La genesi dell’individualismo proprietario*.


Quando ci riferiamo alle politiche economiche in essere da diversi anni la definizione che ricorre è quella di Neoliberalismo. Tale definizione è stata utilizzata  per la prima volta a Parigi nel 1938 durante la conferenza organizzata dal giornalista Walter Lippmann al quale parteciparono diversi economisti, sociologi e politologi, tra questi Alexander Rustow il quale utilizzò il termine “ neoliberalismo” riferendosi ad una nuova forma di liberalismo, nello specifico l’ordoliberalismo distaccandosi dal liberalismo classico.

Per quanto  mi riguarda, ed è questo l’oggetto della mia riflessione, con il termine neoliberalismo  intendo il recupero tout court del liberalismo classico. Il termine liberalismo, avendo un’ origine relativamente recente, è entrato a far parte del linguaggio politico ed economico a partire dai primi anni dell’800. Seppure presente, addirittura in documenti dei primi anni del XIV secolo, ad esso non è mai stato dato quella valenza filosofico politica ed economica che ha avuto quando venne usato per la prima volta in Spagna da un partito politico che si chiamò, appunto,  Partito Liberal, declinato in  inglese. Pertanto molti di coloro che sono considerati come i teorici del Liberalismo classico non hanno utilizzato tale termine per definire la loro teoria. Lo stesso Locke che utilizza, nella sua opera più importante  “Due trattati sul governo” non utilizza il termine nel senso di Liberalismo.

Ciò premesso, qual è l’essenza del Liberalismo, quindi del Neoliberalismo e quale  la sua genesi. L’essenza fondamentale del Liberalismo e quindi del sistema economico da esso prodotto, ovvero il Capitalismo, è l’Individualismo Proprietario.

I concetti di Individuo e Diritto di proprietà  sono strettamente connessi al punto tale da poter affermare che la Storia a partire dal XIII secolo coincide con la loro attuazione. Salvo la parentesi che si apre con l’estensione del suffragio universale e il riconoscimento della funzione sociale della proprietà privata richiamata dalla Costituzione della Repubblica di Weimar per chiudersi  con la reazione Neoliberale iniziata, non nel 1938, ma negli anni ’70 del 900. In questo arco di tempo  i sistemi politici da Liberali sono stati Democratici.

Torniamo all’idea di Individuo. Sulla genesi del concetto di Individuo si sono confrontati diversi studiosi. Tra questi ricordo N. Elias, L. Dumont,  M. Foucault, di recente in un eccellente saggio A, Zhock.  Del concetto di Individuo non si trova traccia nella civiltà tanto greca quanto romana. La genesi del concetto di Individuo è strettamente legata all’ascesa del Cristianesimo  e dall’incontro scontro, di questo, con il mondo barbarico e dalla riscoperta del Diritto Romano.

Riprendendo il ragionamento oggi diremmo che l’Individuo trae origine dalla Teologia politica che ha caratterizzato il Cristianesimo a partire da S. Agostino di Ippona. E’ nello scontro tra Papato e Impero, in particolare durante la lotta per le investiture a cavallo tra l’XI e il XII secolo che l’idea che il suddito, il quale prestava giuramento al sovrano, potesse essere sciolto da tale giuramento nel caso in cui questi violasse principi etico– religiosi, che nasce l’Individuo. E’ durante lo scontro tra Papato e Impero che il monaco Manegold di Lauthenbach teorizza il diritto di resistenza. Tale diritto legittima la rivolta del suddito verso il sovrano. Quando parliamo del suddito legittimato a ribellarsi, dato il contesto storico, bisogna sempre pensare a coloro che in quel dato contesto storico godevano di cittadinanza politica, nello specifico parliamo dei feudatari. Costoro, vincolati da un patto di fedeltà al sovrano, potevano essere sciolti da tale giuramento nel caso in cui il sovrano fosse stato scomunicato dal Papa per aver violato prerogative e/o principi che attenevano il primato della Chiesa. Analizzando il “ diritto di resistenza” altro dato che emerge da esso è quello di “ patto”, di “contratto”.

Nello stesso contesto storico si apre un confronto teologico, giuridico e canonico all’interno della Chiesa relativamente al diritto di proprietà.

Per la teologia dell’epoca dal momento che tutti discendiamo da Adamo ed Eva e che il Mondo è stato dato da Dio ad Adamo, il diritto di proprietà privata, almeno per come si è storicamente articolato non era ammissibile, nel che non poteva esistere un diritto di proprietà privata.

Umberto Eco ne “Il nome della Rosa “ rappresenta magistralmente il confronto in corso tra i vari ordini religiosi quando descrive il dibattito tra  Francescani e Benedettini in merito alla “ vexata quaestio se Cristo fosse o meno proprietario delle vesti che indossava”. Un dibattito  di quel tipo, oggi, apparirebbe quanto meno surreale. Eppure in quel dibattito ci sono tutte le premesse che oggi definiscono il Mondo occidentale e quindi la modernità.

Gli anni nei quali si articola il confronto teologico – politico sull’origine del diritto di proprietà si caratterizzano  per una serie di trasformazioni profonde della struttura sociale,  economica e politica che vedranno l’ascesa dei comuni e della borghesia mercantile, la nascita degli Stati nazione e la prima costituzione, mi riferisco alla Magna Charta, la nascita di movimenti che contestano la Chiesa ufficiale per la ricchezza accumulata da molti alti prelati e lo sfarzo nel quale vivevano che non si addiceva a quanto predicato da Cristo. Catari, Albigesi, Dolciniani, Valdesi, Bogomilli, Francescani predicavano il ritorno alla parola originaria di Cristo e quindi la povertà. Tra i vari movimenti secolari l’unico ad essere, diremmo oggi, legalizzato, fu il movimento francescano, il quale attraverso la Scolastica Francescana ebbe un ruolo fondamentale ai fini dello sviluppo del nascente  sistema economico mercantile.

L’idea di fondo sul tema del diritto di proprietà privata era ben inquadrato dal giurista Uguccione da Siena giurista italiano specializzato in diritto canonico. L’idea è che in natura non esistesse il diritto di proprietà di un bene, in natura i beni sono in comune; il diritto di proprietà privata è da ricondurre allo Ius Civili ossia al diritto prodotto dagli uomini. Uguccione riteneva  che la proprietà dovesse  avere una funzione sociale, in quanto ciascuno aveva un diritto naturale da esercitare sui beni comuni. Il ragionamento di Uguccione, portato alle estreme conseguenze, finiva con il giustificare l’appropriazione del povero del bene posseduto dal ricco se questo fosse stato necessario per la sua sopravvivenza. Dal momento che non poteva essere giustificato il furto venne introdotto l’obbligo della elemosina da parte del ricco. Obbligo che se non rispettato poteva portare alla scomunica da parte del vescovo.

A risolvere il “vexata quaestio” furono Papa Niccolò III  e Papa Giovani XXII con una serie di decreti i quali sancirono che il diritto di proprietà privata non esiste in natura per cui tutti i beni appartengono indifferentemente a tutti gli uomini, ma che l’individuo potesse diventare proprietario di un bene attraverso l’uso. La mela mangiata diventava di proprietà della persona che ne aveva fatto uso. Per estensione la veste diventava di proprietà dell’individuo che l’aveva usata; il terreno diventava di proprietà dell’individuo che lo aveva lavorato e così via.

La proprietà principale dell’individuo era la propria vita. In quanto dono divino non ammetteva il suicidio ma la proprietà della stessa attraverso l’uso che da buon cristiano doveva essere in linea con i canoni della Chiesa. 

Le argomentazioni di Papa Niccolò III e Papa Giovanni XXII verranno riprese secoli dopo da Ugo Grozio ritenuto il padre fondatore del Giusnaturalismo ossia quella filosofia del diritto che sostiene l’esistenza di diritti umani naturali che precedono la nascita stessa della Società e dello Stato.

Non è solo Grozio a riprendere quanto sostenuto dai due Papi, è la stessa Seconda Scolastica  a far propria l’idea dei diritti naturali.

Per comprendere fino in fondo la centralità dell’individuo proprietario bisogna soffermarsi sul contesto storico dell’epoca, in particolare sulla rivolta dei Baroni Inglesi contro Re Giovanni senza terra e la concessione della Magna Charta.  E’ cosa nota che causa della rivolta fu l’imposizione di tributi da parte del sovrano, questo è un passaggio fondamentale per comprendere gli sviluppi successivi che porteranno alla nascita dello Stato Liberal – Costituzionale del XIX secolo.

Il prelievo fiscale da parte dello Stato è la sottrazione di una parte della ricchezza posseduta dal singolo individuo, dal momento che la proprietà tanto della propria persona quanto dei beni acquisiti attraverso l’uso,  faceva si che esso venisse percepito come violazione di un diritto naturale che precedeva la nascita dello Stato e quindi del potere esercitato, in questo caso, dal Re. Il potere del Sovrano trova un limite nel diritto di proprietà privata, in questo contesto iniziano a delinearsi in modo chiaro le sfere di pubblico e privato; da qui il “ patto” che viene sottoscritto tra sudditi e re. La  Magna Charta va considerata come una sorta di “contratto” che il sovrano sottoscrive con i sudditi impegnandosi a rispettarlo. Il primo diritto a dover essere rispettato è il diritto di proprietà della propria persona e dei beni acquisiti attraverso l’uso i quali garantiscono la conservazione della propria esistenza e la sua riproduzione. Per inciso le lotte, a partire da quella per le investiture dei feudatari, che vedevano la contrapposizione tra Papato e Impero, hanno visto l’affermazione tanto dei comuni quanto della casta dei feudatari ai quali verrà riconosciuto, progressivamente, il diritto a trasmettere ai propri figli il feudo. Il titolo di feudatario da funzione pubblica, fondato sul rapporto di fiducia tra il Sovrano e il Feudatario, diventa una proprietà privata da trasmettere ai figli.

Dal riconoscimento del diritto individuale alla proprietà privata scaturiranno tutti gli altri, tra questi il diritto al dissenso. Un feudatario che non approvava i tributi chiesti dal sovrano poteva essere accusato di tradimento e condannato a morte. Per evitare la condanna a morte per tradimento nel “ contratto costituzionale” veniva prevista una clausola di salvaguardia che garantisse il diritto a non essere condannati anche nel caso di dissenso con il Sovrano. Una tale clausola equivale a riconoscere il diritto di libertà di pensiero e di espressione.

Altri due dati sui quali riflettere sono la commercializzazione del tempo e del sapere. Il tempo per la teologia dell’epoca non poteva essere oggetto di scambio, come il sapere era un  dono di Dio.

La commercializzazione del tempo, dal punto di vista pratico in un mondo che vedeva nascere ed affermarsi la mercatura, era lo strumento che favoriva gli scambi e la circolazione monetaria.  La commercializzazione del tempo atteneva la necessità di procurarsi capitali monetari e quindi il guadagno che dal prestare denaro ne potesse derivare. La Chiesa condannava in modo irrimediabile la pratica dell’usura, la soluzione adottata fu l’elaborazione del concetto di “lucro cessante”. Tale nozione era un modo per aggirare la pratica dell’usura, appannaggio dei non Cristiani, in special modo della comunità ebraica. Sul tema dell’usura molti francescani si pronunciarono con condanne che oggi verrebbero considerate dichiarazioni antisemite.

La Scolastica Francescana, come dicevo, ebbe un ruolo fondamentale rispetto ai mutamenti in corso nell’arco di tempo che va dalla “ legalizzazione” dell’ordine alal rivolta protestante. La elaborazione del concetto di “lucro cessante” è solo uno degli strumenti utilizzati dal nascente mondo mercantile e industriale dell’epoca. La partita doppia anche essa ad opera di un francescano, l’introduzione di un sistema bancario parallelo rappresentato dai Monti, sistema bancario che noi oggi chiamiamo “ finanza etica”, sono alcuni degli altri strumenti introdotti dal francescanesimo. La condanna dell’usura si fonda sull’idea aristotelica che il denaro dovesse avere la sola funzione di facilitare gli scambi per cui non era eticamente accettabile che il denaro producesse, attraverso l’usura, altro denaro.

Altro dato sul quale riflettere è la commercializzazione del sapere. Come dicevo, il sapere era considerato un dono di Dio pertanto non poteva avere un valore di scambio. La nascita delle Università, dato il prestigio  e la ricchezza economica che essa procurava alla città che la ospitava, vide diversi Comuni introdurre una sorta di salario a favore dei docenti. L’insegnamento gratuito resterà in carico ai soli istituti religiosi. Per molti versi questo è un passaggio fondamentale ai fini della laicizzazione dell’insegnamento che inizia ad uscire fuori dai confini ristretti della Chiesa.

Fino alla rivoluzione protestante (Calvino e Lutero) l’individuo proprietario pur vedendosi riconosciuto tale diritto come naturale è comunque vincolato dai precetti religiosi che impongono l’utilizzo della ricchezza accumulata a favore della comunità di appartenenza. I Frati francescani spesso erano i confessori e i consiglieri spirituali di banchieri e mercanti i quali, per guadagnarsi un posto in Paradiso, utilizzavano le ricchezze accumulate in vita per lasciti a Monti di Pietà, ad istituiti ecclesiastici  caritatevoli o per commissionare opere architettoniche e più in generale artistiche che hanno reso bellissime molte nostre città.

Lutero sdogana l’individualismo sul piano politico, Calvino lo sdogana sul piano finanziario.  Lo sdoganamento dell’usura è funzionale alla nuova fase dello sviluppo capitalista che prende le mosse dalla scoperta delle nuove rotte commerciali verso l’Asia e le Americhe. L’asse economico si sposta dal Mediterraneo all’Atlantico. Affrontare la Riforma Protestante senza cogliere le trasformazioni economiche e sociali che interessano l’Europa tra 400 e 500 è riduttivo. Le predicazioni di Lutero sono sul piano politico la legittimazione della rivolta fiscale contro la Chiesa. Le decime, il commercio delle indulgenze ecc. sono a tutti effetti prelievi fiscali giustificati sul piano teologico dalla Chiesa Cattolica. Mettere in discussione il primato del Papa nella interpretazione delle Sacre Scritture destrutturava la gerarchia presente nella catena di comando e liberava l’Individuo il quale libero di interpretare le Sacre Scritture veniva messo nelle condizioni di poter contestare legittimamente il potere tanto del Papa quanto dello Stesso Sovrano. Non bisogna mai dimenticare che le predicazioni di Lutero vennero fatte proprie dalle masse popolari tedesche che si ribellarono al potere della nobiltà tedesca. L’essere predestinati rispetto alla salvezza dell’anima rende libero l’individuo di operare come meglio crede. Con lo sdoganamento dell’usura ad opera di Calvino la ricchezza perde quella funzione sociale alla quale la Teologia cattolica la condannava. La ricchezza è il segnale di essere stati predestinati alla salvezza.

Il protestantesimo ha effetti rilevanti sul piano sia economico che politico. La possibilità di interpretare liberamente le sacre scritture e la possibilità di eleggere i propri pastori, sono alcune delle condizioni per il superamento dell’assolutismo monarchico. Il fondamento contrattuale dello Stato diventa la base ideologica sul quale si fonderà  il sistema economico e politico Liberale.

Rispetto all’affermazione del contrattualismo come fondamento dello Stato quanto teorizzato da Mario Salamonio degli Alberteschi è centrale. L’idea contrattuale era già presente in scrittori precedenti ma è Salamonio degli Alberteschi che strutturerà tale idea sul piano politico. L’opera più importante verrà pubblicata postuma, De Principatu, e verrà preso come punto di riferimento in quel mondo influenzato dalla teologia politica ed economica di Calvino.

Il fondamento contrattuale dello Stato attraverserà  la cultura politica dell’epoca. Sia i Protestanti che i Cattolici faranno riferimento ad esso per spiegare la Nascita dello stato o, in alternativa, come strumento di lotta politica rispetto a un sovrano ritenuto illegittimo. I Monarcomachi ad esempio giustificheranno la lotta contro il potere assoluto del Monarca facendo riferimento alla violazione del contratto sottoscritto dal Sovrano con i propri sudditi.

Il Contratto è fortemente individualista fondandosi sull’idea che gli uomini in un contesto naturale, potremmo dire anarchico, o per dirla con Lutero e con Hobbes, caratterizzato da una lotta senza quartiere per la sopravvivenza garantita dal possesso di una certa quantità di beni, si associano per porre fine alla lotta. Il Contratto diventa lo strumento giuridico politico che garantisce il riconoscimento dell’altro.

Il contrattualismo di Hobbes è diverso da quello di Locke, dei Livellatori o dei Monarcomachi olandesi, della Seconda Scolastica o di Rousseau, ciò non toglie che il fattore che li accomuna è la categoria dell’individuo proprietario.  Essere proprietari è fondamentale ai fini della conservazione della propria esistenza. Le argomentazioni che adottano i vari autori richiamano le categorie teologico  – politiche elaborate nel XIII secolo. Ad esempio il capitolo dedicato alla proprietà nei Due Trattati sul Governo di Locke richiama paro paro le argomentazioni di Enrico di Gand vissuto nella seconda metà del 1200.

Individuo e difesa della proprietà privata dal potere pubblico sono le costanti, causa delle rivoluzioni inglesi del 600, le quali sono rivolte fiscali contro il potere assoluto degli Stuart. Rivolta fiscale e libertà di pensiero, nello specifico di credo religioso, si intrecciano. Causa della rivoluzione inglese è la volontà di imporre un unico credo ai sudditi in combinato disposto con l’obbligo di versare la decima alla Chiesa  ufficiale.  Ancora una volta la Monarchia inglese, proprio come ai tempi di re Giovanni senza terra viola il diritto di proprietà privata. Lo Stato sottraendo una quota parte della proprietà  limita la libertà individuale venendo meno al patto ossia al contratto sottoscritto da sudditi e sovrano.

Il principio “ no taxation without represesentation”, di origine medievale è il punto di partenza per l’affermazione della libertà dell’individuo in quanto proprietario. Il principio in se è di una semplicità unica: dal momento che in quanto individuo sono libero perché posso disporre liberamente della mia persona e di ciò che attraverso essa ho acquisito, il Sovrano, ossia colui che Governa lo Stato mi deve dar conto circa l’utilizzo di quella parte di ricchezza che mi viene sottratta con i tributi. I parlamenti di origine medievali, per capirci, gli Stati generali, i Bracci, gli Stamenti, le Cortes, i Seggi, le Diete, avevano funzione di organi di giustizia, di amministrazione e non solo, il sovrano si rivolgeva ad essi per chiedere sostegno in uomini per combattere ma soprattutto in denaro per far fronte alle esigenze che il ruolo ricoperto richiedeva per cui il Sovrano aveva bisogno dell’approvazione dei Parlamenti per la riscossione dei tributi.

Questa  funzione è rimasta intatta nel corso dei secoli. L’art. 23 della nostra Costituisce stabilisce che nessuna prestazione personale o patrimoniale possa essere imposta se non con legge, ossia con l’approvazione del Parlamento, organo che esercita il potere legislativo.

I Parlamenti, vennero esautorati durante la formazione dello Stato Assoluto moderno, tranne in Gran Bretagna. I sovrani aggirarono l’ostacolo grazie alle trasformazioni economiche e sociali in corso. L’espansione coloniale iniziata nel 500 , le politiche Mercantiliste  che ne seguirono  mutarono i rapporti forza all’interno dei singoli Stati tra Sovrano, Aristocrazia e la nascente borghesia mercantile e industriale. Quest’ultima ebbe bisogno della legittimazione del sovrano per poter svolgere determinate attività sottraendosi in questo modo alle vessazioni del sistema feudale. Di contro il sovrano per affermare il proprio potere aveva bisogno di un gettito fiscale certo per cui era ben disposto ad accogliere le istanze provenienti dalla nascente borghesia. Lo Stato assoluto si rafforza rafforzando la nascente borghesia. La tutela dell’individuo proprietario è fondamentale. Mai nessun sovrano si sarebbe permesso di mettere in discussione il diritto di proprietà individuale. Quando ciò accadrà avremo le rivoluzioni. A partire dalla rivolta dei Baroni inglesi contro re Giovanni Senza Terra, per proseguire con le rivoluzioni Inglesi del 600 o la stessa guerra degli 80 anni combattuta dalle Province Unite contro il dominio spagnolo, la Rivoluzione americana del 1776 e la Rivoluzione Francese  del 1789 sono rivolte fiscali.

A segnare la scissione tra Individuo e Diritto di proprietà privata è Rousseau. Il filosofo ginevrino è individualista ma nel contempo sancisce un principio che smonta la costruzione ideologica rappresentata dal pensiero dell’individualismo proprietario e cioè che “ la proprietà privata è un furto”.  In natura non solo non esiste nessuna proprietà privata ma essa è fonte di disuguaglianza e conflitto sociale.

Con Rousseau, sul piano teorico emerge in modo chiaro la differenza sul piano politico tra Liberalismo e Democrazia. La cittadinanza politica non è vincolata alla proprietà privata posseduta ma all’essere semplicemente parte di una comunità umana di un Demos.

Il governo del popolo per essere realmente tale non ha bisogno di individui proprietari. L’esatto contrario di quei pensatori che sostenevano che legittimati ad occuparsi della conduzione della cosa pubblica dovessero essere i soli proprietari, gli unici ad avere interesse per gli effetti che il Governo dello Stato potesse avere sulla loro ricchezza. Non a caso le Costituzioni del XIX riconoscevano i diritti di cittadinanza politica solo a coloro in possesso di una certa ricchezza e un certa base imponibile per il pagamento di tributi.

La Rivoluzione industriale trasforma profondamente la struttura sociale ed economica a partire dalla modalità di acquisizione della stessa proprietà di un bene.

Con la rivoluzione industriale l’individuo lavoratore non può diventare proprietario del bene che usa produrre, è semplicemente proprietario del lavoro che produce scambiandolo verso una contropartita monetaria. Se l’idea dell’individuo proprietario si fonda sull’acquisizione della proprietà di un bene attraverso l’uso, la complessità del sistema produttivo e dell’innovazione tecnologica rendono superata questa idea. La proprietà privata di un bene può essere acquistata con lo scambio/contratto. La stessa ricchezza da essere fondamentalmente immobiliare progressivamente diventa in parte mobiliare. La trasformazione del sistema produttivo produce effetti sul piano politico e quindi del riconoscimento del diritto di proprietà.

La cittadinanza politica ossia il diritto di voto e di essere votato, con l’allargamento progressivo del suffragio viene via via scisso dall’essere proprietario. La stessa proprietà privata a partire dalla Costituzione della Repubblica di Weimar acquista una funzione sociale, ossia lo Stato interviene nazionalizzando alcuni asset economici, sottrae alla logica propria del Liberalismo e del mercato una serie di beni ritenendoli non negoziabili sul mercato, la stessa compravendita della proprietà lavoro viene sottratta alla logica della domanda e dell’offerta introducendo,ad esempio nella nostra Costituzione, l’idea di un salario tale da garantire vita dignitosa al lavoratore alla sua famiglia e di poter partecipare alla vita politica. I compiti dello stato si ampliano fino a ricomprendere settori un tempo appannaggio del mercato. Questo processo esplode in positivo all’indomani della fine della seconda Guerra Mondiale e dura un trentennio. A partire dalla crisi petrolifera del 73, dalla disdetta degli accordi di Bretton Woods , inizia la reazione capitalista con il ritorno al Liberalismo delle origini che prende il nome di Neoliberalismo. L’etica, perché di questo si parla, rappresentata dall’individuo proprietario  ritorna ad essere egemone.  Ciascun individuo deve diventare imprenditore di se stesso. Nel linguaggio comune si fa avanti l’idea che ciascun individuo è un capitale sociale da investire. Lo Stato deve essere ridimensionato se non addirittura abbattuto. Si ritorna alla contestazione delle politiche fiscali in quanto illegittima sottrazione di ricchezza privata.

*Relazione tenuta il 10  aprile 2025 SCHOLA MEDinLUCANIA di ALTA FORMAZIONE POLITICA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.