L’anticlassicismo del capitale
L’epoca del capitalismo assoluto è anticlassica, in essa non vi è che il prevalere della sola res extensa, dell’illimitato nella forma della merce, ogni ente e persona sono solo materia estesa, ed in quanto materia sono da utilizzare infinitamente. “Tutto è mezzo per la soddisfazione dei fini soggettivi”, non vi sono finalità oggettive ed universali, in quanto domina il calcolo e non il pensiero. Il calcolo curva ogni ente attraverso la categoria della quantità, ne stabilisce l’esattezza e dunque l’uso. Il calcolo è il linguaggio dell’estensione, è la rete gettata sulla comunità per occultarne il fondamento: il logos. Il capitalismo assoluto è l’illimitata mercantilizzazione di ogni ambito della vita. E’ l’epoca dell’occultamento della verità. Il linguaggio è solo mezzo di incorporamento ideologico e non di comunicazione[1]. La parola “trasparenza” tanto usata nel linguaggio comune è utilizzata in senso ideologico: la lingua e le parole del capitale devono rimuovere la verità e la complessità del reale riducendo la totalità alla sola quantità, si fa, così, apparire il presente come l’unica realtà possibile. In tal modo si ottiene un duplice risultato: si eternizza il presente e lo si esemplifica. L’essere umano ridotto a pura estensione, a corpo, è negato nel sua dualismo, per essere rispondente ai bisogni del capitale. Si sta attuando, la morte dell’uomo, ovvero la riduzione della persona a corpo, i cui appetiti sono senza misura. La rivoluzione antropologica del capitale è trasversale ad ogni classe sociale ed ad ogni postura ideologica. La forza di gravità del capitale spinge verso il basso ogni desiderio, inibisce la trascendenza per normalizzare l’immanenza narcisistica organica al consumo. La trasparenza tanto evocata dal circo mediatico è solo calcolo del PIL, finanziarizzazione della vita e delle istituzioni. Il vero nemico del capitale è la metafisica con il fondamento onto-assiologico, in quanto l’essere umano senza fondamento ontologico è consegnato al mercato, è solo corpo consumante nel caos degli appetiti del mercato. La violenza è normalizzata per essere parte integrante del sistema. L’appello alla trasparenza della democrazia è la modalità ideologica per neutralizzare ogni problematizzazione del sistema, anzi la violenza strutturale è proiettata su singoli casi, di cui nelle cronache ci si scandalizza. L’industria del falso e della disinformazione è perennemente attiva, si controllano i popoli disinformandoli.
Riduzionismo e violenza
Il rifiuto di ogni discussione critica è la matrice anticlassica del capitale. La cultura classica duale e dialettica, ha sempre rilevato che ogni riduzione dell’essere umano a corpo vivente, a nuda vita secondo il linguaggio di Agamben, è sempre foriera di guerra. Il corpo, necessita del suo fondamento, il pensiero, perché esso possa essere strappato dal caos delle pulsioni e configurarsi secondo la misura (μέτρον), tale attività necessita del logos (λόγος), il quale calcola la giusta misura, si stabilisce, così, un processo di umanizzazione, in cui emerge la dignità umana:
“«E allora,» soggiunge Socrate, «necessariamente, tutte queste considerazioni inducono i veri filosofi a un ragionamento presso a poco di questo genere: ‹Esiste come un sentiero che ci porta nella direzione giusta, ma fino a che avremo un corpo e la nostra anima sarà confusa a una simile bruttura, noi non giungeremo mai a possedere ciò che desideriamo, che è, poi, quello che noi chiamiamo verità. E non solo il nostro corpo ci procura infiniti fastidi, per il fatto stesso che, ovviamente, dobbiamo nutrirlo, ma quando si ammala, sorgono sempre nuovi impedimenti che ci distolgono dalla nostra ricerca della verità; e, poi, ancora, amori, desideri, timori, visioni fallaci d’ogni genere, vanità innumerevoli, non fanno che frastornarci (è la parola giusta) così che, fino a quando siamo in sua balia, non possiamo concentrarci su nulla. E così pure le guerre, le discordie, le zuffe, è il corpo che le fa nascere con le sue passioni. La brama di possesso, ecco la causa di tutte le guerre e se noi ci affanniamo a procurarci la ricchezza, è il corpo di cui siamo gli schiavi. Da tutto questo deriva il fatto che noi non troviamo più il tempo per dedicarci alla filosofia. E il peggio è che, se pure, riusciamo, per un momento, a liberarcene e a volgere la nostra mente a qualcosa, subito ne siamo distolti, per la sua importuna intrusione, che ci confonde, ci distrae, ci frastorna, al punto di renderci incapaci, ormai, di distinguere la verità[1]”.
Se il fondamento della realtà, il pensiero, abdica alla sua finalità, a porre la misura, il corpo con i suoi smodati desideri diventa veicolo di guerra di aggressione, poiché è consegnato all’illimitato, all’irrazionale che genera disordine. La potenza diviene il feticcio a cui ci si inginocchia. Il logos ordina il corpo e conosce se stesso, per fondare il bene, il quale vive nella profondità dell’anima e diviene prassi politica. Il soggetto umano è relazione, non solo con se stesso, ma anche con la comunità. La pratica del mètron, significa trascendere l’individualismo[2] per dare significato e stabilità al pubblico. Si può ben comprendere l’ostilità del capitalismo assoluto alla cultura classica: il capitale incorpora ogni ente per mutarlo in plusvalore, in accumulo senza limiti, mentre nella cultura classica con il logos ha quale fine il benessere comunitario. Il capitalismo nell’attuale fase ha in Hobbes il suo riferimento, il quale rigetta la cultura classica ed Aristotele, in particolare, per legittimare l’individualismo possessivo ed anticomunitario. Con Hobbes la libertà diventa libertà negativa, l’individuo persegue solo fini individuali ed abbatte ogni ostacolo nella corsa verso la soddisfazione dei suoi appetiti, il pensiero diviene calcolo per raggiungere l’obiettivo:
“Nella filosofia di Hobbes l’odio verso la filosofia politica di Aristotele è ostentato e manifesto, in quanto alla concezione antropologica comunitario-razionalistica di Aristotele (l’uomo come animale politico, comunitario e sociale, e l’uomo come animale dotato di capacità di ragione e di linguaggio) si contrappone l’atomo individuale (in-dividuum, non ulteriormente divisibile), che si trova in uno stato di guerra permanente (bellum omnium contra omnes) ed è un lupo per l’altro uomo (homo homini lupus). Non si tratta certo solamente di antropologia “pessimistica”. Ridurre il tutto alla semplice dicotomia di ottimismo e/o di pessimismo significa non cogliere il cuore filosofico della questione. La società politica del capitalismo acquisitivo deve essere prima fondata sulla base di un pessimismo agonistico, perché possa essere poi “liberalizzata” sulla base di un ottimismo antropologico (la teoria della “simpatia” di Adam Smith, che traduce lo scambio di merci fra venditore e compratore nella immedesimazione psicologica simpatetica che permetta al venditore di “anticipare” per empatia i desideri nascosti del compratore)[1]”.
Il male e la stupidità
Il male del capitalismo assoluto è nella forma della “stupidità”, Bonhoeffer teologo e filosofo (Breslavia, 4 febbraio 1906 – Flossenbürg, 9 aprile 1945) ne analizza la pericolosità. La stupidità scientemente programmata dai sistemi di potere necrotizza l’uso del pensiero, lo sostituisce con l’adesione immediata alla propaganda, alla chiacchiera mediatica, si cade, quindi, in automatismi che inibiscono la concettualizzazione. Si idolatra la potenza, si disprezza ogni profondità. Il male, ora, nella forma della stupidità, non avendo più vincoli di tipo etico, pervade capillarmente ogni aspetto della vita sociale. In assenza di concetto e di attività della coscienza il potere abita il soggetto, fino a renderlo incapace di distinguere il bene dal male. La stupidità è assenza di vita interiore. Si tratta di una innocenza regressiva dagli effetti esiziali, il soggetto si lascia vivere dagli eventi, abdica ad ogni responsabilità etica personale, per diventare parte di un immenso ingranaggio senza senso. Bonhoeffer dinanzi alla tragedia della stupidità, ritiene che solo un intervento esterno possa liberare coloro che sono caduti nella caverna della stupidità. Non si tratta di superbia intellettuale, ma della constatazione che l’espulsione del pensiero e delle sue categorie etiche dalla sfera pubblica, ha messo in atto una rivoluzione antropologica con cui bisogna confrontarsi:
“Ogni forte manifestazione di potenza esteriore, sia di carattere politico sia di carattere religioso, investe sulla stupidità di una gran parte degli uomini. Sembra quasi si tratti di una legge socio-psicologica. La potenza dell’uno ha bisogno della stupidità degli altri. Il processo attraverso cui ciò avviene non è quello dell’improvvisa atrofizzazione o sparizione di determinate doti dell’uomo – nel caso specifico, di carattere intellettuale – ma di una privazione dell’indipendenza interiore dell’individuo, sopraffatto dall’impressione che su di lui esercita la manifestazione di potenza. Divenuto in tal modo uno strumento privo di volontà, lo stupido è capace di commettere qualsiasi male e di non riconoscerlo come tale. Qui sta il pericolo di un diabolico abuso, con il quale certi uomini possono venir rovinati per sempre. La stupidità può essere superata soltanto con un atto di liberazione e non con un atto d’indottrinamento. E qui bisognerà rassegnarsi a dire che un’autentica liberazione interiore, nella maggioranza dei casi, diventa possibile solo se preceduta da una liberazione esteriore… La liberazione interiore dell’uomo per una vita responsabile di fronte a Dio è l’unico reale superamento della stupidità[2]”.
Gli intellettuali, le comunità, ogni persona che testimonia con la propria vita la resistenza all’indifferenza hanno un grande compito: liberare dal giogo del totalitarismo della stupidità i sudditi della tecnocrazia. Si deve immettere in un contesto omologato, in cui la parola è solo flatus vocis, il logos, il quale ha la capacità di destrutturare le false certezze, i miti aggressivi della contemporaneità, per riportare la discussine dialettica dove vige l’uniformità anonima. La prassi del logos deve coniugarsi con le circostanze storiche, deve avere la chiarezza del contesto storico per poter essere potenza katechontica dinanzi alla barbarie che avanza inesorabile.
Testimoniare il pensiero
Si deve testimoniare la prassi del pensiero, dinanzi all’iperstimolazione ed all’esposizione mediatica che limitano ogni configurazione critica, è necessario che nel pubblico si viva la profondità del pensiero e del logos. Un altro modo di vivere è possibile, in cui l’ascolto della profondità della propria anima diventi tensione verso l’altro, comunione della parola. L’attività della concettualizzazione non può essere insegnata o trasmessa codificandone le regole, come si trattasse di un algoritmo. Sottrarsi all’esposizione perenne, alla visibilità illimitata per pensare i contenuti e le contingenze è già prassi. Il logos è nella storia, ma necessita di mettere in epochè la contingenza per dare ad essa l’impronta onto-assiologica:
“Poiché le attività spirituali, non apparenti per definizione, hanno luogo in un mondo di apparenze e in un essere che condivide queste apparenze attraverso la ricettività dei suoi organi di senso, attraverso la propria attitudine e il proprio impulso ad apparire agli altri, tali attività non possono scaturire che da un deliberato ritrarsi dalle apparenze. E’ un ritiro non tanto dal mondo – solo il pensiero per la sua tendenza a generalizzare, cioè il suo interesse nel generale rispetto al particolare, tende a ritrarsi completamente dal mondo – dal suo essere presente ai sensi. Ogni atto spirituale si fonda sulla facoltà della mente di aver presente a se stessa ciò che è assente ai sensi[1]”.
Il capitalismo assoluto necessita di essere pensato dalla prospettiva della cultura classica per coglierne le contraddizioni e le tragedie. Difendere la cultura classica significa schierarsi, non essere indifferenti, ma fondare comunità di dialogo in cammino.
[1] Comunicazione da comunicare dal lat. communicāre, deriv. di commūnis ‘comune’
[2] Platone Fedone Ousia edizione Acrobat pag. 7
[3] Individualismo dal latino individuus indiviso
[4] Costanzo Preve La saggezza dei Greci. Una proposta interpretativa radicale per sostenere l’attualità dei Greci oggi Petite Plaisance Pistoia 2010 pp. 15 16
[5] Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa. Lettere e altri scritti dal carcere, Bompiani 1969, pp. 63 64
[6] Hannah Arendt La vita della mente il Mulino Bologna 2009 pag. 158
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