Questo mio intervento vuole essere una riflessione sul capitolo dedicato ai partiti o meglio un ragionamento sul III “racconto” del saggio dal titolo “Fare la guerra con altri mezzi. Sociologia storica del governo parlamentare” del sociologo della politica Alfio Mastropaolo. I partiti politici, seguendo la narrazione del prof. Mastropaolo, traggono origine dal conflitto politico che dall’Inghilterra del XVII secolo attraversò l’Oceano Atlantico per radicarsi, a seguito della Guerra d’Indipendenza, in quelli che sarebbero diventati gli Stati Uniti d’America. In Inghilterra la differenza tra Wighs e Tories è strettamente legata al conflitto tra prerogative del Parlamento da una parte e prerogative del Re dall’altra. Conflitto questo che si accentuò, e molto, nella seconda metà del XVIII secolo durante il Regno di Giorgio III. La figura di John Wilkes è fondamentale ai fini del quadro politico britannico del tempo e per comprendere come le profonde trasformazioni allora in atto determinarono la tradizionale divisione tra i Wighs e i Tories. Forzando, se volessimo utilizzare categorie post moderne, dovremmo dire che in quell’epoca si verificò il primo superamento delle differenze di destra e sinistra. Il mescolamento dei due schieramenti, finalizzato al mantenimento del potere da parte di gruppi di interesse, portò all’emergere di nuovi soggetti politici come la Society of Supporters of the Bill of Right (SSBR). L’organizzazione, nata a Londra nel 1769, adottò un programma in tre punti: riduzione della durata della legislatura a tre o addirittura ad un anno; richiesta di una maggiore rappresentanza del popolo; eliminazione del placement dalla Camera dei Comuni. Si potrebbe dire di essere in presenza di istanze di tipo democratico e di maggiore partecipazione. Le rivendicazioni delle classi popolari rappresentate dalle classi urbane e commerciali sono il sintomo delle trasformazioni in atto nella struttura sociale ed economica dell’Inghilterra dell’epoca. Sono gli anni nei quali inizia a farsi strada l’idea che un governo debba restare in carica fino a quando gode della fiducia del Parlamento, e gli anni della trasformazione del ruolo e della figura del Primo Lord del Tesoro in Primo Ministro. La SSBR ebbe una vita molto breve ma anticipò il movimento Cartista degli anni ‘30 dell’800. L’arco temporale che va dal 1760 al 1830,secondo lo storico inglese T. Ashton, racchiude gli anni della Rivoluzione Industriale. Quale miglior evidenza concreta per dimostrare come i partiti politici siano strettamente legati al ciclo economico e ai processi interattivi che lo determinano e rispetto ai quali il ruolo dello Stato è fondamentale, come emerge chiaramente dall’analisi di Mastropaolo nel capitolo del suo saggio dedicato al Mercato.
Anche negli USA la nascita dei partiti politici, di quelli che saranno i Democratici e i Repubblicani, inizialmente è legata a questioni relative all’assetto del nuovo Stato, federale o confederale; al ruolo del Senato, alcuni sostenevano che sarebbe dovuto essere ereditario; al ruolo della Camera dei Rappresentanti e dello stesso Presidente. Mastropaolo nel suo “racconto” indica come data di nascita dei partiti americani gli anni ‘20 dell’800, anche in questo caso lo sviluppo dei partiti e il rispettivo posizionamento rispetto al mercato elettorale si intreccia con le trasformazioni sociali ed economiche di quel Paese. Nel processo di trasformazione la Guerra di Secessione combattuta dal 1860 al 1865, ad esempio, ebbe un ruolo fondamentale nella ridefinizione tanto dei Repubblicani quanto dei Democratici. Al netto della sostanziale buona fede del Presidente Lincoln circa l’abolizione della schiavitù, il conflitto tra Nord e Sud nacque per questioni strettamente economiche. Gli Stati del nord richiedevano politiche protezionistiche a difesa e tutela della loro nascente industria ( per inciso da politiche protezionistiche prese spunto F. List per scrivere la sua opera più importante “Il sistema nazionale dell’economia politica” auspicando appunto che il Regno di Prussia, più in Generale la Germania, introducesse analoghe politiche a difesa della propria industria dall’invasione di prodotti dell’industria inglese) contro le istanze liberoscambiste avanzate dagli Stati del sud, i quali non solo utilizzavano manodopera di colore schiavizzata, in teoria meno costosa, e essendo esportatori di materie prime come cotone e tabacco verso il mercato britannico avevano poco da dividere con gli Stati del Nord. Lo sviluppo industriale degli stati del nord con l’affermarsi di monopoli, oligopoli, urbanizzazione ecc determinano profonde trasformazioni sociali come dimostrano L.Wirth e R. Park. L’emigrazione – solo per citare un dato, gli Stati Uniti passano da 40 milioni di abitanti del 1870 agli oltre 90 milioni degli anni 10 del 900 – contribuisce alla trasformazione della società americana come provano gli studi della “Scuola di Sociologia di Chicago”. Trasformazione ben descritta anche da opere letterarie come quelle di T.Dreiser. Rispetto ai mutamenti sociali ed economici Mastropaolo evidenzia, nel suo saggio, le ragioni per le quali negli USA non si affermarono mai un forte Partito Socialista o formazioni politiche alternative ai partiti Democratico e Repubblicano, come prova la meteora rappresentata dal Partito Populista. Analogo ragionamento vale per i partiti politici formatisi negli Stati Latino – Americani all’indomani dell’indipendenza: inizialmente il confronto riguarda l’assetto istituzionale che comunque si intreccia con gli interessi economici. Penso a quanto successe in quella che diventerà poi la Repubblica Argentina con il conflitto tra Federalisti e Unitari. Differenza questa dietro la quale si celavano gli interessi della borghesia mercantile di Buenos Aires opposti a quelli dei grandi latifondisti dell’entroterra. Il dibattito sull’assetto istituzionale del Paese, inizialmente non solo si divise tra federalisti e unitari ma addirittura rispetto ad istanze di tipo monarchico sostenute da Manuel Belgrano uno degli artefici dell’indipendenza prima della nascita di quella che è diventata la Repubblica Argentina. La nascita dello Stato Argentino nel 1862 con i successivi sviluppi portarono alla nascita dei partiti politici che troviamo ancora oggi nel panorama politico di quel Paese con il passaggio “dalla repubblica oligarchica alla società di massa”. Il peronismo, frutto dei cambiamenti che interessarono quel Paese nella prima metà del 900, è risultato di un contesto dove le trasformazioni sociali ed economiche sono fondamentali al fine della definizione degli interessi in campo. Nel vicino Cile, dopo gli anni di Portales che pongono le fondamenta dello Stato cileno, a partire dalla seconda metà dell’800, grazie alla scoperta dei ricchi giacimenti minerari (salnitro prima e rame dopo), nascono partiti politici che richiamano istanze che vengono dalla nascita di una borghesia e di un proletariato svincolato dal tradizionale conflitto tra interessi mercantili e interessi dei grandi proprietari terrieri che, invece, hanno caratterizzato la vita politica di molti degli Stati latino-americani. In Cile nascono partiti di ispirazione socialista, comunista, democratico cristiana che si aggiungono agli schieramenti tradizionali rappresentati da conservatori e liberali o meglio ancora da Blancos e Colorodados, definizioni queste ultime due che spesso finivano con identificare i diversi schieramenti. E’ sottinteso che le trasformazioni sociali ed economiche di Stati come Argentina, Uruguay, Brasile si differenziano da altri Paesi dove il fenomeno migratorio è stato di minore intensità. I dati demografici testimoniano le trasformazioni profonde che interessarono gli Stati elencati investiti dal fenomeno migratorio: dalla metà dell’800 ai primi anni del 900 il Brasile vede triplicare la popolazione che passa da circa 8 milioni a 24 milioni; Uruguay e Argentina vedono anch’essi triplicare la popolazione, il primo passa da poco più di 400.000 abitanti a oltre il milione; la seconda da circa 2 milioni a circa 7 milioni.
Mastropaolo, nel suo saggio, passa dall’analisi dei partiti negli USA a quanto succede in Europa: <<Nel frattempo, varcata la metà del secolo, i partiti moderni, avevano cominciato ad attecchire in Europa. Le comunicazioni erano già sviluppate a sufficienza perché le notizie sull’esperienza americana varcasse l’oceano. C’è da presumere che coloro che hanno fondato i partiti socialisti ne avessero qualche conoscenza. (…) >> Non è da escludere che tale ipotesi sia ampiamente fondata. Riprendendo il discorso rispetto agli sviluppi della politica britannica, la prima metà del XIX secolo vede una sorta di “ristrutturazione” dei partiti politici tradizionali: alcuni scompaiono, altri vengono fondati o rifondati. Nel 1834 nasce il Partito Conservatore come erede dei Tory. Il partito Liberale nascerà più tardi come erede dei Wighs. Negli anni 30 dell’800 si afferma il movimento Cartista inserendosi sulla scia delle istanze del movimento di J. Wilkes. Segnali, questi, delle trasformazioni sociali ed economiche che interessano quella grande isola. E’ chiaro che non siamo in presenza di veri e propri partiti in senso moderno, lo si può considerare comunque un chiaro indizio di come le classi sociali subalterne, e più in generale i loro interessi, inizino ad organizzarsi in funzione della battaglia parlamentare. Anche nel caso inglese il processo di trasformazione sociale ed economica dovuto alla rivoluzione industriale e all’emigrazione interna da Irlanda, Scozia e Galles verso le città industriali dell’Inghilterra ebbe un’importanza notevole. Per dare un’idea di cosa significarono quegli spostamenti: nel 1801 la Gran Bretagna aveva 11 milioni di abitanti 9 dei quali erano concentrati in Inghilterra; nel 1830 la Gran Bretagna aveva 16,5 milioni di abitanti, 14 dei quali concentrati in Inghilterra. Trasformazioni di questo tipo con una concentrazione enorme di uomini e donne in aree ristrette come potevano essere le città di Londra, Manchester, Liverpool ecc. sono state il lievito che determinò le analisi di Marx, Engels ma anche di Proudhon, Fourier, Mazzini, Pisacane, Bakunin, Lassalle, Bernstein solo per citarne alcuni. Seguendo il ragionamento di Gramsci, erano intellettuali organici ante litteram, nel senso che, pur da posizioni diverse, contribuirono alla nascita di partiti politici espressione delle classi sociali frutto della rivoluzione industriale. La nascita di partiti politici portatori degli interessi della neonata classe operaia non fu cosa semplice; essi furono il prodotto di una lenta presa di coscienza della classe operaia e il frutto di lotte contro gli Stati di classe della prima metà del XIX secolo, nati dall’accordo tra aristocrazia e borghesia. Le costituzioni ottriate concesse dai sovrani, la difesa della proprietà privata, dei privilegi di classe, il libero scambio, la sola tutela dei diritti di libertà individuale e l’impianto istituzionale con una camera alta ed una bassa come il diritto di voto legato al censo erano sistemi politici che escludevano le masse dalla partecipazione alla conduzione dello Stato.
La Rivoluzione francese che aveva prodotto, tra le tante cose, la legge Le Chapelier che aboliva le Corporazioni ma vietava qualsiasi forma di organizzazione dei lavoratori, considerate vero e proprio attentato alla libertà di impresa e della proprietà privata prevedendo addirittura la pena capitale, fu uno degli ostacoli da superare. Leggi di questo tipo erano presenti non solo in Francia ma in tutti gli Stati Liberali dell’epoca. Il fondamento giuridico di tali norme erano la libertà individuale, il diritto di proprietà e l’idea del contratto sociale. La Legge Le Chapelier venne parzialmente abrogata nel 1864 con la Legge Ollivier e definitivamente nel 1884 con la Legge Waldeck – Rousseau che legalizzò i sindacati. I provvedimenti adottati dai governi francesi di quell’epoca sono da considerare in linea con quanto stava succedendo in altri Paesi dell’Europa Continentale. Il riconoscimento dei sindacati si accompagnava al riconoscimento del diritto di sciopero. Il conflitto sociale non poteva che esplicitarsi nelle due piazze: una rappresentata dal parlamento l’altra dai luoghi del lavoro (fabbriche e latifondi). In Italia la nascita dei partiti politici segue lo stesso percorso degli altri Stati Europei tenendo sempre presente le specificità di ciascuno di essi. Sul tema la bibliografia è molto vasta, in questa sede mi piace ricordare il saggio dello storico Gabriele De Rosa dal titolo “I partiti politici in Italia”. Per comprendere il contesto che vede la nascita dei partiti politici bisogna sempre tenere presente le trasformazioni che interessano gli Stati Europei a partire dalla seconda metà dell’800. La Francia è interessata dalla Rivoluzione industriale a partire dagli anni 20 e 30 dell’800. Una spinta in tal senso era venuta sicuramente dall’età napoleonica durante la quale l’Europa continentale entrata nell’orbita francese, di fatto era stata integrata in modo funzionale alla sua economia; la Restaurazione pur ridefinendo confini e mercati non ridimensionò lo sviluppo industriale della Francia. La nascita dell’unione doganale degli Stati che formavano la Confederazione tedesca ( Zollverein) favorì il processo di industrializzazione in Germania. Tale processo in Germania, come in Italia, si rafforzò sul finire dell’800 grazie alle unificazioni: la nascita dell’Impero Tedesco nel 1871 e la nascita del Regno d’Italia nel 1861. Il “decollo industriale” degli anni 80 dell’800 e lo sviluppo industriale tedesco portarono alla nascita nel 1892 del Partito Socialista in Italia e al rafforzamento del Partito Socialdemocratico fondato addirittura nel 1863 in Germania. Bismarck, per ridimensionare il Partito Socialdemocratico, introdusse una serie di leggi a favore delle classi sociali meno agiate dando origine al Welfare State; per contrastare il Partito di Centro di ispirazione Cattolica avviò una vera e propria battaglia di tipo culturale (kulturkampf).
Sulla scia di Bismarck i governi Crispi vararono anche essi provvedimenti in materia di legislazione sociale. Con una battuta si può dire che si tratta di governi conservatori ed autoritari che utilizzano in combinato disposto “il bastone e la carota”. Anche l’Italia a partire dagli anni 80 del XIX secolo è interessata dalla sua rivoluzione industriale passata alla storia come “decollo industriale”. L’allargamento del diritto di voto ad opera di De Pretis, prima, e di Crispi, poi, è dettato dalla necessità di “nazionalizzare” il nascente proletariato in funzione del rafforzamento dello Stato. Da quanto riportato si evince come la nascita e lo sviluppo dei partiti si articoli rispetto agli interessi sociali ed economici che interagiscono all’interno di ciascuno Stato. Ritornando alla nascita dei partiti politici in Italia, mi preme sottolineare che il primo partito in senso moderno è il PSI fondato nel 1892 a Genova, mentre l’ultimo è il Partito Liberale e che, in linea di massima, questo è quanto accade in tutti gli Stati europei dell’epoca. C’è una ragione evidente. Nelle monarchie liberali e censitarie con costituzioni ottriate i ceti dominanti dell’epoca non avevano necessità di organizzarsi in partiti, il pensiero era unico, quello Liberale; i ceti dominanti si dividevano rispetto ad interessi specifici di classe, su questioni istituzionali tipo Repubblica o Monarchia, non certamente su temi molto forti che imponevano in campo economico e sociale politiche inclusive e mediazione dei conflitti sociali non tutti affrontabili con misure di ordine pubblico. Su come funzionassero i Parlamenti Liberali dell’800 è illuminante quanto scriveva Gaetano Mosca nel suo saggio “Teoria dei governi e del Governo parlamentare”. C’è un passo davvero interessante che riguarda il rapporto tra numero di eletti e numero di elettori nell’Italia Liberale della seconda metà dell’800. Il rapporto tra eletti e corpo elettorale era tale che per essere eletti erano sufficienti poche centinaia di voti se non addirittura, in alcuni collegi, poche decine di voti per cui, alla fine, per diventare deputato era sufficiente qualche “banchetto elettorale” al quale il candidato invitava gli amici aventi diritti al voto per essere eletto. Il Parlamentare così eletto era espressione di consorterie locali mosse da interessi specifici che trovavano soddisfazione nella mediazione che egli riusciva a fare a livello nazionale. La distinzione stessa tra Destra e Sinistra, presente nei primi parlamenti italiani, era espressione della logica descritta da Mosca. L’allargamento progressivo del Corpo Elettorale, su questo Mosca non era concorde, serviva appunto a “nazionalizzare” le masse ma, allo stesso tempo, serviva anche per allargare il consenso rispetto al leader di turno. Il Trasformismo iniziato con De Pretis, la cui paternità, però, come metodo politico risale al Connubio di Cavour, è la costante che caratterizza la storia politica italiana. Di recente il Trasformismo ha preso le sembianze dei Governi tecnici.
La nascita e lo sviluppo dei partiti, al di là dei proclami provenienti dalle rispettive culture politiche: Liberale, Conservatore, Socialista, Comunista, Repubblicano, Radicale, Cattolico, Nazionalista,sono determinati dal ciclo economico rispetto al quale essi svolgono la loro funzione, ciclo economico che, nel corso della Storia, li ha resi pragmatici modificando target elettorale e cultura politica. Le scissioni che hanno interessato, sin dalle origini, i partiti di ispirazione Socialista ne sono, forse, l’esempio più significativo. Con l’allargamento del Corpo elettorale, per dirla con il titolo del saggio di Mastropaolo, la competizione politica all’interno del sistema politico, passato progressivamente da Liberale a Democratico fino a Sociale per poi, a partire dalla “terza rivoluzione industriale”, diventare globale e neoliberale, si è tradotta in un “conflitto con altri mezzi” e cioè, a seconda delle condizioni materiali di quel dato contesto, in riconoscimento dell’avversario sconfitto, in diritto di tribuna, in rappresentanza degli interessi, in elaborazione culturale e in modello organizzativo.
I partiti politici moderni nascono nel contesto rappresentato dalla prima rivoluzione industriale e sono condizionati, come dicevo, dall’andamento dei cicli economici che, convenzionalmente, prendono a riferimento indici quali: produzione nazionale, occupazione totale, livello generale dei prezzi, innovazione tecnologica, fattori culturali e psicologici, ecc. Partendo dagli indicatori elencati i cicli economici sono stati così individuati: prima rivoluzione industriale dal 1780 – 1890; seconda rivoluzione industriale 1890 – 1945; il ciclo dei “trenta gloriosi anni” che va dal 1945 al 1989; alla terza rivoluzione industriale che è quella che stiamo vivendo e che, a mio parere, è terminata con la crisi dei “fondi spazzatura” e dei debiti sovrani. Non è mia intenzione analizzare gli aspetti economici di quella che io ritengo la fine di un ciclo economico, mi preme solo evidenziare, soffermandomi sul caso italiano, in quale modo i partiti politici si siano ad esso rapportati.
Ciascun ciclo a sua volta è stato suddiviso in sotto cicli o fasi. Un ciclo lungo come quello rappresentato dalla prima rivoluzione industriale contiene al suo interno alcune fasi. Non è un caso che gli economisti assegnino una durata di 5 – 12 anni ad un ciclo per così dire medio; la durata di 20 – 30 anni a grandi fluttuazioni e la durata di 2 – 3 anni a cicli molto brevi. Alla Prima Rivoluzione industriale si attribuisce un periodo lungo di oltre un secolo perché al suo interno vengono individuate diverse fasi che coincidono con il processo di progressiva industrializzazione che, partendo dalla Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, investirà l’Europa continentale. I cicli economici si caratterizzano per una fase di espansione alla quale succedono fasi discendenti ossia crisi economiche. Teorici dei cicli economici sono fondamentalmente Schumpeter e Kondrat’ev. Il primo legato ai circoli Viennesi che diedero origine all’economia marginalista, emigrata negli Stati Uniti a partire dalla fine degli anni 20 del 900 grazie ai lauti finanziamenti della Fondazione Rockfeller a molti dei suoi esponenti; il secondo, economista russo finito purtroppo in Siberia a causa delle sue idee durante il periodo stalinista. La maggior parte dei teorici dei cicli concordano con il paradigma “Schumpeter – Freeman – Perez” che individua, mutuando la terminologia dall’economista russo, diverse “onde”: rivoluzione industriale 1771; era del vapore e delle ferrovie 1829; era dell’acciaio, dell’elettricità e dell’industria pesante 1875; era del petrolio, dell’automobile e della produzione di massa 1908; era dell’informatica e delle telecomunicazioni 1971.
Partendo dall’inquadramento seppure per sommi capi dei vari cicli economici, provo a focalizzare l’attenzione su alcuni eventi significativi cominciando proprio dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda. Dalla metà del XVIII secolo al 1815, crollo dell’Impero Napoleonico, il conflitto politico tra i due principali partiti politici britannici dell’epoca è legato a questioni istituzionali e ai rapporti tra centro e periferia intendendo da una parte la difesa degli interessi dell’aristocrazia dall’altra gli interessi della nascente borghesia; da qui la politica internazionale fortemente espansionista e l’intervento sul continente al fine del mantenimento degli equilibri utili all’espansione coloniale britannica e in difesa del libero mercato. La crisi economica apertasi alla fine delle guerre napoleoniche portò con sé manifestazioni e scioperi da parte delle classi popolari. Significativo è l’episodio passato alla storia come “massacro di Peterloo” prendendo a riferimento in modo ironico la vittoria di Waterloo contro Napoleone Bonaparte. Il contesto determinò nel giro di qualche anno la nascita di quello che è oggi il Partito Conservatore, del Movimento Cartista e il progressivo superamento dei partiti tradizionali quali i wighs e i tories. Alla contrapposizione tra Liberali e Conservatori che interessa i vari Stati europei dell’epoca si intrecciano le istanze di unità nazionale e di indipendenza. Se ci soffermiamo sul solo caso italiano, si evince in modo chiaro come le lotte politiche inizialmente legate alla sola concessione della Costituzione si intrecciano via via con richieste di tipo economico prevalentemente di ispirazione liberali oltre che di indipendenza nazionale. Come esempio cito gli scritti di Cattaneo, Pisacane e dello stesso Mazzini. Proprio In Italia e in Germania quando sul finire del XIX secolo l’industrializzazione ha ormai interessato l’intero sistema sociale, assistiamo alla nascita di partiti politici moderni legati strettamente al contesto economico dell’epoca. Il riformismo di Turati è da questo punto di vista significativo al punto tale da provocare la reazione di Salvemini il quale esce dal Partito Socialista prendendo atto di come il socialismo riformista di Turati non avesse nulla a che fare con le istanze che venivano dalle plebi meridionali. Ad esempio in uno Stato come la duplice monarchia austro – ungarica i partiti politici più che “nazionali” sono etnonazionalisti. Anche in questo caso a determinare il posizionamento dei singoli partiti sono le condizioni sociali ed economiche dei gruppi etnici rappresentati. La duplice monarchia Asburgica auspicava partiti che attraversassero trasversalmente le singole nazionalità perché vedeva in un tale processo uno strumento per il mantenimento dell’unità dello Stato. Anche lo scoppio della Grande Guerra è da analizzare in relazione ai mutamenti della struttura sociale ed economica. L’esaurirsi dei mercati dopo la fase imperiale con la forte concorrenza tra Germania, Regno Unito, Francia, Russia e in subordine Italia determinò il riposizionamento dei partiti politici. Illuminante sugli anni che vanno dal 1890 al 1914 è senza dubbio il saggio di Marcello De Cecco “. La nascita, tra la fine dell’800 e gli inizi del 900, della Scuola economica di Vienna è il riconoscimento implicito della scarsità delle risorse e di come quindi le concessioni fatte dai governi dell’epoca in materia di orario di lavoro, salari e in alcuni casi di welfare fossero diventate insostenibili rispetto al contesto economico. La seconda rivoluzione industriale, quella che va dal 1890 al 1945, richiedeva economie di guerre da qui l’affermarsi di partiti nazionalisti. Il 1914 con lo scoppio del primo conflitto mondiale segnò l’inizio della Guerra dei trent’anni del 900. In questo arco di tempo i partiti politici si riposizioneranno rispetto al contesto sociale ed economico. I Partiti Comunisti, grazie alla presenza dell’URSS e del suo modello economico, svolgeranno una funzione egemone nell’alveo della sinistra; i partiti politici di ispirazione Socialdemocratica e Liberale di fronte alla radicalizzazione del conflitto tra destra e sinistra (Comunisti da una parte e Fascisti, Nazisti e Nazionalisti dall’altra) non furono in grado di rispondere in modo adeguato alla crisi economica che colpì il sistema nel 1929. La soluzione alla crisi furono politiche keynesiane applicate tanto negli USA quanto nella Germania Nazista. Il 1945 segna la fine del ciclo economico iniziato nel 1890. L’uscita dalla crisi è la distruzione dell’Europa con la ripresa del ciclo economico legato alla ricostruzione. La divisione in blocco del mondo: URSS – USA e la fine degli Imperi coloniali francese e britannico creando nuovi mercati alimentano la crescita. Pensare che la fase crescente di un ciclo economico possa dipendere, come sosteneva Schumpeter dall’innovazione tecnologica mi convince solo in parte. La fine del ciclo economico iniziato nel 1945 e terminato nel 1989 con il crollo dell’URSS comporta un mutamento profondo per quanto riguarda le culture politiche dei partiti e il posizionamento rispetto all’elettorato. Ognuno dei passaggi che ho esposto, seppure in modo succinto, più che approfondimenti è uno spunto per riflessioni aggiuntive. pensare che la fine della cosiddetta “Prima Repubblica”, o “Repubblica dei partiti” secondo la definizione dello storico Pietro Scoppola, con la conseguente scomparsa di partiti di lunga tradizione, in alcuni casi tout-court, in altri attraverso la modifica del nome e soprattutto della cultura politica di riferimento, sia dipesa da fatti interni è una teoria inconsistente. Stessa cosa dicasi per quella narrazione che descrive la stagione di “tangentopoli” come lotta per la moralizzazione della vita pubblica nazionale. Anche se su questa narrazione più di qualcuno ha costruito la propria carriera politica e giornalistica la ritengo inaccettabile. Dopo “Tangentopoli” il livello di corruzione politica non è affatto diminuito, con la differenza che prima le “tangenti” servivano a finanziare i partiti politici contribuendo al pluralismo politico e culturale; mentre nel contesto attuale il finanziamento, in parte legalizzato grazie alla normativa che prevede la possibilità di dare contributi detraibili a favore di partiti, liste e cartelli elettorali, non garantisce affatto il pluralismo culturale e politico, opera addirittura nel senso contrario per il semplice fatto che i contributi finanziano proprio quelle formazioni politiche in linea con il pensiero unico neoliberale. In sostanza siamo passati dalla “Repubblica dei Partiti” alla “ Repubblica degli Stakholders” . Gli unici ad avere cittadinanza politica e quindi di rappresentanza sono coloro che se lo possono permettere, nel senso che hanno risorse da investire al fine di aumentare il loro capitale di status sociale, intendendo con tale definizione ricchezza materiale e simbolica.
Dicevo convenzionalmente il ciclo economico iniziato nel 1945 termina nel 1989, almeno questo è una delle interpretazioni di massima alla quale ho fatto riferimento in questo mio scritto. Tanto Schumpeter quanto lo stesso Kondrat’ev individuavano cicli intermedi all’interno di cicli lunghi, per cui prima di giungere alla fatidica data del 1989, che coincide con il Crollo del Muro di Berlino e la fine dell’URSS, ci sono una serie di fatti che si verificano agli inizi degli anni 70 che danno l’avvio a quella fase storica che si conclude con la crisi degli hedge found e dei debiti sovrani. Sostanzialmente individuo tre fatti: il primo,nel 1971 il Gruppo dei Dieci firma lo Smithsonian Agreement con cui si pose fine agli Accordi di Bretton Woods e si ritornò alla fluttuazione dei cambi. Il secondo, l’11 settembre 1973 Golpe in Cile con il quale si avviò la reazione del Capitalismo contro qualsiasi ipotesi di redistribuzione della ricchezza a livello globale. La Dittatura di Pinochet, supportata sul piano dell’ideologia economica dalle teorie monetarista e marginalista, dimostra che il liberalismo può vivere e prosperare, visti gli indici di crescita che si registrarono, anche in sistemi politici autoritari nel caso specifico in una Dittatura militare. Il terzo, 1975 pubblicazione dello studio commissionato dalla Commissione Trilaterale scritto da Michel Crozier, Samuel P. Huntington, e Joji Watanuki dal titolo The Crisis of Democracy. On The Governability of Democracy. Noam Chomsky citò questo studio come esempio delle politiche oligarchiche e reazionarie sviluppate dal vento liberista delle élite dello stato capitalista cogliendo il progetto politico ed economico che gli agenti del capitalismo neoliberale avrebbero perseguito con ogni mezzo. Le politiche espansive degli anni 50 e 60 si chiudevano con un “gioco a somma zero”, secondo il titolo del saggio dell’economista Lester Thurow, in sostanza le proteste sociali degli anni 60 nei singoli Paesi Occidentali, le istanze di emancipazione nazionale e sociale che avevano portato alla fine degli imperi coloniali avevano, forse, per la prima volta intaccato lo status delle classi sociali alte. Non a caso Fred Hirsh nel 1976 parlò di “limiti sociali allo sviluppo”; Albert O. Hirschman in “ Le passioni e gli interessi. Argomenti politici in favore del capitalismo prima del suo trionfo” recupera l’idea di interesse economico come formulato da Adam Smith e dall’economia classica secondo cui, attraverso il mercato, l’individuo perseguendo il proprio interesse alimenta anche il benessere dell’intero sistema sociale. Mastropaolo nel suo saggio cita proprio Hirschman e in particolare il saggio di quest’ultimo dal titolo “Felicità privata e felicità pubblica”, pubblicato nel 1982, in cui individua nella ciclicità pubblico – privato l’andamento ciclico delle varie fasi dell’economia alle quali corrispondono azioni politiche determinate dal mercato elettorale.
Il contesto internazionale è tale che in Gran Bretagna va al governo la Thatcher, espressione del partito Conservatore, che smantella il Welfare State britannico, nato come controparte al sistema liberale per le masse proletarie per la fedeltà mostrata durante il conflitto bellico; privatizza le ferrovie e settori industriali strategici; promuove la flessibilità del mercato del lavoro, ecc. Ken Loach con i suoi film descrive magistralmente le trasformazioni della società britannica a partire da quella stagione di riforme. Da notare anche il mutamento del linguaggio: le politiche riformiste non sono più esclusivo appannaggio dei partiti politici socialdemocratici e lo diventano anche dei partiti conservatori e neoliberali. Negli USA viene eletto presidente Ronald Reagan che, consigliato da economisti quali Freedman e Laffer, darà inizio alla reaganeconomics.
Il processo avviato dal capitalismo neoliberale di matrice anglo – americana nel giro di pochi anni ribalta i paradigmi fino ad allora dominanti. La fine dei paradigmi economici Keynesiani ma anche quelli dell’economia sociale di mercato; quest’ultima spiegata molto bene dall’economista Jean Alber, che analizza il modello di capitalismo renano contrapposto a quello angloamericano. L’azione condotta dai governi USA e UK nel giro di pochi anni determina il crollo dell’URSS e la fine della divisione del mondo in blocchi. E’ la globalizzazione e con essa si aprono nuovo mercati, nuove occasioni di investimenti, un nuovo modo di interpretare le relazioni sociali e il ruolo dell’individuo.
Dunque è nella prima metà degli anni 70 del 900 che va fissata la fine del ciclo iniziato all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale. Partendo da questo dato, come dicevo, pensare che la crisi dei partiti italiani sia da ascrivere alle inchieste della Procura di Milano è una idea debole. Nella seconda metà degli anni 70, dopo il Golpe cileno, era fin troppo chiaro che il mondo stava cambiando e che ci si trovava di fronte alla reazione del capitalismo che trovava nell’economia neoliberale il supporto ideologico. Di questo cambiamento è consapevole Berlinguer e traspare dalla strategia del PCI di quegli anni. In quegli anni viene coniato il termine stagflazione con il quale vengono stigmatizzate le politiche di spesa in deficit fino ad allora praticate sostenendo che esse invece di produrre sviluppo determinavano inflazione e stagnazione. L’economista Franco Modigliani molto attento alle cose italiane apprezza la svolta del PCI e della CGIL rispetto alle politiche del Lavoro (in Barba e Pivetti La scomparsa della sinistra in Europa. Ed. Meltemi); il PSI a guida Craxi superati gli anni del centrosinistra si avvicina al Liberalismo avviando la competizione sia con la DC che con il PCI. I partiti di sinistra, sia comunisti che socialisti, in tutta Europa si affannano, influenzati dal teorema dell’elettore mediano elaborato da Duncan Black e da Anthony Downs, e finiscono con il confondere il voto mediano appunto con la classe media. Quando in Italia scoppiano le inchieste della Procura di Milano il processo di trasformazione in senso neoliberale è molto avanti, gli 80 del 900 sono anni di attesa; con la fine dell’URSS e quindi con la Globalizzazione il sistema dei partiti italiani diventa una esternalità del mercato che il capitalismo nazionale non può più mantenere. La trasformazione in senso neoliberale della nostra economia era stata già avviata negli anni 80, risale al 1981 la “lite delle comari”, ossia lo scontro tra Andreatta ministro del Tesoro e Rino Formica Ministro delle Finanze circa la “separazione dei beni” tra Tesoro e Banca d’Italia guidata da Carlo Azeglio Ciampi. Questo è solo il primo passaggio che porterà i partiti politici italiani, sia prima che dopo tangentopoli, ad assecondare la trasformazione in senso neoliberale del nostro sistema economico. A partire dalla fine dei partiti e con essi della “Prima Repubblica” le politiche economiche, finanziarie e sociali dei governi che si sono succeduti hanno avuto come obiettivo la privatizzazione degli asset pubblici, la riduzione del debito pubblico, il decentramento istituzionale, la flessibilizzazione del mercato del lavoro. Le sinistre, sconfitte in tutta Europa e negli stessi USA (sempre ammesso che i Democratici americani possano essere considerati di sinistra), per ritornare al governo da “rossi” si annacquano fino al punto di diventare di un rosa pallido che tende all’incolore. Ad iniziare la stagione politica della Terza via ispirata dal sociologo inglese Giddens è il Labour Party guidato da Tony Blair. In Germania è la SpD di Schoereder con la neumitte; negli USA i New Democratic di Clinton, in Italia è l’Ulivo. Il ciclo economico iniziato negli anni 70, con il Rapporto della Trilaterale e con l’ascesa del capitalismo neoliberale di matrice angloamericana, trionfa costringendo i partiti politici dei sistemi liberaldemocratici a ripensarsi riposizionandosi rispetto al contesto. Questo processo viene favorito sul piano culturale dalla contestazione del ‘68, quella che Boltanski e Chiapello definiscono “artistica”, dalla critica alle ideologie operate dal postmodernismo. Il relativismo, il costruttivismo e il post-modernismo finiscono con il fornire il miglior assist alla reazione capitalista. Il vuoto creato dalla critica alla modernità viene occupato in modo totalizzante dal neoliberalismo insieme all’ideologia economica ed etica dell’individuo. Un combinato disposto che è stato capace di mettere in discussione prima la socialdemocrazia ed oggi la stessa Democrazia, come prova tutta una corrente di pensiero, ben rappresentata da Jason Brennan con il suo saggio dal significativo titolo “Contro la democrazia” editto dalla LUISS, che auspica la limitazione del voto e una sorta di ritorno ai sistemi liberali censitari, sistemi elettorali il cui fondamento era l’idea che il diritto di voto spettasse solo a chi avesse interesse, tra questi i proprietari.
Per cogliere fino in fondo il riposizionamento rispetto al ciclo economico, è istruttivo quanto è successo negli ex paesi del Blocco Sovietico: quelli che non si sono estinti, hanno cambiato nome e in molti casi, forse l’esempio più eclatante è quello polacco, hanno guidato il processo di trasformazione in senso neoliberale di quelle economie. Oggi in Polonia, ma più in generale, in quasi tutti i Paesi occidentali la contrapposizione tra diversi schieramenti si gioca nell’alveo neoliberale tra sovranisti e globalisti.
Ritornando per concludere al saggio di Mastropaolo “Fare la guerra con altri mezzi. Sociologia storica del governo democratico”, i partiti politici per come li abbiamo visti nascere e trasformarsi non esistono più. Siamo in presenza di cartelli elettorali, di partiti personali, di movimenti privi di cultura politica nati da mere operazioni di marketing e comunicazione politica. Il Sociologo della politica Paolo Gerbaudo ha dedicato diversi studi al “partito digitale” analizzando Podemos, Il M5S, Insoumise, Piraten ed altre formazioni politiche nate dalla crisi dei partiti moderni e delle culture che li supportavano. La fine del finanziamento pubblico dei partiti e la mancata attuazione dell’art. 49 della Costituzione, in sostanza, ha quasi annullato il pluralismo politico e culturale garantito proprio dall’esistenza di partiti politici organizzati e strutturati. Restando in Italia, il finanziamento pubblico garantiva l’esistenza di fondazioni, centri studi, giornali e riviste di partito, tutti strumenti di partecipazione democratica ed elaborazione del pensiero. Oggi nel vuoto, come dicevo, c’è il totalitarismo rappresentato dal capitalismo neoliberale. Il conflitto è stato spostato dalle rivendicazioni sociali a quelle identitarie e come scrive giustamente Mark Lilla le rivendicazioni identitarie non sono di sinistra, direi non sono nemmeno democratiche. La risposta alla domanda finale del saggio di Mastropaolo, ossia il pericolo che la Democrazia possa diventare un sistema non inclusivo, è nel ripensare la forma partito riconoscendo che il capitalismo vive e si rigenera con le crisi che esso stesso determina e che la cultura politica da contrapporre all’Individualismo neoliberale è nel recupero dell’idea di Comunità. Le riflessioni circa il Comunitarismo come antitesti all’Individualismo merita non una ma più riflessioni specifiche.
Bibliografia minima
- Mastropaolo. Fare la guerra con altri mezzi. Sociologia storica del governo democratico. Ed. il Mulino
- Ashton. La rivoluzione industriale 1760 – 1830. Ed. Laterza
- Wirth. L’urbanesimo come modo di vita. Armando Editore
- Burgess, R. Park, R.McKenzie. La città. Ed. di Comunità
- Dreiser. Il Titano. Ed. Mondadori
- Fiorani. I Paesi del rio de la Plata. Ed. Giunti
- R. Stabili. Il Cile. Ed. Giunti
- De Rosa . I partiti politici in Italia. Ed. Minerva Italica
- Buttler. La Scuola austriaca di economia: un’introduzione. Ed. IBL libri
- A. Schumpeter Teoria dello sviluppo economico. Ed. Rizzoli ETAS
- Zanin – Joseph A. Schumpeter . Ed. Bruno Mondadori
- Kalecki. Teoria della dinamica economica. Saggio sulle variazioni cicliche e di lungo periodo nell’economia capitalista. Ed. Boringhieri
- Marcello De Cecco “Moneta ed Impero. Economia e finanza internazionale dal 1890 al 1914”ed. Donzelli 2016
- Thurow. La società a somma zero. Ed. Il Mulino
- Hirsh. I limiti sociali allo sviluppo. Ed. Bompiani
- Hirschmann. Felicità privata o felicità pubblica. Ed. il Mulino
- O. Hirschmani. Le passioni e gli interessi. Ed. Feltinelli
- Gerbaudo. I partiti digitali. Ed. il Mulino
- Brennan. Contro la Democrazia. Ed. LUISS
- M LillaL’identità non è di sinistra. Oltre l’antipolitica. Ed. Marsilio
- Bauman. Voglia di comunità. Ed. Laterza
- David Harvey. Breve Storia del Neoliberalismo” ed. il Saggiatore
- Boltanski, E. Chiapello. Il nuovo spirito del Capitaliamo. Ed. Mimesis
- Mosca. Sulla teorica dei governi e sul governo parlamentare: studi storici e sociali. Tipografia dello Statuto – Testo completo sito Bibliografia del Parlamento.
- Sabbatucci. Il trasformismo come sistema. Ed. Laterza
- Follini. C’era una volta la Dc. Ed. Il Mulino
- Boccetti. Il Pds. Ed. il Mulino
- Galli. Ma l’idea non muore. Storia orgogliosa del Socialismo italiano. Ed. Marco Tropea
- Friedman. Capitalismo e Libertà. Edizioni Studio Tesi
- Giddens. Oltre la destra e la sinistra. Ed. il Mulino.
- stasi. Le origini del nazionalismo in Polonia. Ed. franco Angeli
- Giurato. Stato, corona e chief Ministers- L’evoluzione politico – istituzionale inglese in età moderna. Edizioni Il Chiostro .
- Albert. Capitalismo contro capitalismo. Ed. il Mulino
- Rhode. Capitalismo woke. Come la moralità aziendale minaccia la democrazia. Fazi Eitore
- Piketty. Il capitale nel XXI secolo. Ed Bompiani
- Zuboff. Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri. Ed. LUISS