Gratuitamente, ma prenotando per tempo, ho potuto visitare il “Dome” del Reichstag, la cupola (l’anglizzazione del tedesco è avanzatissima) , che l’architetto statunitense Norman Foster (1994) ha edificato su uno dei luoghi più simbolici del 900, laddove il 2 maggio 1945 venne issata la bandiera rossa segno della fine europea della II guerra mondiale. La meravigliosa opera è in vetro ed è percorsa da due rampe elicoidali, che dalla base conducono ad una sala sommitale sotto la volta. Nell’ascesa si effettua due volte una panoramica di 360° sulla distesa cittadina e giunti in cima, volgendosi su una vetrata interna è possibile scorgere l’assemblea del Bundestag riunita. Il tono di ufficialità dell’audio guida, distribuita gratuitamente all’entrata, rappresenta una chiave per comprendere il senso “imperiale” del largo scenario.
Il concetto di Impero
Prima di narrare la visione, una premessa su ciò che intendo per impero:
a) Imperium come “comando”, come privilegio del momento dell’atto decisorio sulla formazione della decisione, del governo sul parlamento;
b) Impero alla fine della res-pubblica, dove il comando è trascendente, viene dall’alto e non deriva da una pubblica mediazione sulle “cose pubbliche”;
c) Quest’origine invisibile e sacra del comando oscura soggetti (nazioni, popoli, classi) che ordina, cristallizzando i conflitti nella pax sociale;
d) Tuttavia l’impero non è riducibile a meccanismo economico a-cosmico (senza spazio e mente) come allude Tony Negri; invece proprio perché vi collassa e muore tutta la vita sociale, l’Impero si costituisce come organismo (con le membra e la memoria) e si fa vedere da tutti; l’Impero produce immagini in luogo della realtà.
Le forme dell’est
Il primo sguardo alla città fa contare centinaia di gru, tuttavia spingendo lo sguardo più ad oriente, dietro Alexanderplatz verso il “Karl Marx Alee”, si nota che quella zona ne è quasi priva. In quella zona, la più strutturata architettonicamente e urbanisticamente, con una sua identità forte data dal realismo socialista, spesso, ma non solo, staliniano e celebrativo, l’intervento è discreto e di manutenzione. Pare ci sia un certo rispetto per la potenza costruttiva con il quale l’est edificò rapidamente sulle rovine, e difatti la toponomastica, i monumenti, i fregi e i mosaici sono mantenuti integri. In fondo uno dei simboli della città è la torre di Alexanderplatz –il più alto edificio d’Europa- simbolo dell’efficienza tecnologica dell’ex DDR e allusivo all’epopea della conquista del cosmo sovietico. Si conserva così quell’epoca nella forma visto che i soggetti e i conflitti che l’animarono sono scomparsi.
I fori centrali
Il centro invece ferve di lavori. Unter den Linden, cioè l’asse principale –est/ovest- che conduce dal profondo oriente di Alexanderplatz alla “Porta di Brandeburgo” è completamente scavata per far posto ad una linea di metro che colleghi i due poli, ma tutto il viale è sede di cantieri. In particolare si lavora all’ampliamento della zona museale –l’isola dei musei-, alla ricostruzione del castello imperiale, dell’Opera di Stato e l’ampliamento dell’Università “Humboldt”. Il cuore di Berlino ambisce a contenere la Storia: ai musei che racchiudono la grecità e la romanità classica- succede la cultura moderna dell’università di Bohr e Plank , fino alla porta di Brandeburgo con le sedi diplomatiche che guarda ad occidente. In questo trascorrere da oriente ad occidente, lungo questo “foro imperiale” si avverte l’intenzione di fermare, effigiandolo, il tempo: il museo antico è proprio in stile neoclassico “calligrafico” –è colorato- dirimpetto il castello, di dubbio gusto, sfavillerà di roccocò.
La politica del nord
Completando il primo giro ci volgiamo a Nord, l’audioguida qui è decisiva perché spiega la logica della cittadella politica che si vede a partire dal Reichstag. Appena di fronte c’è un enorme edificio completamente vetrato e lungo da creare un ponte sullo Sprea, ci sono gli uffici e le funzioni del parlamento, le delegazioni, i gruppi parlamentari che “collaborano costruttivamente alla formazione delle leggi” dice con enfasi l’audioguida evidenziando la fine del conflitto politico attualmente sopito nella “grosse koalition” della Merkel ma dal dopo Brandt sempre all’insegna di un’alternanza omologa. L’edificio impressiona come la sala stampa, un altro gigante sempre costeggiante il fiume ed in grado di ospitare gli studi di “tutte le televisioni del mondo e oltre 700 giornalisti”, le rappresentanze dei chierici di tutto l’impero. Dietro questa prima cintura, spiccano gli edifici del governo che come dice con l’audioguida con laconico determinismo germanico “esegue e applica le deliberazioni elaborate dal parlamento”; c’è il Ministero dell’Interno federale, la Sanità, con il vicino ospedale dove Robert Koch scopri il batterio della tubercolosi, e poi il temibile ministero dell’economia in stile austero prussiano a cortina rossa.
La verità dell’ovest
Il quarto di giro successivo conduce lo sguardo verso l’ovest. C’è il mare verde del Tiergarten, il grande parco urbano che porta la foresta tedesca nel cuore della città. La guida narra della vitalità di questo bosco che “venne raso al suolo dagli abitanti per sopravvivere all’inverno dopo il 1945” ma ora, ripiantato, è più rigoglioso di prima: simbolo di rinascita. Il parco divide il centro dai quartieri più occidentali quelli ampliamente abitati dalle etnie mediterranee e asiatiche, con grande prevalenza turca; nello spicchio sud-ovest del “parco degli animali” –questo significa Tiergarten- c’è il celebre Zoo, tra i più grandi del mondo, dove l’esposizione degli animali iniziata nel clima positivistico della bella epoque, popolarizzò le idee di gerarchie animali e poi di razze umane. Spicca e segnala la piazza di fronte lo zoo il campanile semi distrutto della Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche, l’unica, e per questa significativa, testimonianza della distruzione della città conseguente la guerra. Di lì si affaccia l’angelo, che cerca l’anima dei berlinesi, nella prima scena de “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders.
Quasi seguendo il verso dell’angelo e completando il giro, si impongono le vertiginose architetture di Potsdamer Platz che come ricorda l’audioguida “è stato il più grande cantiere d’Europa alla fine del millennio”. Siamo giunti al “futuro” di Berlino, alla grandiosa sistemazione di una vastissima zona desertificata dalla guerra ma che era stata, come ricorda il berlinese (Homer) all’angelo di Wenders, il cuore della vita cittadina –interessante raffrontare ora le immagini del deserto delimitato dal “muro” nel film e nella mostra della galleria commerciale di Postammer-. E’ significativo soprattutto che questo nuovo cuore sia stato progettato da tutti architetti non tedeschi, tra i quali l’italiano Renzo Piano, cioè che la prospettiva della città sia “cosmopolita” un po’ come l’importazione della civiltà greca a Roma.
L’invisibile sud
Siamo giunti alla sommità della cupola e la guida, dopo aver descritto le caratteristiche costruttive, trae la conclusione impegnativa “la trasparenza data dal vetro della cupola simboleggia la trasparenza del sistema politico tedesco”. La sua ingenuità suggerisce un sospetto: in questa passeggiata sulla cupola sfugge qualcosa. Il centro di Postdamer Platz è il Sony Center, cioè la tigre asiatica, e sotto la tenda di vetro, o nei pressi, ci sono molti dei monopoli del cibo (Mc Donald su tutti); c’è da chiedersi: davvero il sistema politico “trasparente” del Reichstag sovrasta e comanda sul “Centro Commerciale”? Inoltre l’esibito cosmopolitismo oltre all’immagine berlinese è una convinzione profonda di tutti i tedeschi? Il nazionalismo si è sciolto davvero nella enorme bandiera a 12 stelle che sventola sul Reichstag, oppure la rappresentazione imperiale suggerisce uno stellone più grande? Infine la pacificazione storica, con l’enigma o la rimozione del trauma nazista e l’incorporazione delle realizzazioni socialiste, ispirata alla “fine della storia”, tipica delle pax imperiali, nasconde il permanere di conflitti –ora come allora- forti: uno su tutti il mediterraneo orizzonte inaccessibile allo sguardo dal Dome del Reichstag.