Il relativismo frutto
del capitalismo non è comparabile con i relativismi che hanno attraversato la
storia umana. Il relativismo del nostro tempo ha una struttura profonda nella
psiche, nell’emotività e nel corpo vissuto dei sudditi consapevoli o inconsapevoli
del capitale, esso consiste nell’indifferenza. I relativismi del passato erano l’elaborazione
collettiva delle verità organiche al potere, avevano una forte valenza politica
ed etica. Il relativismo era il passaggio obbligato verso il riorientamento
gestaltico. Nel nostro tempo il relativismo è “abitudine a vivere i propri
personali desideri come verità assolute”. L’individualità ha automatizzato la
dimensione del desiderio senza pensiero e senza autoriflessione.
Pensare è stabilire
principi etici oggettivi. Non il bene-piacere da vivere nell’attimo fuggente,
ma il concetto di bene razionalmente fondato con cui discernere il bene dal
male, il capriccio dal desiderio autentico e i mezzi dai fini. Pensare è
disalienarsi. Il tempo del capitale, dunque, inocula nella carne e nel sangue l’incapacità
di “sentire il mondo” e di “scandalizzarsi dinanzi al dolore”. L’individualità
ascolta solo i propri desideri, si erge a triste divinità terrestre di una
mondo senza Eden. Il relativismo del capitalismo oblia il mondo e non lo
riconosce. Le soggettività con i social e con l’abitudine ad esibirsi sul gran
palcoscenico del mondo non riconoscono l’alterità e vivono in uno stato di continua
estranietà rispetto a se stesse e al contesto sociale. L’io narcisistico è
dunque strutturalmente fragile, non ha profondità, per cui conduce una vita di
superficie. Quest’ultima rafforza la pigrizia del pensiero e l’incapacità di
gestire le tensioni capaci di donare “la forma” (i fini oggettivi) con cui
progettare e disporsi in modo dialettico con il potere. L’io perennemente
abbagliato dal capriccio, l’ultimo uomo nietzscheano in sintesi, si destruttura
e gradualmente acquisisce un senso di onnipotenza: i desideri sono l’afrodisiaco quotidiano da ascoltare e
che nessuno può giudicare. Ci si sottrae al confronto, ci si lascia vivere
semplicemente, risuona il “Nessuno mi può giudicare”, per cui ci si concede
tutto senza mediare le esperienze con il pensiero. Il declino
dell’individualità con il suo corrodersi in una molteplicità schizoide senza
unità è divenuto il trofeo truffaldino del capitalismo. La libertà è lasciarsi consumare dai desideri
del mercato. La retorica dei “nostri valori”, è in questa macchina del
desiderio in cui l’io profondo deve bruciare. L’ideologia del capitale presenta
la liberazione dalla verità e dai fini oggettivi come la liberazione da un
passato plumbeo che privava l’essere umano della sua naturale tendenza al
piacere e all’egoismo. L’individualità gradualmente si abitua alla normalità
dell’imperio del suo desiderio dietro il quale il mercato opera, stimola, guida
e offre i prodotti per la soddisfazione del piacere. Il mercato non offre solo
prodotti, perché tra le merci vi sono anche gli esseri umani mercificati.
L’utero in affitto ne è un valido esempio, per poi passare alle infinite
proposte erotiche (sempre comunque concettualmente
e praticamente mercificate) da consumare secondo le personali voglie liquide. I lavoratori sono definiti “capitale umano”
da usare e gettare secondo i bisogni del capitale. In modo trasversale, ricchi, benestanti e
precari si accalcano intorno al desiderio totemico che diviene il quotidiano
tranquillante con cui tacitare il bisogno di verità e di senso. Le relazioni delinquenziali hanno
origine in questo humus di indifferenza etica e di autoidolatria dei propri
desideri. L’abitudine a vivere fuori dal proprio sé profondo deforma il
carattere e lo rende ostile verso ogni limite. Il capitalismo ha nel popolo,
reso massa abulica, il suo punto di forza. I sudditi difendono il capitale con
annesso modo di vivere, in quanto è per loro impensabile riconoscere l’altro e
se stesso e porre limiti alla fluidità delle voglie.
Crimine
La libertà non è
capire ma godere senza chiedersi i “perché” e senza riflettere sulle
conseguenze del proprio stile di vita. I
nostri valori, affermazione ripetuta in modo trasversale dai liberali di
destra e di sinistra, si riducono a tale cecità che trasforma il mercato, in cui si è contenuti in divinità terrena e dalla quale ci si
attende l’Eden anche per pochi minuti o attimi. La malinconia dell’Occidente è
in questa mitizzazione del godimento che uccide la parola e rende l’altro una
comparsa da usare o da eliminare. Il
crimine è dunque la struttura ordinaria non riconosciuta dai molti.
Questo è il dramma, dunque, che rende l’agire politico esperienza tragica. Ci
si confronta con il muro di gomma dell’indifferenza che ha in orrore il senso
del limite e la fatica di darsi una forma etica. L’azione politica ha il
compito di attraversare il muro di gomma dell’indifferenza impermeabile al
messaggio politico e alla relazione progettante. La verità sul sistema è
dinanzi a noi: siamo in piena preistoria nella quale è la forza del denaro e
della tecnica a stabilire le relazioni sociali. C’è sempre il perdente o la
vittima, tutto l’apparato mediatico addestra alla competizione e all’esclusione
e nel contempo si dichiara che viviamo nel tempo dell’inclusione. L’evidenza non
è pensata, per cui si resta distanti da ogni forma di pensiero radicale che
invoca la conversione al riconoscimento dell’altro e di sé. L’indifferenza
costruita e pianificata mediante l’addestramento al narcisimo da vetrina è il
tranquillante dei padroni del capitale che ben conoscono il valore politico
della destrutturazione delle personalità ormai rese impotenti, in quanto
incapaci di relazioni stabili e di gratuità. Gli oppositori del sistema devono
prendere atto che si confrontano con una umanità resa mutila del suo senso
etico e comunitario e, specialmente, privata di ogni alfabeto emotivo. Per
poter ricostruire la politica è necessario pensare il modo per condurre fuori
dalle caverne dell’indifferenza che il capitale continua a costruire e nelle
cui caotiche profondità ci si perde. Da tale verità bisogna iniziare per
riportare la politica al servizio del popolo. Solo la vicinanza può vincere gli
strati profondi di indifferenza che si sono sedimentati e che bisogna
trasformare in concetti e in vita. L’indifferenza coltivata e pianificata è il
modo di dominare del capitalismo. La coscienza di classe si dilegua, al suo
posto vi è solo il desiderio personale con le sue frustrazioni e i suoi miti,
in questa cornice la speranza è solo attesa del colpo di fortuna e la
realizzazione di sogni infantili secondo lo stile della pubblicità. La razionalità
conosce in modo impreciso la condizione di manipolazione in cui versano i
popoli e gli individui, ma è più forte la corrente infantile e regressiva dell’indifferenza,
la quale rafforza la tendenza al piacere polimorfico. L’individuo schizoide è
politicamente impotente. Ricostruire la coscienza di classe è impegno a
trasformare l’indifferenza pulsionale in emotività partecipativa ed adulta. Il
capitalismo della sorveglianza ha prodotto il suo “uomo nuovo”. Il mostruoso è
in questa diabolica costruzione che inabissa l’essere umano in una condizione
mai conosciuta e che negli ultimi anni si è rafforzata con il transumanesimo.
Homo Deus
Il capitalismo offre
la possibilità-illusione di diventare come divinità che vivranno in uno stato
di eterno godimento. Siamo dinanzi alle potenze del male storico contro le
quali bisogna affinare una nuova azione e nuove categorie di pensiero tese a
frantumare l’indifferenza che si nutre di miti ideologici e
superstizioni. Il suddito spera nella tecno-scienza del capitale radice
del suo male. L’assurdo è divenuta la nostra normalità terrifica:
“Il rapidissimo
sviluppo di certi settori come l’ingegneria genetica, la medicina rigenerativa
e la nanotecnologia induce a diffondere profezie sempre più ottimistiche.
Stando ad alcuni esperti gli umani saranno in grado di sconfiggere la morte
entro il 2200, secondo altri nel 2100. Kurzweil e de Grey sono ancora più
speranzosi. Essi asseriscono che chiunque possieda un corpo in buone condizioni
di salute e un altrettanto robusto conto in banca nel 2050 avrà parecchie
possibilità di raggiungere l’immortalità sfuggendo alla morte un decennio alla
volta. A parere di Kurzweil e de Grey, ogni dieci anni circa andremo in una
clinica e riceveremo un trattamento ristrutturante che non soltanto curerà le
malattie, ma anche rigenererà i tessuti rovinati dal tempo, e migliorerà le
mani, gli occhi e il cervello. Prima che sia necessario sottoporsi a un altro
trattamento, i medici avranno inventato una pletora di nuovi prodotti,
perfezionamenti e strumenti vari. Se Kurzweil e de Grey hanno ragione, è
possibile che alcuni immortali stiano già camminando per la strada accanto a
noi almeno se ci capita di camminare lungo Wall Street o la Fifth Avenue. Per
essere precisi, costoro saranno in effetti amortali, piuttosto che immortali. A
differenza di Dio, i futuri superuomini potranno ancora morire in qualche
guerra o incidente, e niente li riporterà indietro dagli inferi. Ad ogni modo,
a differenza di noi mortali, la loro vita non avrà una data di scadenza. A meno
che una bomba li riduca a brandelli o un tir passi sopra i loro corpi, essi
potranno vivere indefinitamente. Circostanza che, con ogni probabilità, li
renderà le persone più ansiose della storia. Noi mortali ogni giorno tentiamo
la sorte con le nostre vite, poiché sappiamo che esse termineranno un giorno in
una maniera o nell’altra. Ecco perché intraprendiamo scalate sull’Himalaya,
nuotiamo in mare e facciamo molte altre cose pericolose come attraversare la
strada o mangiare fuori casa. Ma se credi di poter vivere per sempre, sarebbe
da pazzi assumersi rischi come questi all’infinito[1]”.
Lo scopo del transumanesimo nella cornice del nostro
tempo è la realizzazione di una società castale con i padroni del capitale che
divengono semidivinità destinati ad imperare sui sudditi. Il liberalismo ha nel
suo grembo d’acciaio il superuomo tecno-biologico. La distopia del capitalismo tecnocratico è
dinanzi a noi, è possibilità reale nella nostra. In questo ambito gli oratores hanno lo scopo di far passare
il messaggio della religione tecnocratica coltivando l’ordinaria indifferenza.
Gli indifferenti non si oppongono, non resistono, ma si adattano alle
condizioni vitali più impossibili.
I popoli sono
accumunati dall’idolatria nella tecnica, essi credono alla religione del
transumanesimo con i suoi miti e cosmogonie. Si racconta loro che devono solo
attendere e saranno salvi. Bisogna fronteggiare tutto questo per avviare il
tempo della liberazione dalla tecno-chiacchiera che confonde e fonde reali
potenzialità tecniche e produttive con l’attesa dell’Homo Deus. All’indifferente di ogni classe subalterna si offrono
due opzioni: la speranza della lotta comunista con il senso etico e solidale del limite e dall’altra parte
il sistema che con la carezza del male sostiene e consolida l’infantilismo
degli indifferenti, liberi di sperimentare anche le esperienze più estreme
senza dover pensare e render conto a sé e alla comunità. Questo è il grande
compito per il futuro, ovvero abbattere la cortina di ferro dell’indifferenza
che divide l’uomo dall’uomo fino a farne
un consumatore privo di anima e di pensiero e indifferente persino al
suo reale destino storico.
I nostri demoni
Bisogna esplorare
nuovi modi di comunicare e testimoniare la verità. Essere attivisti della
verità, essere visibili nel quotidiano per risvegliare l’umanità sopita che
langue in ogni persona è il compito dei comunisti. Marx e i marxisti possono aiutarci in questo solo in parte, essi
hanno combattuto i demoni del loro tempo, noi abbiamo i nostri. I demoni del
capitalismo sono impalpabili nelle loro manovre e nella rete dell’inganno che
stritolano i popoli. Sono invece palesi gli effetti drammatici e apocalittici
che devono essere riportati agli automatismi anonimi che li producono.
Dovremo confontarci
con i crimini individuali e sociali del tempo del capitalismo assoluto che
nella sua poiesis ricopre le catene
con le rose spinose della speranza tecnocratica con cui addestra e alleva
mostri. Il primo passo è congedarsi dalle logiche degli insulti e dall’ostilità
verso nuovi orizzonti di rielaborazione ideologica del pensiero comunista. La
logica dell’insulto è in perfetta continuità con la logica del rasoio che il
capitalismo utilizza per dividerci. Fondare comunità che testimoniano la
dialettica nella concretezza delle
comunità è il primo passo per testimoniare un’altra emotività che si oppone al mostruoso
della sperimentazione capitalistica. L’essere umano resta un essere umano,
pertanto se si dimostra con la carne, col sangue e con la parola un modo di
vivere conforme alla condizione umana e alla sua eccellenza (il bene e la cura
sociale) è possibile cominciare a ricostruire una reale opposizione. È solo l’incipit, senza
il quale è improbabile che la preistoria tecno-capitalistica possa avere
termine, l’alternativa è l’attesa del disastro-Apocalisse che porterà via
innocenti e colpevoli, sudditi e dominatori. L’Homo Deus e l’ultimo uomo coincidono; l’uomo di plastica del capitale è tra di noi e bisogna fare i conti con la sua presenza
inquietante, è in ogni uomo e in ogni donna del nostro tempo. La lotta è
sociale e interiore.
La lotta comunista ha
il compito di riportare l’essere umano alla sua umanità e al bene (natura
solidale nella storia), ma ha altresì il compito di respingere la
disumanizzazione dell’Homo Deus con
cui i “padroni” blandiscono i sudditi, i quali ripongono la loro speranza nella
tecnocrazia che li domina, controlla e usa, già nel tempo presente.
L’indifferenza non è confacente
all’essere umano, essa può essere vinta, non è la naturale e fatale condizione a cui ogni essere umano deve adattarsi per poter
sopravvivere. La liberazione dal’indifferenza è l’obiettivo primo dei comunisti
del nostro tempo.
[1]Yuval Noah Harari, Homo Deus, Bompiani, Paragrafo: Gli ultimi giorni della morte
Fonte foto: ParmAteneo (da Google)