In un articolo del Post [1] dal titolo “La scienza non è “neutra”” si pone il problema della “corretta divulgazione” della scienza. Sembra in ordine a evitare la genesi di complottismi vari che danno ovviamente fastidio al capitale e alla politica. E’ assodato che lo sviluppo di aree di dissenso crea problemi, l’abbiamo visto col primo M5S che è stato un po la coalescenza di diverse aree di dissenso che Grillo aveva raccolto intorno a se. L’idea di fondo espressa nell’articolo è quella di rigettare l’approccio scientifico classico, per intenderci quello “alla Burioni” in cui il pubblico deve solo applaudire alle pillole di scienza ammansite dal luminare di turno, in favore di un approccio più relativista, soggettivo, peraltro molto di moda in questa epoca di pensiero debole. Questo approccio non è sbagliato ma rischia di attutire le differenze e rende più difficile una critica oggettiva. Va premesso che il problema del complicato rapporto tra scienza, capitale e politica non è però argomento di questo articolo, ma richiede un trattamento a parte, qui il problema è “come divulgare?”.
Esistono due modi di guardare alla scienza che sono nella sostanza i seguenti:
1 – La scienza è neutra, oggettiva, e rappresenta nel campo delle conoscenze umane anzi l’unica cosa alla quale possiamo attribuire dei valori di verità che pur probabilistici hanno un’alta probabilità di essere molto vicini al vero. Nessuno oggi mette in discussione, non dico la meccanica classica, ma nemmeno il DNA come base della vita o le bande nei solidi come base dei dispositivi elettronici.
2 – Come tutte le attività umane la scienza soffre degli stessi problemi di competizione tra individui, gruppi, popolazioni e nazioni, e poli mondiali. Per cui la scienza non è mai neutra, essa viene usata strumentalmente divenendo tecnica/tecnologia in cui vengono sviluppate delle linee di ricerca che interessano la competizione e non altre che magari sarebbero di interesse generale.
Per quanto possa sembrare strano questi due approcci non sono in contraddizione tra loro. Essi in qualche modo si sovrappongono perché se è indubbio che la scienza è un’attività umana è anche vero che non sono in discussione l’esistenza del DNA o le bande di energia nei solidi, teorie che possiamo definire “di successo”. Nell’articolo del Post si vorrebbe privilegiare il secondo approccio, ma il rischio è di non comprendere perché una teoria scientifica viene accettata. Per capire di cosa stiamo parlando è il caso di citare il nucleo dell’articolo del Post in cui emergono, nelle differenze tra i due autori citati Carl Zimmer e Danielle Carr [2] esattamente i due punti di vista citati sopra:
“Per comprendere l’approccio di Zimmer alla divulgazione, Carr cita e trova significativo un passaggio di un discorso da lui tenuto alla Rockefeller University, prestigiosa università privata dell’Upper East Side, a New York, poco dopo l’elezione di Trump. In quell’occasione Zimmer parlò a una platea di aspiranti autrici e autori di articoli scientifici dei rischi di presentare «entrambi i lati della storia» quando si tratta di questioni su cui esista un consolidato consenso scientifico.
«Se state scrivendo di tettonica a zolle, non sentitevi in colpa per non aver riportato l’opinione di chi pretenda lo stesso spazio per il suo PDF online di 200 pagine sulla teoria che non esiste la deriva dei continenti perché la Terra è cava. Questo rende faziose le vostre presentazioni? Domanda assurda per un giornalista scientifico. “Salve, mi chiamo Carl Zimmer e sono a favore della tettonica a zolle”».
Carr interpreta questo passaggio come una prova dell’opinione di Zimmer sul rapporto tra scienza e politica, declinato in termini di sostanziale opposizione. Per Zimmer, non si può essere a favore o contro la tettonica a zolle, perché si sta semplicemente riportando dei fatti. Per lui il racconto della scoperta scientifica, del come e del perché siano prodotte le conoscenze – e anche del «perché le persone potrebbero diffidare» di quelle conoscenze – non dovrebbe far parte della storia di cui i giornalisti scientifici devono occuparsi.
Questo approccio, secondo Carr, trascura il racconto degli evidenti fattori politici a monte del lavoro quotidiano di chi fa scienza. Restano del tutto escluse domande essenziali come «Chi ha pagato per i laboratori e la ricerca? Chi detiene i diritti di proprietà intellettuale? Qual è lo scopo di quella ricerca? È per costruire armi, per progettare un Green New Deal o per fare un sacco di soldi? Quali sono le condizioni di lavoro in cui vengono condotte quelle ricerche scientifiche e al servizio di chi?».”
Premetto che sono d’accordo con le ultime frasi sul “chi, come e perché” è stata finanziata la ricerca, ma questo non è l’unico problema di chi voglia fare divulgazione. E’ importante capire quali siano gli interessi dietro la scienza, ma una volta che abbiamo una teoria dobbiamo anche capire, indipendentemente dai primi, perché funziona o non funziona. In questo senso l’esempio è infelice: qui la Tettonica a Zolle dovrebbe essere confrontata con la teoria della Terra Cava (secondo Carr), ma perché dovrei, mi chiedo io divulgatore (Zimmer)? La tettonica a Zolle può a ben diritto fregiarsi del fatto che: 1) è derivata da teorie di successo ed è essa stessa una teoria di successo; 2) ha il (democratico) consenso della maggior parte degli scienziati; 3 qualora non basti si deve sempre pensare che la revisione tra pari (peer review) pone limiti abbastanza severi su affermazioni che siano prive di accordo coi dati. La teoria della Terra Cava non gode assolutamente di queste tre condizioni.
Inoltre, non è assolutamente trascurabile il fatto che le teorie scientifiche vanno viste anche e soprattutto dal punto di vista della loro capacità di fare delle previsioni [3]. E’ su questa base che si misura il loro “successo”. La Tettonica a Zolle in particolare può fare delle previsioni su dove avverranno terremoti più o meno devastanti misurando lo spostamento delle zolle (che è di pochi centimetri l’anno) e anche se non possiamo prevedere con precisione dove e quando avverranno questi terremoti possiamo almeno decidere di costruire in modo antisismico in queste zone [4].
Tuttavia il problema della divulgazione non è banale perché esistono diversi modi di divulgazione evidentemente collegati ai due diversi approcci citati sopra, ovvero se consideriamo la scienza neutra o non neutra: se seguiamo l’approccio che sostiene che la scienza è neutra la divulgazione diventa fredda e “scientifica” scollegata da ogni apporto umano. Spiegazioni di come certe cose avvengono (es. il cielo è blu perché…) le hard sciences ne hanno a decine nelle quali si parla solo di fisica, chimica, biologia senza alcun accenno a come e perché queste teorie sono nate e si sono evolute. E’ il tipo di discorso che troviamo anche nei libri di testo delle scuole e che spesso è poco attraente perché quasi sempre la scrittura è asettica e le verità sono scontate (mentre hanno richiesto anni o decenni di studi). Gli umanisti hanno spesso parlato di “disincanto” (disenchantment) in relazione a questo tipo di discorso scientifico.
Si può ovviare a questo con un approccio storico in cui la neutralità della scienza è messa in discussione perché ricondotta anche alla vita e ai contrasti tra gli uomini che hanno costruito queste teorie, e quindi alle loro inclinazioni anche politiche in definitiva e quindi a come la politica e l’economia hanno giocato un ruolo dietro la costruzione delle teorie (un eccellente esempio è “L’ Invenzione della bomba atomica” di Richard Rhodes [5]).In ambito di storia della scienza ha perfettamente senso spiegare come e perché la Tettonica a Zolle è diventata la teoria di successo in ambito geologico e come le teorie rivali sono state messe da parte.
Tuttavia questo non è sempre possibile perché il processo storico di formazione della teoria e l’influenza dei risultati sperimentali è molto lento e complesso: dai fenomeni si va alla teoria e dalla teoria si torna ai fenomeni per vedere se la teoria è corretta. Seguirlo tutto può richiedere un tempo molto lungo. Non può essere l’approccio seguito dal virologo di turno in televisione che ha un tempo molto limitato a disposizione e rischia di creare solo confusione se volesse raccontare l’intero processo per cui si è arrivati a certe conclusioni. Quindi preferirà la modalità asettica del libro di testo anche opportunamente semplificato, ma a qual punto sembrerà che parli come un oracolo col rischio di essere smentito in presenza di fenomeni nuovi!
E’ dal primo approccio che nasce l’accusa di scientismo, come credenza incondizionata nella superiorità della scienza e dell’approccio scientifico, una versione volgarizzata che raramente è propria degli scienziati. Molto più “scientisti” sono tutti quelli che, in buona o in mala fede, vogliono usare la scienza per scopi politici o economici per i quali il feticcio “scienza” viene agitato come garanzia di affidabilità e verità sulla base del fatto che “la scienza è neutra” applicata in modo indiscriminato a tutta la scienza, anche in campi dove non esistono “teorie di successo”. Ci si arrampica sugli specchi in certi campi per mostrare che si è “scientifici” perché altrimenti non si sarebbe creduti.
Un caso eclatante è proprio l’economia dato che ad esempio nessuno è tutt’ora in grado di prevedere con esattezza l’avvento di crisi economiche[6], invece della Tettonica a Zolle sarebbe stato molto più opportuno dire teoria dell’Economia Neoliberale (chissà perché questo esempio è sfuggito!!). D’altra parte in quest’ultimo caso l’assenza di una teoria di successo può essere anche presa come una conseguenza del fatto che la scienza “non è neutra” e quindi va bene così: se molti credono al modello neoliberale in economia, allora tanto vale crederci poiché “lo credono tutti” sicché l’ampia diffusione della Teoria Neoliberale in economia diventa strettamente collegata al successo del Modello Politico Neoliberale. Naturalmente i neoliberali possono anche rispondere positivamente alla domande: Qual è lo scopo di quella ricerca? È per costruire armi, per progettare un Green New Deal o per fare un sacco di soldi? Certo lo scopo è per il benessere delle persone, far diventare tutti ricchi come allegri “imprenditori di se stessi” magari.
L’atteggiamento, corretto, il c.d. senso comune, della maggioranza delle persone è una naturale tendenza allo scetticismo. Non c’è una soluzione semplice al problema della corretta divulgazione invocata dal Post. Posso concordare con Danielle Carr che: «se la scienza è necessaria per la sicurezza nazionale e per il progresso economico, come può essere governata democraticamente da cittadini non attrezzati per capire cosa succede in laboratorio?» [1]. Ma prescindendo dall’illusione, molto americana, che la democrazia, peraltro in crisi nel campo politico (cosa che getta più di un dubbio su quel governata democraticamente), possa essere invocata nell’ambito della scienza, non vanno bene nè il metodo asettico – tipico del passato pensiero forte in cui scienza e verità vengono praticamente fatte coincidere trascurando l’aspetto umano e la competizione tra teorie, privilegiando una narrazione della scienza disincantata e avulsa dal quotidiano scetticismo – nè quello storico umanista, tipico del pensiero debole post-moderno, relativista, che richiede una ricostruzione “filologica” e rischia di perdersi dovendo confondendo teorie di successo con teorie di dubbio valore senza essere capace di decidere quale dovrebbe essere la teoria migliore.
La scienza non sarà neutra se adottiamo l’approccio storico umanista, ma nemmeno possiamo dire che è democratica nel senso che secondo le preferenze e le convinzioni di ognuno possiamo scegliere la teoria che più ci piace, che rispecchia le nostre personali convinzioni politiche o sociali, come se le teorie scientifiche fossero delle merci in un mercato alle quali chiediamo magari anche un bollino “etico”. Se la scienza è democratica lo è al più nella comunità dei pari, non per tutte le persone. La scienza si deve valutare sulla base dei suoi successi o insuccessi, non sulle preferenze delle persone e tantomeno su quelle degli scienziati, indipendentemente dagli interessi politici o economici che hanno dato origine a quelle ricerche. Una divulgazione corretta non può non tenere conto di questi aspetti, può essere anche molto critica sugli interessi che hanno portato a quella teoria, ma non può non tener conto del successo della stessa [7].
[1] Il Post “La scienza non è “neutra””, 17 settembre 2022.
[2]Carl Zimmer è l’autore del libro A Planet of Viruses, scritto nel 1998 dal giornalista scientifico e recentemente aggiornato per includere un capitolo sul virus SARS-CoV-2 e sulla COVID-19. Zimmer, peraltro collaboratore del New York Times, è quasi unanimemente considerato uno tra i più rispettati divulgatori scientifici americani.Danielle Carr è una scrittrice che si occupa di storia della scienza e della medicina, dottoranda in neuroingegneria alla Columbia University.
[3] Un altro aspetto spesso trascurato è che specialmente nelle hard-sciences le teorie devono essere “inclusive”: ovvero una teoria successiva di successo deve includere anche i risultati della teorie precedente come limite particolare. Non è che oggi non usiamo la meccanica classica o la gravitazione di Newton perché sono state sostituite dalla meccanica quantistica o dalla relatività generale. Queste sono ancora tranquillamente usate perché gli effetti quantistici o relativistici non sono visibili alla nostra scala spaziale e temporale ed entrambe le teorie successive sono “inclusive”.
[4] Che in Italia sappiamo bene non è stata mai fatta in modo corretto, la subduzione della zolla adriatica è nota almeno dagli anni 80 del secolo scorso ma nessuno si è preoccupato di migliorare la resistenza ai terremoti di paesi come Amatrice o Norcia. Quindi queste previsioni possono avere un rilevante impatto sulla vita delle persone.
[5] L’Invenzione della bomba atomica, Richard Rhodes, Rizzoli 1990. The Making of the Atomic Bomb, New York, Simon & Schuster 1986. Premio Pulitzer 1988.
[6] Celebre è la famosa “domanda della regina” che è diventato persino uno spettacolo teatrale: http://www.teatrodiroma.net/doc/5770/la-domanda-della-regina.
[7] Forse l’unica autentica soluzione per lo sviluppo di un pensiero critico è partire dall’inizio e questo non può che essere che nella scuola. Purtroppo oggi abbandonate a loro stesse e vittime delle oscenità del neoliberismo: formazione piuttosto che educazione, concezione della scuola come impresa, introduzione di nuove discipline come i soft skills a favore del disinnesco del conflitto sociale, utilizzo massiccio di metriche discutibili per valutare i risultati ancora mutuate dal mondo dell’impresa.
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