD e dopo ha fatto esattamente il contrario”.
Dice la Bindi << Personalmente penso che non si possano fare vere riforme se non si è radicali. La concezione del riformismo come declinazione dei propri valori e della propria visione del mondo in maniera, diciamo così, “ sostenibile” , ci ha portato a fare degli errori enormi. (…) Il Pd è nato in un momento in cui il cosiddetto riformismo, la Terza Via o il blairismo potevano ancora essere giustificati, anche se personalmente non ci ho mai creduto.(…) Ma oggi è cambiato il mondo. Anche chi ci credeva non può non vedere il fallimento del neoliberalismo e del capitalismo senza regole (…)>> Notare “capitalismo senza regole”, mi vengono in mente alcune pagine del compianto economista Salvatore Biasco, scomparso qualche tempo fa. Il Neoliberalismo e il Capitalismo senza regole sono, insieme, il modello di capitalismo anglo americano che descriveva a suo tempo Albert nel suo saggio di tre decenni fa. Quanto dichiara la Bindi fa il paio con quanto dichiara Graziano Del Rio:<<… penso che aver ridotto il dibattito alla differenza fra massimalisti e riformisti rappresenti uno dei limiti del Pd, perché la nuova cultura del Pd avrebbe dovuto rappresentare un’alternativa sia al pensiero liberale classico dell’individualismo, delle libertà individuali e dell’autoregolamentazione del mercato sia al protagonismo dello Stato inteso come grande Leviatano che risolve tutti problemi. In mezzo appunto, c’è la società, che deve essere in grado di tenere insieme questi due poli ( …)>> . Orlando nella sua intervista con molta onestà intellettuale riconosce i limiti insiti in un PD che vede il neoliberalismo anglo – americano coniugarsi con la post modernità. Lo riconosce nel momento in cui dichiara << Quando non sei in grado di esprimere un’identità definita sulle questioni più scabrose come il lavoro, provi a surrogare con altri temi non necessariamente meno importanti ma comunque più lisci perché già oggetto di incontro. Vale in altri ambiti, non solo quello dei diritti civili. (..)>>
Questo passaggio di Orlando è in combinato disposto con quanto detto da Del Rio in merito al DDL Zan. La domanda a questo punto sorge spontanea: la Schlein è in grado di offrire una prospettiva politica attorno alla quale organizzare prima le opposizioni e in prospettiva la coalizione per battere la destra – centro? Con tutta sincerità penso proprio di no. La Schlein è la riproposizione tout court di un Pd “americanizzato”. Leggo sempre nel saggio di Allegranti il quale riporta alcune frasi della Schlein << Redistribuzione . Delle ricchezze, del sapere e del potere. Vuol dire diritto alla casa, sì, che deve essere e tornare di casa in un partito di sinistra perché troppo a lungo non ne abbiamo parlato e abbiamo visto quali sono i risultati>> . Leggo oltre sempre dal saggio di Allegranti che il nemico è il neoliberalismo, mi viene quasi di salutare a pugno chiuso. Vado ancora oltre sui diritti civili “ Abbiamo una visione intersezionale che combatte qualsiasi forma di discriminazione, quelle razziste, quelle sessiste, quelle abiliste, quelle omobilesbotransfobiche>> e qui mi cadono le braccia e non perché vuole combattere il razzismo ecc ecc ma l’impostazione di fondo e cioè intersezionale. Ecco a voi l’americanizzazione del Pd , il processo è pronto per tagliare il traguardo.
Per quanto mi riguarda sarebbe stato sufficiente decliare il PD come centrosinistra ma anche, come la vecchia “balena bianca”, un partito di centro che guarda a sinistra. Il retroterra culturale della Schlein ascrive il PD all’area della post modernità, della French Theory che fa il paio con il neoliberalismo angloamericano che, però, la neo-segretaria dice essere il nemico. Non è assolutamente in grado di comprendere ed analizzare per poi tradurre in progetto politico l’analisi delle condizioni materiali secondo le quali il sistema opera. La Schlein di Sinistra? Siamo seri, di fronte alla proposta politica della Schlein risulta di sinistra la dottrina sociale della Chiesa e quindi l’economia sociale di mercato ossia l’idea di uno Stato forte capace di regolamentare il mercato affermando con forza l’idea dello Stato Sociale. Il PD sarà di sinistra non rispetto alla cultura politica di riferimento della Schlein ma rispetto alle risposte cha saprà dare alle domande che pone uno degli esponenti del PD intervistato, Gori: “Chi paga i costi della transizione ecologica, della transizione energetica, della digitalizzazione ecc ecc?. Le riforme radicali richiedono risorse finanziarie ed umane, richiedono coesione sociale e senso di appartenenza alla comunità, tutto il contrario di ciò che sostiene la Schlein con la sua esaltazione individualista ed identitaria funzionale al nemico che vorrebbe combattere : il neoliberalismo”. E’ rispetto alle scelte che il PD farà sul “chi paga i costi” che si gioca la possibilità di svolgere ancora una volta un ruolo centrale nella politica italiana non certamente nell’aver scelto la novità Schlein.