Agli albori del pensiero ritroviamo Aristotele e la sua qualificazione sostanziale dell’uomo come animale politico – ζῷον πολιτικόν (zòon politicòn) – inteso in senso lato come cura di sé e del rapporto con gli altri uomini della πόλις (pòlis). Se tale qualificazione non rispondesse realmente alla sua natura, soggiunge Aristotele, l’uomo decadrebbe a stato di belva solitaria, esclusa dal consorzio umano, o al contrario sarebbe de facto elevato a stato di divinità che, per la sua onnipotenza e autosufficienza, non abbisogna di un consesso comune.
Ebbene, la qualificazione di πολιτικόν è la mira, a giudizio di Salvatore A. Bravo (nel seguito S.B.), autore di questo ottimo saggio, di un attacco congiunto, surrettizio nelle modalità ma fin troppo palese negli effetti, della società della tecnica e del sistema economico capitalistico. La risultante è un imprimatur tecno-capitalistico apposto su un nuovo manuale d’uso dell’uomo contemporaneo. È il tentativo di avviare lo sviluppo della storia su una direzione si direbbe “antropofuga”, e anzi “zoopeta”, che allontani dalla sostanza di tutto ciò che significa “essere umani” e avvicini alla sostanza fisico-naturalistica dell’idea di “essere vivente” tout court, che residua appunto nella nuda caratterizzazione di ζῷον.
Curiosamente la tecnica e il capitale agiscono per additionem, l’una pervadendo la società di strumenti atti a moltiplicarne le capacità espressive, almeno in teoria, l’altro a moltiplicarne le effettive possibilità di porle in atto tramite la ricchezza, ma il risultato complessivo è un uomo diminuito, deumanizzato, un mero ζῷον, un uomo scalato per subtractionem del proprio vero potenziale. Ogni incremento tecnico e capitalistico, in un curioso vortice dialettico, va non ad aumentare ma a detrarre dall’uomo ciò che di più umano c’è nella sua espressione. In questo, S.B. cita giustamente Hegel:
“Quantità, dice Hegel, significa qualità tolta, ovvero indica l’essere reso indifferente alle sue determinazioni”.
Da questo punto di vista, il saggio di S.B. è una panoramica ad ampio raggio sulle svariate qualità tolte dall’espressione umana, ovvero di caratteri che hanno subito, e continuano a subire, una detrazione in termini di umanità vera.
Partiamo proprio dal vivere sociale, che ad es. la nostra stessa Costituzione (art. 3 comma 2) lega allo sviluppo della persona umana e all’effettiva partecipazione alla società, e quindi intende non già nel senso di un Ego solipsistico, bensì comunitario, ovvero come relazione di quell’Ego all’interno di un contesto relazionale. La matrice trasformativa in cui l’Ego è immerso, in un sistema tecno-capitalista, è invece esiziale per quello stesso Ego, in quanto riducendolo a monade “senza finestre”, ne abbatte la stessa capacità espressiva in tutto ciò cui tale Ego tiene realmente:
L’essere umano è tale, se si riconosce nell’identità personale e comunitaria. L’identità si genera nelle relazioni comunitarie senza le quali “il riconoscimento di sé” e “dell’altro” è impossibile. In questo intreccio si struttura la personalità che, benché dinamica, ha la sua essenza, si modifica, ma all’interno di un percorso evolutivo tracciato. Gli accidenti del percorso possono essere estemporanei, ma l’identità con il suo nucleo vitale e dinamico non è contrattabile, non può essere sostituito. L’identità è resistenza al potere, è il limite che il soggetto disegna al potere. L’animalizzazione è, invece, l’organizzazione totalitaria del capitalismo assoluto, essa deve privare i soggetti dell’identità stabile inneggiando al mito della flessibilità, delle identità fluide, della sessualità polimorfa. L’identità non è più legata ad una storia, alla ricerca di sé, ma è figlia dell’attimo, della voglia del momento. Senza identità, l’io non è che il contenitore senza fondo degli stimoli del mercato.
E ancora, sull’empatia, non possiamo che concordare con S.B.:
Affinché il sistema possa proliferare e regnare è necessario diseducare all’empatia positiva, alla capacità empatica e duale per sostituirla con l’empatia negativa. Quest’ultima si caratterizza per il corazzamento emotivo, ci si ritira dal flusso empatico positivo per rendersi atomi individuali slegati da ogni vincolo di appartenenza. L’empatia positiva educa alla trascendenza, nel volto dell’altro si legge la traccia dell’infinito e del limite.
S.B. prosegue con un’analisi di stampo più teoretico di questi esiti, introducendo ad esempio la c.d. “perversione di Spinoza”, ovvero il pervertimento degli attributi, le qualità fondamentali della sostanza umana, che virano verso un’uniformità artificiale, atta a garantire unicamente uno scivolamento perpetuo di merci e capitali senza attrito alcuno, perdendo in ciò la loro stessa prerogativa primigenia.
Gli infiniti attributi spinoziani non sono che gli esseri umani, i quali divengono l’epifenomeno dell’unica sostanza spazio-materia. Solo corpi che consumano, sola estensione, solo enti liberi di veleggiare per il pianeta per godere la liturgia del nulla. Godere è rendere l’altro strumento, spazio che divora ed assimila altro spazio. Il turista che girovaga nel mondo, cosa fa se non consumare veloci visioni di paesaggi e monumenti per poi dilettarsi con i cibi del luogo. In media al ritorno è simile al momento del viaggio, poiché il fine era il divertimento, “il divertere-cambiare strada”. Strati su strati di divertissement non costruiscono solo l’economia della dispersione e della gettatezza, ma specialmente formano ed orientano alla fuga dall’impegno, dalla politica.
Invero, cosa c’è di più distruttivo dell’effetto di questo contesto sulle nuove generazioni, sulla loro formazione. Arduo obiettare che il mondo, così come filtrato da una Weltanschauung tecno-capitalista, non sia soggetto per loro a una continua riconfigurazione gestaltica verso il piatto e via dalla complessità, una Gestalt senza figure riconoscibili, dotata unicamente di linee rette infinite e parallele, che non si incontrano mai se non all’infinito (direbbe Euclide), ma in un infinito non in un senso metafisico, quanto piuttosto nel senso di una trabordante ed essudante quantità.
Con il pedagogismo gli esperti della tecnocrazia didattica riducono la formazione a costola del mercato, tra l’istituzione formativa ed il mercato non vi è differenza, non vi sono salti quantici a garantire la formazione dall’asservimento incorporante. Costanzo Preve connota questa fase del capitalismo come assoluto e ne evidenzia l’incorporamento, mediante il quale si costituisce il regno dell’irrilevanza, ovvero ogni valore, ogni differenza tra l’umano ed il non umano salta per portare il tutto sulla linea dell’irrilevanza. Non vi è alto, né basso, non vi sono gerarchizzazione assiologiche, ma solo l’irrilevanza del nichilismo. Capitalismo della sorveglianza è la definizione di Shoshana Zuboff, con cui si palesa il carattere dell’incorporamento della vita mediante le banche dati con le quali allevare un nuovo tipo di essere umano.
Il saggio di S.B. è estremamente interessante per la visione a volo d’angelo di un territorio antropico via via eroso e desertificato, decompresso della sua pienezza umana e fluido come olio motore, lubrificato come un ingranaggio ma sterilizzato e prono a guasti. È un territorio dell’uguale e del conforme, del normale statistico e non emotivo, della confluenza e non dell’unione, della giustapposizione e non dell’incontro.
Egli riesce a individuare e a descrivere con dovizia di particolari e abili agganci teoretici i gesti, le idolatrie e gli idealtipi della società contemporanea: vedansi, ad esempio, il preside manager, lo studente coder già alle elementari, il poliglotta sagace, il politico sinistrorso ma aperto al globale, il professore con picchi di performance, la scuola azienda, il pensiero dell’esatto e non del vero, il politicamente sottratto (o, come pretendono dire, corretto), la burocrazia automatica che si infiltra nei gangli delle relazioni umane. Questo testo costituisce pertanto una visione originale del rapporto tra capitalismo, tecnica e società, nelle sue ricadute culturali e sociali.