James Petras: Repubbliche sorelle, Venezuela e Colombia di fronte all’imperialismo contemporaneo ( Editore Zambon )
La raccolta saggi di James Petras – Repubbliche sorelle: Venezuela e Colombia di fronte all’imperialismo contemporaneo, Editore Zambon, 2015 – da poco pubblicato, è un’ efficace analisi della situazione politica sudamericana vissuta alla luce delle due principali opposizioni ai progetti imperialisti nordamericani: il Venezuela bolivariano e la guerriglia marxista colombiana.
Gli articoli di Petras, su Venezuela e Colombia, sono impreziositi da tre saggi iniziali in cui l’autore fissa le differenze fondamentali fra (neo)marxismo e (post)marxismo più un documento delle FARC in conclusione. Lo studio del documento finale, “Uno sguardo diverso sulla giustizia di transizione”, è complementare alla comprensione delle categorie sistematizzate da James Petras all’inizio del libro ( da pag. 11 a pag. 45 ). In questo primo contributo sul volume della Zambon, prenderò in esame i saggi analitici introduttivi ed il documento dei guerriglieri, cercando di proporre al lettore un punto di vista marxista che riguardi il metodo di studio dei processi politici e sociali.
Petras in questi testi critica l’ideologia postmodernista che – sulla scia del pensiero di Toni Negri – proclama la fine delle lotte di classe ed antimperialiste; descrive l’imperialismo del ventunesimo secolo; rapporta l’imperialismo al diritto internazionale parlando di ‘’imperialismo legale’’. Insomma ci dà le coordinate per comprendere i motivi – profondi – dell’ostilità statunitense verso Hugo Chavez ed i movimenti di liberazione nazionale in generale. Sul problema della lotta armata antimperialista, l’editore Giuseppe Zambon aveva già pubblicato una raccolta di saggi commemorativi della figura di Manuel Marulanda, padre del movimento rivoluzionario colombiano. In quel caso Petras, con il lungo articolo intitolato “Otto tesi erroree di Fidel Castro e le FARC”, non teme di scontrarsi con una eminenza del mondo socialista; Fidel Castro crede nel processo di pace, Petras non condivide questa fiducia e la riconduce – senza nessun timore o soggezione nei confronti del leader cubano – alla necessità da parte di Cuba di avere, per i suoi interessi nazionali, rapporti diplomatici e commerciali con la Colombia. Una posizione coraggiosa che ci spinge a studiare ( e non semplicemente rileggere ) con attenzione il (neo)marxismo teorizzato nei saggi iniziali di questo libro.
Proseguo per ordine, cercando di presentare non solo il libro ma anche il pensiero di James Petras. Prima di tutto: chi sono i post-marxisti ? I post-marxisti sono ex marxisti che, abbandonata la teoria rivoluzionaria di Marx, ripiegano sull’altermondismo. Un altro mondo è possibile – a loro dire – ma senza conflitto fra blocchi sociali contrapposti e senza violenza. Il tema del potere ( la conquista del potere ), centrale in Marx, Lenin e Guevara, viene messo da parte.
Il loro primo postulato è: il socialismo è stato un fallimento; tutte le ideologie sono totalitarie.
Nonostante la tematica della ‘’fine delle ideologie’’ abbia avuto una grande fortuna accademica, i post-marxisti non chiariscono cosa sia effettivamente fallito: il sistema politico oppure il sistema socioeconomico ? Le ultime elezioni nei paesi dell’est premiano i Partiti comunisti ‘’nostalgici’’ quindi ‘’Se l’opinione pubblica nei paesi ex socialisti segnala un ‘’fallimento’’, i risultati non sono definitivi’’ ( pag. 15 ). Gli elettori hanno dichiarato di volere un welfare più forte, maggiori diritti nel campo sindacale, un ritorno ad alcune politiche dell’esperienza sovietica. Inoltre, molti cittadini dell’ Europa dell’est dimostrano insofferenza verso l’espansionismo della NATO, una politica espansionistica portata avanti in spregio della democrazia e della sovranità popolare. Difficile trovare gente inconsapevole: gli Usa non intendono cessare la ‘’guerra fredda’’ contro la Russia.
In secondo luogo, essi, non distinguono il fallimento politico dalla sconfitta militare. In Cile l’esperimento di Allende è fallito per l’inadeguatezza delle misure economiche, oppure è stato spento nel sangue da un golpe militare appoggiato dalla CIA? Le sconfitte militari non rappresentano l’inadeguatezza del socialismo ma – a dispetto di quello che pensano gli intellettuali di destra – soltanto la brutalità dell’imperialismo del ventunesimo secolo. Arrivati a questo punto – per completezza – ricordo che Petras è stato consulente del governo di Salvador Allende ed è stato uno dei promotori del Tribunale Russel contro i crimini nord-americani in Vietnam.
Petras bolla questi accademici considerandoli degli opportunisti:‘’I post-marxisti confondono i movimenti socialisti, democratici e rivoluzionari dell’America Latina con una fase del socialismo nell’Europa orientale. Confondono le sconfitte militari con i fallimenti politici della sinistra, accettando la fusione neoliberale di due concetti opposti. Infine, anche nel caso del socialismo dell’Est, non colgono la natura cangiante e dinamica del comunismo’’ ( pag. 16 ).
Prima di proseguire voglio portare l’attenzione dei lettori su un punto importante: l’imperialismo – accademicamente ed attraverso i media – ha dato una idea monolitica del socialismo. Il socialismo – da Pol Pot a Castro – viene descritto erroneamente come un unico universo totalitario. Ogni ricetta economica comprendente “statalizzazione” ed “autogestione” è bollata come – potenzialmente – dittatoriale e totalitaria. In realtà sono le dinamiche della conflittualità sociale che spingono le masse a provare – di volta, in volta – modalità differenti di fuoriuscita dal capitalismo. A volte questi esperimenti sono riusciti, sia pure in parte ( Jugoslavia, Cuba, Venezuela ), altre volte no. Ridurre il tutto ad una ‘’notte in cui ogni vacca è nera’’, è il modo migliore per non comprendere la complessità dei processi storico-sociali.
I post marxisti ( ex marxisti ) dicono che ‘’credere nella lotta di classe significa cadere nell’economicismo’’. Per essi la lotta politica comprende le differenze etniche, culturali e di genere all’interno delle classi stesse. Il conflitto in linea ‘’verticale’’ – Imperialismo/Stati indipendenti; Borghesia/Classe operaia– viene sostituito con la conflittualità interna al blocco sociale – conflitti fra gruppi etnici; femminismo; culturalismo – quindi una contrapposizione in linea ‘’orizzontale’’.
Secondo questi studiosi non esistono interessi oggettivi ma solo soggettivi. I diritti degli omosessuali – nei paesi a capitalismo maturo – prendono il sopravvento sulle rivendicazioni sociali e operaie, i diritti delle minoranze etniche – nei paesi coloniali e post-coloniali – si sovrappongono alla difesa dell’indipendenza nazionale. Petras, non a caso, spiegò in altri lavori come, spesso e volentieri, le minoranze etniche sono state trasformate dall’imperialismo statunitense in un ‘’piede di porco’’ per scardinare gli Stati non allineati ai dettati di Washington. Tutto ciò è organico ad un progetto neocoloniale che comprende anche la produzione culturale ed accademica, “colonialismo culturale convenzionale”, per usare le parole del nostro autore in un saggio esterno a questa raccolta.
I marxisti non hanno mai eluso il problema etnico, si sono solo curati di non sovrapporlo a quello di classe; al di fuori di ciò è impossibile cogliere la natura reale dei fenomeni, inquadrarli nella loro storicità e – ovviamente – complessità. Petras fa l’esempio della Bolivia ( potrei aggiungere anche l’Ecuador prima del governo guidato da Correa ) che avrebbe avuto – in base alla sua analisi – un presidente indios al servizio dei proprietari terrieri.
Il concetto di ‘’identità’’ dice Petras ‘’è destinato a trasformarsi in una ‘’prigione identitaria” ( di razza o di genere ), isolata da altri gruppi sociali sfruttati, se non trascende i punti di oppressione immediati e non affronta il problema sociale in cui è calata’’ ( pag. 18 ). La politica di classe – con o contro l’imperialismo ed in particolare quello nord-americano – è il terreno di scontro entro cui ricollocare il discorso delle identità.
Lo smantellamento dello Stato sociale e delle Costituzioni antifasciste ha gettato non solo i lavoratori salariati ma interi popoli ( compresi ampi settori della piccola borghesia ) in una condizione di povertà. Le privatizzazioni, accompagnate dall’ideologia neoliberista delle ONG, hanno aumentato – e non diminuito – la polarizzazione sociale. I pochi marxisti rimasti – a dispetto degli ex comunisti – hanno spiegato questo processo portato avanti dalle classi proprietarie ‘’Oggi la lotta è non soltanto tra le classi nelle fabbriche, ma tra lo stato e le classi sradicate nelle piazze e nei mercati, private di un impiego fisso e costrette a produrre e a vendere sopportando i costi della propria riproduzione sociale’’ ( pag. 20 ).
Il conflitto di classe è la chiave di lettura per orientarsi, assume forme nuove, ma credo che senza il marxismo sia impossibile orientarsi. Non possiamo fare a meno del lascito teorico di Marx e anche di Lenin. La formazione di una classe capitalistica transnazionale, frutto del processo di centralizzazione dei capitali, fa si che il grande capitale statunitense ( essendo gli Usa la principale potenza imperialistica ) riesca ad estorcere plusvalore, non solo agli operai, ma anche ai ceti medi produttivi. Marx, come Lenin ed infine Mao Tse Tung, avevano sistematizzato ( soprattutto Mao ) la ‘’teoria delle contraddizioni’’ che affronta di petto la questione delle alleanze fra ceti differenti. Il postulato imprescindibile dei marxisti resta sempre uno: l’autonomia della classe operaia anche all’interno di un fronte popolare con altre classi.
Petras denuncia la demonizzazione dello Stato . Lo stato viene descritto come una enorme burocrazia inefficiente che ha saccheggiato le finanze pubbliche lasciando la popolazione in miseria e l’economia in bancarotta’’ ( pag. 22 ). Quindi ‘’lo stato’’ viene contrapposto alla ‘’società civile’’ fonte di libertà. Per il grande studioso statunitense questa è ‘’un’immagine monodimensionale dello stato”. E così replica: ‘’Ciò che appare curioso in questa ideologia è la sua peculiare capacità di ignorare cinquant’anni di storia ( latinoamericana ). Il settore pubblico è stato necessariamente funzionale allo stimolo dell’industrializzazione, in assenza di investimenti privati e a causa della crisi economica, cioè della crisi mondiale negli anni Trenta e della guerra negli anni Quaranta. In secondo luogo, la crescita dell’alfabetizzazione e della sanità pubblica di base è stata in gran parte frutto di iniziative pubbliche’’ ( pag. 23 ).
Aggiungo che, in Europa, fuori dallo Stato costituzionale abbiamo conosciuto solo realtà imperiali e imperialiste ( di cui l’ultima è stata il nazismo ). Come non tenere conto di tutto ciò? I post-modernisti, così facendo, accettano solo l’esistenza di un unico super-stato imperialista statunitense. Questo è il punto d’arrivo delle loro teorie errate.
Terminata la parte relativa al post-marxismo, passo a delineare le caratteristiche dell’imperialismo del ventunesimo secolo.
L’imperialismo del XXI secolo
James Petras, in primo luogo, ci dà una definizione di imperialismo: ‘’L’imperialismo consiste nel dominio politico, nello sfruttamento economico e nella penetrazione culturale esercitati tramite la conquista militare, la coercizione economica, la destabilizzazione politica e movimenti separatisti e per mezzo dei collaborazionisti interni’’ ( pag. 25 ).
Lenin – come molti sapranno – polemizzando con Kautsky chiarisce in “Imperialismo, fase suprema del capitalismo”, che l’imperialismo non è una politica di governo ma uno stadio dello sviluppo capitalistico. L’economia capitalistica, di per sé “anarchica” ed ingestibile, in questo modo compromette la sovranità delle nazioni. Il saccheggio delle risorse e l’estorsione del plusvalore implicano nello stesso tempo il superamento ( e l’aggravamento ) del vecchio colonialismo.
Petras sostiene che i ‘’meccanismi’’ con cui vengono incrementati i ‘’profitti globali’’ vanno ben oltre lo sfruttamento delle colonie ma coinvolgono anche la vecchia Europa. Oggi i bianchi ( statunitensi ) colonizzano i bianchi ( europei ). Il testo di Petras fissa delle categorie entro cui si colloca l’imperialismo del ventunesimo secolo. Queste sono: (1) il saccheggio dei paesi europei debitori (vera novità storica ); (2) il crimine come fase suprema della costruzione degli imperi; (3) centralità dei collaborazionisti. Inizio col trattare questi tre concetti. Il filo conduttore – che condivido parola per parola è il testo di Petras.
(a) Il saccheggio imperiale dei paesi europei debitori
Il più grande furto della storia, il trasferimento di ricchezza dagli operai ed impiegati alla borghesia europeista, è la cosiddetta ‘’crisi del debito’’. Si tratta di una evidente truffa ad opera del grande capitale contro il mondo del lavoro: ‘’lo stato e il tesoro pubblico sono divenuti una delle fonti essenziali di accumulazione del capitale, profitti corporativi e ricchezza privata’’ ( pag. 26 ).
Il crack degli investimenti speculativi è stata la scusa attraverso cui il FIRE – Finance, Insurance and Real Estate – ha estorto miliardi di dollari direttamente ai contribuenti. Come, nello specifico, è avvenuta questa rapina? Lo studioso nord-americano risponde così ‘’L’elemento centrale di questa nuova struttura di saccheggio imperiale è stata l’azione degli stati imperiali per conto del capitale finanziario, immobiliare e assicurativo dell’Unione Europea e del Nordamerica’’ ( pag. 27 ).
Tutto questo ha creato un sistema perfetto di arricchimento che mai si sarebbe realizzato se i diktat finanziari imperiali non fossero stati appoggiati e applicati dalla classe politica collaborazionista locale sia conservatrice che liberale o socialdemocratica. Importante è stato, oltretutto, il ruolo dei giornalisti asserviti e degli accademici opportunisti che – come spiegavo precedentemente – hanno dato copertura ideologica a tale processo.
(b) Il crimine come ‘’fase suprema’’ della costruzione degli imperi
L’accumulazione capitalistica condotta dalla finanza speculativa conduce a tre tipologie di crimini: (1) le truffe di miliardi di dollari perpetrate dalle grandi banche d’affari statunitensi implicano la ‘’manipolazione del tasso d’interesse interbancario LIBOR’’, con cui vengono venduti sottocosto azioni e titoli sottratti ai fondi pensionistici ed ai risparmi degli investitori; (2) complementari alle frodi e alle truffe ci sono i miliardi di dollari ottenuti dalle banche col riciclaggio di guadagni illeciti; (3) i profitti e la ricchezza totale del capitale imperiale sono ingrossati da ingenti flussi internazionali di capitali illegali provenienti dai ‘’paesi in via di sviluppo’’.
Petras avverte che ‘’E’ chiaro che dobbiamo tenere conto della sistematica trasformazione criminale del capitale quale elemento centrale del processo di riproduzione del capitale stesso’’ ( pag. 29 )
In poche parole – tirando le somme – siamo passati dal capitalismo borghese ( proprietario ) ad una nuova forma di sfruttamento classista in cui la speculazione finanziaria ha un ruolo fondamentale. In questo modo al conflitto borghesia/proletariato si aggiunge, anche, il conflitto Imperialismo nordamericano ( in cui risiedono i centri della finanza mondiale )/Stati indipendenti e non allineati.
(c) L’imperialismo e il ruolo centrale dei collaborazionisti ‘’interni’’
La costruzione degli imperi contemporanei poggia su reti complesse di collaborazionisti. Gli Usa, come Gran Bretagna, Francia ed Israele hanno installato basi militari, finanziato gruppi neonazisti, addestrato i mercenari di Al Qaeda, pur di fronteggiare i movimenti antimperialisti. Questi comandi militari sono guidati da contingenti mercenari reclutati in varie parti del mondo ‘’Senza questi collaborazionisti mercenari, i politici imperiali dovrebbero fronteggiare un maggiore opposizione interna suscitata da perdite tra i loro soldati e spese militari più elevate’’ ( pag. 30 )
Il saccheggio delle risorse e la competizione fra le borghesie occidentali hanno portato alla formazione di nuove alleanze strategiche, nuovi movimenti reazionari e nuovi Stati clienti retti da governi di destra. Per James Petras ‘’L’imperialismo occidentale, oggi più che mai, dipende dalla creazione e dal mantenimento di regimi collaborazionisti – politici, ufficiali militari, elite degli affari – incaricati di aprire i propri paesi al saccheggio, trasferire ricchezza nelle centrali finanziarie imperiali e reprimere qualunque opposizione popolare’’ ( pag. 31 )
In Europa, le istituzioni dell’Unione Europea, dipendono da politici neoliberisti piegati al volere di Washington. Non esagero se dico che gli Stati capitalistici europei si muovono su procura degli Stati Uniti, i rapporti tributari vanno sempre a vantaggio del gendarme yankee. Credo che, giorno dopo giorno, questa subordinazione emerga in modo sempre più chiaro.
Quale ruolo per il sionismo ?
James Petras, già in precedenza, aveva dimostrato in Usa: padroni o servi del sionismo? ( Editore Zambon, 2007 ) come la lobby sionista statunitense condizionasse fortemente le politiche dell’imperialismo americano. Questa sua posizione è stata confermata anche dal giornalista britannico Alan Hart nel primo volume ( Il Falso Messia ) di Il Sionismo, il vero nemico degli ebrei ( Cap. 12, Il ‘’suicidio’’ Forrestal ). Nel saggio, “L’imperialismo del XXI secolo, militarismo, collaborazionisti e resistenza popolare”, non fa altro che confermare tutto ciò e lo fa con la solita prontezza di analisi. Leggiamo: ‘’La subordinazione della potenza imperiale degli Stati Uniti a uno stato piccolo, economicamente insignificante e isolato come Israele non ha precedenti nella storia mondiale, così come il fatto che cittadini statunitensi che tributano la propria fedeltà anzitutto a Israele si siano assicurati posizioni politiche strategiche nella struttura di potere dello stato imperiale, tra cui l’esecutivo ( la Casa Bianca ), il Pentagono, il Dipartimento di Stato e il Congresso’’ ( pag. 33 ).
Il nostro parla della capacità della borghesia sionista di sfruttare la potenza imperiale nord-americana facendo il gioco della elite militare israeliana. Sono stati i tecnici filoisraeliani, non a caso, ad elaborare la teoria della ‘’guerra globale al terrore’’.
Petras ribadisce che ‘’gli attori politici sionisti hanno svolto un ruolo dominante nel portare gli Stati Uniti alla guerra conro l’Iraq, in passato potente sostenitore dei palestinesi e strenuo oppositore dell’espansione coloniale israeliana in Palestina’’ ( pag. 34 ). Mai nella storia mondiale la politica di uno Stato imperialistico di primo piano è stata asservita alle ‘’richieste tributarie’’ ed ‘’aspirazioni coloniali’’ di uno Stato di secondo piano. Questa anomalia è parte integrante della materia che stiamo approfondendo.
Il rapporto Usa – Israele – in conclusione – è un rapporto di dipendenza reciproca: Israele inserisce uomini chiave nella nuova classe capitalistica trasnazionale, condiziona le scelte economiche delle borghesie statunitense ed europea, dall’altra parte gli Usa gli forniscono appoggio militare. Gli Usa necessitano dell’appoggio politico dei falchi israeliani; Israele necessita dell’appoggio militare dei neoconservatori yankee. Potremmo definire tutto ciò come Diarchia Imperiale Usa – Israele. Chi ne paga le spese ? Ovviamente i popoli e la ormai dimenticata classe operaia di tutto il mondo.
‘’Imperialismo legale’’ e legge internazionale
La legalità dell’imperialismo nord-americano si basa sull’attività di giuristi ed esperti di diritto ( giurisprudenza internazionale ) ad esso asserviti. I loro pareri vengono presentati come ‘’legislazione internazionale prevalente’’ quindi giustificano l’intervento imperiale e gli fanno da copertura ideologica.
Nel diritto borghese internazionale non vige il ‘’principio di giustizia’’ ( per utilizzare le parole del giurista liberale Hans Kelsen ): le ragioni della elite nord-americana ( ed israeliana ) prevalgono sulle Costituzioni per il semplice motivo che hanno dalla loro la forza bruta. Non è un caso che la legislazione internazionale, nella misura in cui è efficace ( sottolinea Petras ), viene applicata soltanto alle potenze più deboli e ‘’ai regimi designati come ‘’violatori’’ da parte delle potenze imperiali’’. Il nostro attacca i giuristi pro-imperialisti con efficacia ‘’La legislazione internazionale può al massimo fornire un giudizio ‘’morale’’, una base non irrilevante per il rafforzamento delle rivendicazioni politiche dei paesi, regimi e popoli che cercano giustizia contro i crimini di guerra imperiali e il saccheggio economico’’ ( pag. 40 ).
L’analisi storica ci dice che gli imperi nascono attraverso l’utilizzo della forza ( impero persiano; cartaginese, romano … ) ma per il loro ‘’mantenimento’’ e ‘’consolidamento’’ richiedono un ‘’quadro legale’’. Per Petras ‘’la legalità è in realtà una prosecuzione della conquista imperiale con altri mezzi’’, anche la forza borghese più feroce necessita di ‘’una facciata di legittimità a beneficio del mondo esterno’’, condizione necessaria per attirare ‘’classi e individui collaborazionisti’’, creando le basi ‘’per il reclutamento di personale locale militare, giudiziario e di polizia’’. Tutto ciò fa si che la legislazione imperiale sia applicata in modo selettivo solo ai nemici dell’imperialismo statunitense che, di tale produzione, ha il monopolio.
Il diritto, come afferma Lenin in Stato e rivoluzione, resta uno strumento di classe: ‘’I funzionari giudiziari non sono soltanto ‘’strumenti’’ di poteri politici ed economici imperiali strettamente correlati; essi strumentalizzano i funzionari di altri rami del loro stesso governo imperiale e di settori economici, in alcuni casi passando sopra alle loro decisioni. I giudici che hanno legami con specifici settori finanziari possono deliberare a favore di un gruppo di creditori, danneggiandone così altri’’ ( pag. 42 ).
La ‘’dottrina legale imperiale’’ ha svolto un ruolo centrale nel giustificare il terrorismo internazionale, promuovendo attivamente politiche a vantaggio della borghesia nord-americana. Petras ricorda agli sprovveduti che ‘’La legge non è semplicemente parte della sovrastruttura che ‘’rispecchia’’ il potere di istituzioni economiche o politiche: essa guida e indirizza le istituzioni politiche ed economiche nello stanziamento di risorse materiali per l’implementazione delle dottrine imperiali’’ ( pag. 44 ).
In questo modo il diritto, volente o nolente, diventa una puntella del neo-imperialismo. Un vero e proprio piede di porco nelle mani del gendarme statunitense.
Le FARC e il problema della ‘’giustizia di transizione’’
L’ultima parte del libro di Petras ( pag. 181 – 204 ) è arricchita da un documento della guerriglia rivoluzionaria delle FARC. Per prima cosa – prima di cedere la parola ai guerriglieri – è bene spiegare chi sono le FARC. ‘’Le FARC – spiega Petras – sono una organizzazione rivoluzionaria, marxista e bolivariana, che difende le bandiere delle classi oppresse dal regime’’ ( pag. 182 )
Una citazione illuminante ( cit. ‘’rivoluzionaria, marxista e bolivariana’’, mettendo la parola ‘’bolivariana’’ in evidenza ) che mi porta a riaffermare un punto importante: per comprendere le modalità di lotta proprie di una organizzazione (neo)marxista è necessario smantellare l’apparato ideologico del post-marxismo. Questa è la ragione per cui ho provato ad offrire al lettore uno studio di metodo riguardante i primi saggi del libro di Petras, testi complessi e di non facile lettura. Senza una conoscenza adeguata degli scritti sopra elencati non è possibile capire come oggi la questione della lotta di classe si compenetri con quella dell’indipendenza nazionale. La ‘’giustizia di transizione’’ di cui parlano i rivoluzionari colombiani riguarda il passaggio da un regime clientelare ad uno Stato sociale dinamico. Possono, nel 2015, le classi dirigenti capitalistiche, in Europa come nelle colonie, risolvere il problema dell’indipendenza nazionale? Chi scrive lo esclude fermamente.
L’analisi proposta è l’antitesi di ciò che il post-marxismo stile Toni Negri propone da anni. In una società globalizzata, la rapina ed il saccheggio degli Stati poveri da parte delle nazioni ricche, è una costante. Nel documento leggiamo che ‘’L’ordine internazionale esistente, nonostante tutte le sue formalità di legge e i bellissimi principi, non stabilisce l’uguaglianza e il rispetto di tutte le nazioni e di tutti i popoli, ma l’aperto dominio e l’impunità di alcuni Stati rispetto ad altri’’ ( pag 182; pag 183 )
L’attuale ordine – o disordine – è il prodotto della seconda guerra mondiale e della scomparsa dell’Urss ( dicono i guerriglieri ). Se da un lato l’Urss è stata un ‘’gigantesco potere alternativo’’ al capitalismo, con la sua fine ‘’il nostro pianeta è stato completamente esposto ai padroni del capitale’’. L’imperialismo statunitense, nel 1991, dopo 50 anni di guerre dirette o per procura, ‘’cancella’’ il pericolo di una rivoluzione mondiale.
Poco dopo leggiamo una breve analisi dell’edificio statale borghese: ‘’L’edificio giuridico borghese è stato costruito sulla base del punto di vista idealistico che tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge, hanno gli stessi diritti e doveri nei confronti della società e dello Stato. La realtà materiale era completamente diversa. Una classe di proprietari aveva ricchezza sproporzionata in abbondanza, mentre la stragrande maggioranza affondava nel bisogno. Trattarle come uguali voleva dire sancire giuridicamente disuguaglianza e dominio sui deboli da parte dei forti. Si è imposto il primato dell’apparenza formale sulla verità reale’’ ( pag 184 ).
L’ ‘’imperialismo legale’’ di cui parla Petras è la proiezione internazionale di ciò che qui, in queste poche righe, viene descritto in rapporto ad una realtà nazionale. La lotta di classe internazionalista fra l’imperialismo statunitense ed i paesi coloniali, molte volte, ha unito i lavoratori alla propria borghesia nazionale. Si deve, in caso di aggressione imperialista, difendere la Siria baathista? Lo studio di Petras ci aiuta a rispondere positivamente a questo quesito che – dall’altra parte – ha smascherato il marxismo dogmatico ( speculare al post-marxismo ).
Le FARC, come era prevedibile, rivendicano l’eredità di Chavez: Chavez è, per loro, un rivoluzionario e un antimperialista demonizzato dai mass media occidentali. Il motore dei processi sociali ( compresa la Rivoluzione bolivariana in Venezuela ) è la lotta di classe, l’eroismo degli operai e dei contadini che fanno a pezzi il mito statunitense della ‘’fine della storia’’.
Il documento mette in mostra il ruolo degli intellettuali opportunisti, gli accademici asserviti che ‘’Si dedicarono a imbastire nelle proprie università e centri di pensiero le più ricercate interpretazioni circa il significato dei diritti umani e le loro violazioni, giungendo al punto di saturare l’ambiente accademico con le più avventurose teorie’’ ( pag. 190 )
L’Università di Harvard diventa il laboratorio dell’impero in cui vengono sistematizzate le dottrine post-marxiste e neoliberiste, un vero e proprio ‘’corpo teorico di dimensioni universali, con succursali e agenzie in tutto il mondo, fondazioni e corporazioni private’’.
In Colombia, l’imperialismo si trova costretto a trattare, essendo stato messo con le spalle al muro. Le FARC riusciranno a far valere le proprie ragioni ? James Petras – come chi qui recensisce il libro – è molto scettico. Del resto Petras proprio in un saggio della raccolta – Colloqui di pace all’Avana e omicidi in Colombia: la doppia strategia del regime di Santos – ci comunica come i gruppi paramilitari neonazisti siano tutt’altro che disarmati. Lo stesso problema, con modalità differenti, lo ritroviamo in Venezuela: Maduro può trovare un accordo con la borghesia neofascista? Eppure – si legga il saggio Sconfiggere il fascismo prima che sia troppo tardi – il PSUV ha l’appoggio popolare affinchè si radicalizzi il processo rivoluzionario espropriando, nuovamente, ampi settori della borghesia compradora.
Il libro sottintende un grande monito: ‘’Chi compie una rivoluzione a metà si scava la fossa da solo’’. La frase è di Saint Just e Petras, pagina dopo pagina, sembra volerla suggerire ai dirigenti rivoluzionari venezuelani e colombiani e, forse, la rammenta anche a noi, chiamandoci ad un sostegno più genuino, e meno strumentale, delle rivoluzioni in corso. La posto in gioco è alta.