Libertà e soggettività


Nel bicentenario della morte di Kant Costanzo Preve scrisse un breve testo a lui dedicato e reperabile ancora in rete. La filosofia è pensare il proprio tempo; Costanzo Preve da filosofo pensò il tempo del capitalismo assoluto. La filosofia è disciplina del pensiero che  il filosofo  vive  come vocazione e non come professione. Il professionista è in qualche modo dipendente dalle istituzioni, in cui espleta le sue mansioni; il filosofo conserva la sua autonomia, può essere parte di un’istituzione, ma non è organico alla medesima. Costanzo Preve fu “filosofo”, perché  fu fedele solo al suo destino e dunque alla sua vocazione. La filosofia è pensare il tempo in cui si è implicati, ma tale prassi è sempre comunitaria. Pensare è confrontarsi con autori del passato e del presente, è azione di risemantizzazione di concetti con la pubblica testimonianza. Il breve saggio dedicato al bicentenario della morte di Kant non è  dunque un atto cerimoniale, ma un modo, anche esplicito per il filosofo torinese, di pensare il nostro tempo attraverso il lascito concettuale, politico e morale di Kant. La libertà nel tempo del capitalismo assoluto è decaduta a semplice scelta dei prodotti all’ipermercato o di viaggi preconfezionati. Il guinzaglio in media è piuttosto lungo, si può fare un giro nella prigione senza uscire da essa e senza scorgerne le sbarre. La lunghezza del guinzaglio è proporzionale al censo, pertanto le catene non sono percepite dalle “nomenclature” che fanno sfiorire il loro tempo nei tour nella prigione. Coloro che subiscono direttamente il peso delle catene sono invece afoni, sono anestetizzati dall’oppio del capitalismo assoluto: sesso (mercificato), gioco e spettacolo. Il capitalismo assoluto è “generoso” e offre a ciascuno l’oppiaceo con cui neutralizzare l’autonomia del soggetto razionale.

Ripensare Kant dunque per Costanzo Preve è un modo per riflettere sul nostro tempo che ha degradato la libertà ad attesa dietro una vetrina.

Kant ci rammenta che la dignità dell’essere umano è nell’autonomia del pensiero.  Le dipendenze dal potere, dalle istituzioni, dalle cose e dagli appetiti non possono che negare la libertà e con essa l’eccellenza che distingue l’essere umano: il coraggio del giudizio personale pensato e vissuto. Se dovessimo definire l’uomo di valore, Kant ci offre il parametro per valutare gli esseri umani ma specialmente per comprendere la regressione in atto pianificata dal totalitarismo del mercato a cui bisogna tragicamente adeguarsi:

“Il contributo immortale della teoria della conoscenza di Kant sta nell’aver fondato in modo particolarmente acuto ed intelligente l’autonomia del soggetto razionale. Il soggetto “irrazionale” non ha mai avuto autonomia, ed ha al massimo l’arbitrio scambiato per libertà di fare sacrifici umani, erigere roghi inquisitori, preferire il responso dei tarocchi alle pratiche scientifiche, sostenere che si è liberi soltanto sottomettendosi integralmente alla Chiesa e/o al Partito, eccetera. La razionalità comincia solo con la messa in discussione critica dell’arbitrio. Naturalmente, Kant non è stato affatto il primo grande filosofo ad aver sostenuto l’autonomia del soggetto razionale, ma si può dire che lo ha fatto ancora meglio di altri. Prendiamo ad esempio, fra i molti possibili, Epicuro, gli stoici e Spinoza. Epicuro ha certamente fondato l’autonomia del soggetto razionale, ma lo ha fatto all’interno di una comunità protetta di amici. Gli stoici antichi (e moderni) hanno certamente difeso l’autonomia del soggetto razionale, ma lo hanno fatto incorporando questo soggetto stesso in una struttura provvidenziale del mondo che identifica di fatto la libertà con l’accettazione della necessità (ed il marxismo novecentesco è stato in larga parte una forma moderna di stoicismo rivestito di formule economiche assolutizzate). Spinoza ha ripreso in forma moderna il vecchio programma stoico, arricchendolo con la pregevole teoria della critica alle concezioni antropomorfiche della divinità monoteistica, concezioni che fanno da denominatore comune al cristianesimo, all’Islam ed all’ebraismo. Ma ci è voluto Kant per dare una fondazione ancora migliore all’autonomia del soggetto umano razionale[1]”.

La libertà non è lo spostamento spaziale nella “prigione”, ma è confronto con le resistenze ideologiche che ogni essere umano reca con sé. Ogni essere umano vive la propria dimensione ideologica. Si è parte di una storia personale e di classe, pertanto il giudizio sulla realtà è falsato dai condizionamenti vissuti e non pensati. L’essere umano, può se vuole, elevarsi dialetticamente e logicamente dalla condizione ideologica per aprirsi all’universale. Gli interessi personali e di classe possono essere trascesi. Il lavoro dello spirito è prassi politica, in quanto la lotta interiore contro le resistenze ideologiche si traduce in scelta politica e diviene visibile nell’elaborazione progettuale della buona politica:

“La coscienza ideologica, infatti, resta nell’essenziale una forma di falsa scienza. Se gli agenti storici si rappresentassero adeguatamente la totalità dei propri comportamenti è probabile che vivremmo da molti secoli in società senza classi con gradi accettabili di eguaglianza e di solidarietà sociale. Ma le diverse strutture classistiche della società (schiavistiche, feudali, capitalistiche, socialistico-burocratiche, eccetera) richiedono fisiologicamente la formazione di ideologie di legittimazione, resistenza, contestazione, rassegnazione, eccetera. Le diverse teorie cosiddette “morali” fanno parte integrante di questa costellazione classistica[2]”.

Il capitalismo assoluto priva l’umanità della sua essenza storica: l’autonomia del soggetto razionale. Si esalta la libertà decerebrata, si invita ad adattarsi e si farfugliano compulsivamente le infinite possibilità che il mercato offre ai “meritevoli”, ma non si dice che tutto questo ha un prezzo, ovvero la rinuncia al giudizio etico sui fatti, perché senza “scandalo e indignazione” non può esservi politica. L’animalizzazione degli esseri umani diviene in tal modo il modo più efficace per addestrare un’umanità docile e infantile cui si offrono compensazioni nichiliste che dovrebbero deviare l’attenzione dalla lobomotizzazione socialmente organizzata. Costanzo Preve ci invita a pensare nel suo breve saggio la “prigione e i guinzagli” che ci impediscono di sperare una realtà a misura di essere umano per tutti. Fortunatamente per “natura” l’essere umano non può che pensare e quindi potrebbero esserci svolte che il sistema non può prevedere o inibire. Abbiamo il dovere tutti di favorire l’autonomia del soggetto razionale, è la nostra speranza e la nostra scommessa sul futuro.

L’essere umano in conclusione si percepisce, si vive e si pensa come soggetto, se pone in atto la potenzialità che lo differenzia massimamente dagli altri viventi. Senza l’autonomia del soggetto razionale non c’è l’indignazione dinanzi alla sfruttamento dell’umanità, in quanto la strumentalizzazione dell’altro non è pensata, poiché il soggetto umano non si vive come soggetto ma come nuda vita:

“L’indignazione è stata all’origine della filosofia greca detta erroneamente presocratica (…), nella forma della indignazione razionalizzata di fronte  all’irruzione sconvolgente della schiavitù per debiti, a sua volta dovuta alla monetarizzazione selvaggia dei rapporti sociali[3]”.

Autonomia e indignazione sono le condizioni imprescindibili per la prassi. Prima ancora della fatica del concetto ci attende la cura paideutica per educare i nostri giovani a diventare “autonomi” e dunque soggetti politici.


[1]Costanzo Preve A duecento anni dalla morte di Immanuel Kant (1804-2004). Considerazioni attuali sul rapporto fra la filosofia classica tedesca ed il marxismo, Petite Plaisance Pistoia, pag. 7

[2] Ibidem. pag. 11

[3] Costanzo Preve, Capitalismo senza classi e società neofeudale, Petite Plaisance Pistoia,  2020 pag. 7

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