Si trova sempre nel medesimo posto, ma è come se gli fosse caduto un velo dagli occhi o se, essendo miope (ma lui non lo è!), avesse inforcato un paio di occhiali: adesso nota un’infinità di particolari cui non aveva mai fatto caso – particolari che, combinandosi assieme, ridisegnano l’aspetto del quartiere e lo imbruttiscono oltre ogni dire. Gli intonaci dei palazzi non sono affatto in ordine, bensì butterati, ricoperti di muffa e incisi da allarmanti crepe, mentre gli infissi appaiono scoloriti e cadenti e molti tetti sono semplicemente in rovina. Sotto lo strato di neve si aprono grandi buche sui marciapiedi che contornano la carreggiata, a sua volta sconnessa, e gli alberi crescono striminziti e storti: l’intero abitato sembra in abbandono. Una città fantasma popolata da morti viventi… è questa l’impressione che ricava Marco guardandosi attorno desolato. Affibbiandomi il maledetto anello sono riusciti a nascondermi per anni lo stato di… putrescenza dell’ambiente in cui viviamo – realizza –, imbellettando (non adopererebbe questo vocabolo, giacché non l’ha mai udito) un cadavere per conferirgli un’apparenza di vitalità. Rinfila il cerchietto al dito e, come previsto, tutto rientra in una tranquillizzante “normalità”. Chissà com’è il resto – sibila con un sogghigno amaro – chissà in che condizioni è casa mia… è ora di ritornare.
Si incammina curvo, con ancor più circospezione di prima: il suo mondo sarà pure un’illusione, ma i pericoli sono – ahilui! – reali, e non gli va di inciampare e rompersi un arto. Tutto falso dunque? La cornice, il quadro… pure i sentimenti con cui ha così scarsa dimestichezza! Marco è davvero scorato, e spera solo di non incrociare altri passanti lungo la via del ritorno. File di lampioni spandono una luce livida e fioca.
È quasi giunto a destinazione quando ode un richiamo alle sue spalle che lo fa sobbalzare: si volta di scatto e incontra lo sguardo sornione di “Luigi”. Il manager veste un pellicciotto e si ripara dal nevischio sotto un ombrello colorato. «Buona serata, caro Marco!»
Lo stupore iniziale presto si tramuta in irritazione, ma a frenare il giovane è il timore reverenziale nei confronti dell’élite che gli è stato inculcato sin da bambino. Inoltre è stato colto alla sprovvista ed è incerto sulle effettive intenzioni di quel tizio: sarà un amico o un nemico? Ciò di cui è oramai sicuro è che l’anello che porta al dito è (non solo, ma anche) un localizzatore… Mormora un frettoloso «Buonasera a lei» e poi tace, dandogli la schiena: magari se ne andrà, l’importuno.
Luigi avvia invece la conversazione: «Allora, mio giovane impiegato, che te n’è parso della cena offerta? Mi auguro te la sia goduta…»
«Certamente, la ringrazio ancora – ammette Marco, che poi si permette una punzecchiatura – Peccato solo che da domani tornerò a mangiare minestrine…», sorride di sghembo.
«Domani però non vuol dire per sempre – gli strizza l’occhio l’uomo impellicciato – Non lo sai che i più meritevoli possono fare carriera? Il merito è la chiave di tutto…»
Quella vaga lusinga non blandisce il giovane, poco propenso a fidarsi. «Immagino che sia venuto fin qui per dirmi qualcos’altro, mi sbaglio? Non ho passato tutto il giorno a ingozzarmi, se vuole saperlo…», soggiunge piccato.
«Lo supponevo, lo supponevo – ripete Luigi, assumendo un’aria pensosa – Avrai di certo appreso qualche cosa di utile in queste ventiquattr’ore, e ti sarai posto un mucchio di interrogativi, dal momento che sei una persona molto molto intelligente. Se vuoi, se ti va, puoi rendermene partecipe…»
Marco si schermisce, infastidito: «Non mi risulta di essere una persona intelligente, no davvero, anche se è la seconda volta che ricevo un simile complimento, oggi – fa una smorfia – Però, siccome lei è così gentile con me, approfitto per chiederle di… una guerra terminata, ma mai veramente finita. Le andrebbe di dirmi qualcosa in proposito?» scandisce bene le parole.
Il manager risponde con noncuranza: «Non ti confondere, stai parlando di due… eventi, di due fenomeni diversi, imparagonabili. Il grande conflitto fu davvero tale, rischiò di sterminarci tutti… e io lo so, poiché ho contribuito a provocarlo – un lampo maligno gli attraversa lo sguardo – Questi, che durano da decenni, sono modesti scontri di frontiera, nient’altro che una guerricciola… Serve a tenere il nemico sotto pressione, a impedirgli di rialzare la testa».
«Neanche i nostri caduti inermi rialzano la testa – replica secco l’impiegato – Ma forse va bene così… una mia curiosità: cos’erano gli… stati?»
«Strutture organizzative arcaiche, poco efficienti… altrove ne esistono ancora, sai? In Occidente per fortuna non più: erano organizzazioni farraginose, lente, che funzionavano male. L’avvento delle imprese private ha cambiato in meglio il nostro mondo: anziché sterili discussioni oggi abbiamo decisioni rapide e immediatamente attuate, ciò che ci vuole, insomma, affinché una società libera possa prosperare».
«D’accordo, però… – non si perita di obiettare Marco – se tutto funziona così perfettamente per quale ragione ci fate portare… questi? – sfiora con l’unghia l’anello che ha al dito – Avevo il sospetto che servissero a controllarci, forse persino… a leggerci dentro, non che… come posso dire? ecco, truccassero la realtà per farla sembrare meno brutta… Inoltre – insiste, caparbio – perché mai certe regole valgono solo per noi, e non per voi signori? Non lo comprendo né mi pare giusto, se posso permettermi, signore!»
Luigi abbassa il capo, come per raccogliere le idee, poi nel rispondere sfoggia un’espressione grave: «Le norme, persino i divieti sono fatti per proteggervi, anche da voi stessi, fidati… il popolo ha bisogno di essere guidato alla felicità, sennò rischia di smarrirsi per strada… noi ci siamo accollati questo compito, che è un fardello pesante da portare».
«La fe-li-ci-tà» sillaba il giovane, per nulla convinto, ma il suo interlocutore non ha ancora concluso: «… certo anche noi ne commettiamo di errori, e alcuni miei colleghi hanno perso di vista il fine ultimo, che è il benessere generale. Io sono fra coloro che criticano certe… storture, che vorrebbero tornare al progetto originario… riesci a capirmi?»
«No, non credo di capirla – fa di rimando Marco, guardingo – ma d’altra parte sono soltanto il numero 2039, uno dei tanti… a proposito: quanti siamo?» lo interroga, cambiando di colpo argomento.
Questa volta è Luigi a rimanere interdetto: «In che senso quanti siamo?»
«Su questa terra intendo – chiarisce il giovane impiegato – prima del gran conflitto eravamo… erano in otto miliardi… quanti al giorno d’oggi?»
«Un decimo di quella cifra, forse meno – dichiara serafico l’azzimato manager – In ogni caso il numero massimo di individui che un pianeta esausto può sostentare – il tono gli si addolcisce – Prima di salutarti ci tengo a dire che hai sfruttato meravigliosamente questa giornata, hai imparato parecchio e ti sei posto domande sensate… Avevo visto giusto puntando su di te, carissimo Marco, sarai chiamato a ricoprire un ruolo significativo… ora ti lascio, domani devi alzarti presto. Ancora Buon Natale, brinda alla mia salute se non ti sei già scolato tutte e due le bottiglie» gli fa l’occhiolino, prima di allontanarsi a passi felpati e svanire nel grigiore della sera.
Finalmente se n’è andato – pensa Marco, nervoso, e composto frettolosamente il codice alfanumerico si rifugia nel palazzone che lo ospita, poi sale a piedi, di corsa, fino al sesto piano. Le scale e i corridoi sono deserti, lui si chiude la porta alle spalle ed emette un gemito. È stanco, triste… estenuato. Un puzzo di chiuso, di stantio impregna l’aria. Chissà come si presenta realmente il suo alloggio… non ha nessun desiderio di appurarlo, meglio bersi lo spumante rimasto e cacciarsi sotto le coperte. Rovista nelle tasche in cerca di un fazzoletto (gli cola il naso, spera di non essersi beccato un malanno), ma vi trova solamente un foglietto di carta ripiegato in quattro. Lo distende, e vi legge due frasi abbastanza sibilline scritte in stampatello maiuscolo. La prima dice: “Il villaggio della terza età dove spediranno me oggi e voi presto è sulla collina a sud sormontata da una ciminiera”, la seconda, invece: “Se avete voglia e coraggio di capire prendete la via del bosco e dirigetevi verso l’altopiano a nord”.
Marco rabbrividisce e strappa il messaggio: no, meglio non togliersi l’anello color rame. Spalanca lo sportello del frigorifero e afferra la bottiglia superstite: avanza un quarto di vino. Lo ingolla in una sorsata, e non brinda.
Fanculo al Natale e a Luigi: la vita è un irrimediabile orrore.
SERA DEL 31 OTTOBRE 202X
L’annunciatore radiofonico dalla voce tremula viene zittito di botto da una cacofonia di scariche elettriche, cui subentra un pauroso, innaturale silenzio – nel frattempo è saltata pure la luce.
«Ci siamo – commenta Libero, impizando con l’acciarino una delle candele che previdente ha sistemato sul tavolo. È seduto di fronte a Zanetti nel giardino della sua casupola sull’altipiano – stiamo per assistere a uno spettacolo pirotecnico senza precedenti né repliche».
«Non so come tu riesca a essere così… distaccato – lo rimprovera Ciano, aggrappandosi al fiasco ormai semivuoto – Mi me stago cagando ‘dosso, confesso… e non me ne vergogno. Mi sembra di essere una comparsa del film Day after, porca vacca! Inoltre non vedo più niente, neanche il piatto…»
Sassinovich si empie per l’ennesima volta il bicchiere: «Fra un po’ avremo a gratis tutta la luce che ci serve, e anche di più – ansima – Firmerei per il prolungarsi all’infinito di questa luminosità fioca, da tempi andati… quelli in cui il peggiore fra gli esseri umani poteva al massimo mettere a ferro e fuoco una città e bruciare le messi. Rassegniamoci all’inevitabile. Su, bevi! – esorta – solo nei romanzi vale la pena di entrare nella morte a occhi aperti».
Ciano fissa inebetito la fiammella dorata: «La caduta del muro doveva risolvere tutto, no? Garantirci prosperità e pace… io ci ho creduto, tu no… e brutto stronzo d’un commissario, anche su questo avevi ragione!» esplode in una risata isterica, senza allegria.
Libero gli dà uno schiaffetto sulla guancia vizza e cascante: «Stasera ragioni e torti si annullano, non te l’hanno detto? Beh, neppure a me… fino a ieri dettavano proclami trionfalistici: i cattivi cederanno, si arrenderanno, caleranno le braghe, imploreranno il perdono dei giusti… gli ammonimenti non sono stati ascoltati, pazienza. Pazienza, pazienza…» ripete a disco rotto, scolandosi l’ottavo. Un’isolata raffica di vento fa rabbrividire entrambi.
Inizia in sordina, a occidente, con un esile zampillo di fuoco, simile a quelli che scaturiscono da vulcani e fontanelle la notte di san Silvestro; poi, benché il cielo sia stellato e splenda la luna, balugina lontano un lampo verdastro, ma non è l’annuncio d’un temporale fuori stagione: un accecante, velenoso fungo multicolore compare senza preavviso all’orizzonte, crescendo a velocità vertiginosa e illuminando a giorno la scena… no, il chiarore del giorno è un’altra cosa, questo è abbagliante, malato e sgradevole come il neon di un ospedale… o di una camera mortuaria. La nuvola rossastra non smette di inerpicarsi: sovrasta oramai le vette alpine, che si stagliano nitide adesso sullo sfondo. In basso il mare ribolle.
Senza bisogno di intimazioni i due amici si chiudono in uno smarrito mutismo: per cinque minuti, forse più, in giardino non vola una mosca.
«L’obiettivo doveva essere la base aerea yankee… mi sa che il prossimo colpo è destinato a noi – borbotta infine Zanetti, scioccato ma lucido; poi prende a divagare – Ho letto sul giornale che parecchia gente ha attrezzato taverne e persino cantine come rifugi antiatomici… peccato non avercene una, di taverna voglio dire… avrebbe fatto comodo».
«Sì, potrebbero anche tirarci addosso una bomba, ma ne dubito – ribatte Sassinovich, cogitabondo – se non altro perché se avessero avuto questa intenzione avrebbero montato sul vettore due testate anziché una. I porti fanno gola, ma un centro pieno in Campania o sulla costa californiana vale dieci volte tanto… e poi, a quel che mi risulta, i bersagli più ambiti sono gli aeroporti militari, le infrastrutture radar, le rampe di lancio e i… come diavolo si chiamano? i silos in cui sono alloggiati i missili. Le città vengono molto dopo… ma non è detto che sia una fortuna».
«Adesso però non ti seguo – commenta Ciano, confuso – prima dici che potremmo cavarcela per il rotto della cuffia, poi che sarebbe peggio…».
«Voglio dire che fra le varie prospettive quella di finire vaporizzati all’istante potrebbe non essere la più spiacevole – si spiega mogio l’ex commissario – poiché l’alternativa maggiormente probabile è una lenta, penosa agonia. Lasciamo da parte il fallout radioattivo di cui si straparla: ci vogliono anni prima che ti ammazzi, credo… no, non alludo a questo. Mi spaventa assai di più l’ipotesi concreta di un blackout generalizzato, cioè di un blocco a tempo indeterminato delle forniture di energia elettrica: ti illudi forse che tralicci ed elettrodotti siano ancora in piedi? Senza elettricità si spegne tutto, non solamente la luce in cantina. Il cibo che abbiamo in frigorifero va a male, forni ed elettrodomestici diventano inutili… ma non finisce qui: i supermercati saranno presi d’assalto ed esauriranno le scorte in un batter d’occhio… solo che tutte le reti di trasporto, compresa quella ferroviaria, sono andate in tilt o non esistono proprio più, per cui merci e alimenti non partono e non arrivano… chiaro? Gli scaffali rimarranno vuoti e mancherà il cibo, ma anche l’acqua da bere. Omettiamo la contaminazione delle falde acquifere, che do per scontata: acquedotti comunali, impianti di depurazione, fognature… kaputt pure loro, mi capisci? Già che ci siamo scordiamoci il riscaldamento e l’acqua calda, e siamo alle porte dell’inverno… ma tieni a mente l’aspetto più importante: la nostra società tecnologica e interconnessa è come certe macchine di lusso che producono oggi: spaziose e superaccessoriate, ma delicatissime… basta il malfunzionamento di un singolo componente, anche il più umile, perché la berlina ultimo grido ti lasci per strada. Cosa succede allora se si guastano contemporaneamente il motore, l’impianto elettrico eccetera e non c‘è più un meccanico in grado di ripararli? Te lo digo mi, e no conto floce[1]: va tuto in malora, e se anche hai fatto incetta di cibo, di batterie e di bottiglie d’acqua e ti nascondi sottoterra in un bunker non sfuggi… prima o dopo dovrai pur risalire in superficie, e allora al posto delle sicurezze che avevi prima troverai soltanto il caos… la lotta primordiale per sopravvivere…»
«Se la metti così – rantola Ciano, incapace di trovare argomenti per confutare quell’analisi impietosa, ma realistica – tanto vale spararsi subito un colpo di rivoltella e farla finita: non ti pare la soluzione migliore? Mi hai confidato che non l’hai riconsegnata la pistola…»
«Niente da fare – Libero scuote il capo con decisione – in servizio l’ho adoperata di rado, più di qualche volta invece mi hanno sparato addosso… non mi va proprio di ripetere l’esperienza. Casomai mazemose de trape: stavolta no digo per dir, ho conservato un paio di bottiglie, ora le vado a prendere… Tra l’altro il revolver l’ho seppellito qui in giardino, all’interno di una cassa che contiene ritagli di giornale, qualche opuscolo e… filmini, sì: filmini. Potranno magari ispirare chi resta… Se natovskie e russi non danno fondo ai rispettivi arsenali l’umanità non scomparirà del tutto… ma sarà più agevole scampare al disastro per i ricchi che per i poveri, per cui la società di domani sarà ancor più iniqua e tirannica dell’attuale, che fa già schifo. La memoria collettiva: questa è destinata a sparire… sarà come se Annibale, Cesare, ma anche Platone, Galileo, Dostoevskij, Bach e Masaccio non fossero mai vissuti, e questo me fa pianzer, xe un cruzio[2]. Scende sulla terra il vuoto dei cieli, o comincia la miglior vita», recita con mesta enfasi.
«Hai citato qualcuno, non è così?» si informa Zanetti, lacrimando.
«Un nostro grande scrittore, che tutti dovrebbero… avrebbero dovuto conoscere. Un uomo di confine, come noi due. Su, beviamo a ciò che è stato e più non sarà! O a colui che risolleverà la fiaccola caduta…»
Il fumo dell’esplosione incomincia a diffondersi nell’atmosfera: una nebbia rossiccia sta cancellando a uno a uno gli astri dalla lavagna del cielo…
(fine quarta parte)
[1]Flocia=bugia, menzogna.
[2]Cruzio=tormento.