La macchina diabolica


Il capitalismo è una visione del mondo che si autosostiene mediante processi irriflessi di adesione delle masse  ai suoi ritmi di produzione e  di consumo. Il capitale è nella mente dei sudditi e dunque si riproduce in modo automatico, esso trasforma i popoli in massa anonima e puerile, per cui depoliticizza e foma “eterni infanti per il regno del capitale-mercato”. È una macchina infernale sempre in attività, agisce su ogni punto vitale delle esistenze. Il condizionamento coordinato dei mezzi di produzione e dei media tradizionali e digitali  ha portatato all’installarsi del capitale nella mente, nei gesti, nei desideri e nelle parole dei subalterni. La colonizzazione è un processo da riconoscere, in quanto coniuga l’occupazione di ogni ambiente naturale e geografico con la manipolazione delle menti. Si è parlati dal capitale e spesso non si riconosce tale dinamica di potere. Il capitalismo della sorveglianza è nell’umanità e non solo “fuori”. La resistenza del sistema alle sue fatali contraddizioni ha in questa realtà la sua ragione più solida.  La sofferenza psichica è il risultato finale dell’intrusione del capitale nel corpo vissuto dei soggiogati. Il capitalismo ha prodotto nuove patologie e nuove divisioni interiori. Esso è intrinsecamente diabolico-divisorio, divide da se stesso e dall’alterità, frammenta e prolifera  e raccoglie i suoi frutti (dominio-plusvalore) nel dolore.

Karl Polany nel secolo scorso ne colse la potenzialità distruttiva capace di determinare la vita dei popoli.  Nella storia dell’umanità è la prima volta che “appare” un sistema così infiltrante e condizionante:

“L’economia di mercato ha dunque creato un nuovo tipo di società. Il sistema economico e produttivo è stato affidato  a un congegno che agisce autonomamente. Un meccanismo istituzionale controllava gli esseri umani nello svolgimento delle loro attività quotidiane, come pure le risorse naturali[1]”.

Il capitalismo porta nel suo ventre il sostanziale disprezzo per l’umanità. L’essere umano è connotato come “egoista e pulsionale”. L’unico movente  dell’azione è l’utile personale, pertanto il sistema sviluppa e potenzia in modo smisurato l’egoismo umano. Si scambiano gli effetti con le cause. L’essere umano mutilo della sua natura sociale e solidale si deforma per diventare un egoista impenitente e infelice che compensa con il possesso il deficit di “essere”. Il risultato delle procedure di controllo è presentato come “natura” ed è utilizzato come strumento ideologico per affermare la coerenza tra il sistema produttivo capitalistico e la natura umana; la perversione della verità è dunque il fondamento nichilistico del capitale:

“In realtà, l’uomo non è mai stato così egoista  come vorrebbe la teoria. Benchè il meccanismo del mercato abbia portato alla ribalta la sua dipendenza dai beni materiali, per lui i moventi economici non hanno mai costituito l’unico incentivo a lavorare[2]”.

K. Polany descrive  nei suoi testi la discesa all’inferno al tempo del capitalismo. La discesa è parallela alla disintegrazione dell’essere umano. La violenza a cui assistiamo nel nostro tempo ha la sua prima radice nella concezione utilitaristica dell’essere umano. La morte della politica e il trionfo della guerra presuppongono l’essere umano inadatto all’ascolto, al bene e al dialogo. La libertà, la creatività e la parola sono spazzate via dal determinismo macchinale. Tutto è violenza, l’economia liberista con i suoi tagli al sociale è una forma di violenza legalizzata. Ogni taglio sociale comporta un numero innumerevole di vittime che non compaiono nelle cronache. Sono  considerati semplici effetti collaterali.

L’uomo macchina

L’uomo macchina non pensa, è creatura strutturata per reagire agli stimoli senza la mediazione dei paradigmi etici. L’uomo machina è l’ideale perverso del capitalismo.

Il modo di produzione capitalistico con la sovrastruttura afferente agisce per determinare scelte e modi di vivere. L’agire condizionante è destoricizzato e decontestualizzato, in tal modo il determinismo è trasformato in legge universale,  muoiono la creatività e la libertà. La logica zootecnica è applicata all’umanità. Gli esseri umani sono “animali da produrre in serie”. Il determinismo non è pensato, lo si accoglie come dogma universale, poiché è stato destoricizzato. L’essere umano di conseguenza è simile ad un prodotto industriale da ottenere mediante una serie di azioni ben collaudate e coordinate. L’umanità è materia su cui si può agire senza limiti:

“Inoltre il meccanismo di mercato indusse erroneamente a credere che il determinismo fosse una legge  generale valida per tutte le società umane. Naturalmente in un’economia di mercato tale legge è valida. Qui, in effetti,  il funzionamento del sistema economico non soltanto “influenza” il resto della società, ma lo determina come in un triangolo i lati non soltanto influenzano, ma determinano gli angoli.  Prendiamo la stratificazione di classe. L’offerta e  e la domanda sul mercato di lavoro coincidevano con le classi dei lavoratori e dei datori di lavoro, rispettivamente[3]”.

Il determinismo divenuto “paradigma del sistema” è la sovrastruttura del sistema. Si insegna agli esseri umani “la naturalità dell’obbedienza alle cause”. Si alleva il fatalismo sterile dell’uomo macchina.

Olocausto della natura umana.

L’essere umano è mosso da due stimoli: il guadagno e il piacere. Il capitalismo nella sua corsa alla spoliazione dell’umanità dà forma ad un riduzionismo sconosciuto nella storia. La libertà sessuale deregolamentata produce la società-bordello. Tutto e tutti sono in vendita. La liberazione dai vincoli che comprimevano le affettività è diventata mercificazione e genitalità senza alcun fine, la seduzione è parte dell’ordinario abbrutimento.  Ogni vincolo etico cade, pertanto non resta che l’individuo preda di pulsioni e di appetiti; un essere umano di tal genere non solo è perfettamente adattato  al mercato, ma lo conferma. Si destrutturano i legami che divengono solo “pasti da consumare”. La perversione è l’ordinaria violenza non conosciuta del sistema capitalistico:

“Il sesso in sé non produrrà mai niente di meglio di un bordello, e anche in tal caso può darsi che debba far assegnamento su qualche incentivo del meccanismo di mercato. Un sistema economico il cui movente principale fosse effettivamente costituito dalla fame sarebbe quasi  tanto perverso quanto un sistema familiare basato sul mero impulso sessuale[4]”.

La macchina infernale del capitale divide la parte dall’intero, lascia cadere le finalità etiche allo scopo di consentire alle pulsioni il loro meccanico esplicarsi. Il mercato necessita di consumatori seriali; la pratica del sesso deregolamentato addestra al consumo irriflesso. Il capitalismo è il totalitarismo del mercato compiutamente realizzato nel quale l’essere umano è solo biologia che deve soddisfare desideri e questi ultimi sono tutti legittimi, in quanto contribuscono alla vitalità dei mercati. La libertà al tempo del capitale è solo  “libertà negativa” e dunque è senza interiorità:

“Eppure si tratti di fame o di sesso, è pericoloso istituzionalizzare la separazione delle componenti materiali da quelle ideali dell’essere umano. Riguardo al sesso questa verità, così importante per l’essenziale interezza dell’uomo, è sempre stata riconosciuta, ed è alla base dell’istituzione del matrimonio. Ma nel campo ugualmente strategico dell’economia, essa è stata trascurata[5]”.

Pienezza ontologica

Il giudizio etico sul capitalismo non è moralismo, ma constatazione della sua innaturalità, pertanto è necessario restituire la pienezza ontologica all’essere umano. Quest’ultima è libertà qualitativa, in quanto il soggetto sviluppa la sua eccellenza, ovvero il bene e la reciprocità donativa senza i quali l’essere umano è “niente”, è solo la mediocre imitazione dele macchine. L’infelicità e la patologia psichiatrica nel nostro tempo hanno la loro causa in tale pratica pervasiva e asfissiante:

“Oggi dobbiamo affrontare il compito fondamentale di restituire la pienezza della vita alla persona, anche se ciò può voler dire una società meno efficiente dal punto di vista tecnologico[6]”.

La storia dei sistemi di produzione dimostra che l’essere umano agisce con le motivazioni più varie, pertanto la visione antropologica del capitalismo è un falso ideologico evidente:

“In realtà gli esseri umani lavorano per le ragioni più varie, finchè le cose sono predisposte in questo senso. I monaci  commerciavano per ragioni religiose, e i monasteri  divennero i maggiori centri commerciali europei. Il commercio kula delle isole Trobriand, una delle più complicate forme di baratto mai conosciute, è soprattutto un’occupazione estetica. L’economia feudale era gestita secondo criteri consuetudinari. Sembra che presso i Kwakiutl lo scopo principale  dell’attività produttiva sia di rispettare un punto d’onore. Sotto il dispotismo mercantile, l’attività economica era spesso posta al servizio della potenza e gloria[7]”.

La storia non è conclusa con il capitalismo, per cui il futuro sarà il tempo dell’impegno, in cui per rifondare il sistema produttivo in senso etico per armonizzarlo con la natura umana è necessaria la chiarezza della stessa. Solo tale definizione può permettere di immaginare la storia oltre il capitalismo e di pensare concettualmente l’alternativa. Le fughe in avanti prive di fondazione teoretica sono parte integrante del linguaggio del capitale che rifugge ogni forma di fondazione onto-assiologica:

“Altri, al contrario, ritengono che in una società  veramente democratica il problema dell’economia si risolverebbe mediante l’intervento programmato degli stessi produttori e consumatori. In effetti, quest’azione consapevole e reponsabile è uno dei modi in cui  la libertà si concretizza in una società complessa. Ma come indica il contenuto del presente articolo, un tentativo del genere non può aver successo se non è disciplinato da una concezione complessiva dell’uomo e della società molto differente da quella che abbiamo ereditato  dall’economia di mercato[8]”.

Il socialismo democratico è l’orizzonte da progettare. Il capitalismo cadrà, perché eroso dalla dismisura, ma la sua fine non porterà necessariamente al socialismo, affinchè ciò possa essere dobbiamo decondizionarci dalle tossine ideologiche del capitale definendo la natura umana. La ricchezza  di una comunità  non è l’accumulo di beni, ma consiste nei servizi e nel reciproco riconoscimento senza il quale nessuna relazione è possibile. Tale finalità conforme alla natura umana è il vero progetto che sembra indicarci K. Polany, ma la finalità indicata dall’antropologo dell’economia ci sembra utopica, a causa  dell’economicismo, in cui siamo immersi. In realtà sono le sovrastrutture economicistiche a determinare i nostri ristretti orizzonti e il nostro pavido pessimismo. Solo l’emancipazione dal veleno dell’economicismo che ammorba i nostri pensieri e le nostre azioni permetterà di entrare nel futuro. L’impotenza e la fatalità, di cui soffre l’Occidente, hanno la loro causa nella negazione della natura umana con cui si deprimono e  si mortificano le energie creative e politiche. La generalizzata depressione psichica di cui sono vittime gli occidentali è il mezzo più efficiente per tenere gli aggiogati alla catena del mercato. Per spezzare la catena si deve riportare l’essere umano alla sua dignità e alla sua verità.


[1] Karl Polany, L’obsoleta mentalità di mercato scritti 1922-1957, La nostra obsoleta  mentalità di mercato, Asterios Trieste, 2022 pag. 233

[2] Ibidem pag. 240

[3] Ibidem pag. 241

[4] Ibidem pag. 242

[5] Ibidem pag. 243

[6] Ibidem pag. 244

[7] Ibidem pag. 239

[8]Ibidem pag. 248

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