E’ un luogo comune che la felicità, non essendo uno stato duraturo, consista in un attimo sopraggiungente dal di fuori del tempo. Un attimo, cioè, capace di spezzare la catena temporale, proiettandoci al di fuori di essa. Nel nostro contemporaneo, inoltre, veicolata dai media e dal marketing pubblicitario, vige la convinzione dogmatica che l’intera nostra esperienza debba trovare la sua espressione più alta nell’acquisto degli ultimi prodotti im-posti dal mercato. È chiaro che ci troviamo davanti alla costruzione, ad uso e consumo del capitalismo finanziario, di un modello di soggettività che possa offrirsi docilmente e volontariamente agli intenti cinici e distruttivi del modo di produzione capitalistico. Per raggiungere i suoi scopi, il capitalismo traveste questo suo intento profondo verniciandolo con un’apparente felicità e facendo in modo che tutti la agognino.
I servi volontari dell’ultimo capitalismo suppongono così che entrare da grandi consumatori all’interno del mercato globale, significhi spingersi verso il centro del mondo (il centro del mondo così il capitalismo lo evoca), per potersi sentire dunque dei winners (vincenti), salvi dalla deriva a cui sono inesorabilmente esposti i loosers (i perdenti). È una strategia finora vincente benché del tutto falsa e bugiarda. Così pure, quella felicità evocata dal capitalismo finanziario globale è tossica come l’aria che si effonde dalle innumerevoli discariche che punteggiano ormai le nostre (non solo) periferie urbane. In realtà, nessuna felicità è possibile nell’hic et nunc (qui ed ora) poiché i sentimenti umani in generale sono fatti di storia: di ricordi e di attese. Per essere felice nel presente, infatti, devo necessariamente legare ciò che mi accade ad un attimo – una speranza che ho avuto e che si realizza, una aspettativa per qualcosa che mi prefiguro – vissuto già nel passato o atteso per il futuro. Potrei, inoltre, esser colto da un’emozione di gioia nel presente, ricordando un evento che, quando l’avevo vissuto, m’era passato addosso senza darmi nulla. Che cosa potrebbe mai essere una felicità priva di motivazioni ben radicate in una precedente esperienza di vita o collocate in un futuro da venire? E’ evidente che una felicità di tal fatta non possa avere luogo da nessuna parte: non si può immaginare né tantomeno esperire. E, in ogni caso, quell’ebbrezza che qualcuno di noi può provare dopo un acquisto, l’ennesimo acquisto, è condannata a divenire ben presto angoscia assai acuta dal momento che il vuoto su cui l’acquisto stesso si regge non è stato per nulla colmato. Ne concludo necessariamente che la felicità non sia affatto un attimo! Meno che mai essa può essere legata al mercato e alle sue infinite tentazioni. La felicità s’incardina piuttosto nelle maglie sovrane del tempo! Ne concludo altresì che il tentativo di sganciare le soggettività contemporanee dalla storia e dalla comunità degli uomini legandole, esclusivamente e coercitivamente, al mercato, piuttosto che costruire la felicità, produce soltanto frustrazioni individuali e collettive (in)fondate sulla rimozione di un vuoto profondissimo che avrebbe bisogno (per essere curato) di un radicale cambiamento di prospettiva politica e antropologica. Nessun cambiamento sarà mai possibile se non riprendiamo i temi della storia e dell’attimo presente. Se non fuoriusciamo cioè una buona volta dalla logica di frammentazione in cui consiste il programma capitalistico di dominio del mondo. E, tuttavia, è esperienza di ogni giorno quella di assistere ad una frammentazione incessante di tutte le attività umane (mediche, politiche, scientifiche, artistiche). La (iper)specializzazione sta toccando livelli sempre più esasperati e divisivi. In più, la nostra stessa vita emozionale e cognitiva (e affettiva in generale) è esposta ad una disgregazione che non ha precedenti storici. È come se il nostro tempo cercasse la verità nel particolare, nell’assoluta incomprensione dell’universale. Abbiamo sezionato l’essere con la convinzione che i singoli enti non reagiscano. Ci siamo arrogati il diritto di scartare (destinandole alle discariche) le entità (anche umane e culturali) che non sono immediatamente funzionali al nostro progetto nella convinzione, a mio parere assai fallace, che l’intero non reagisca. Abbiamo abbandonato la grande città della storia per rifugiarci nella cittadella desolata dell’attimo presente. Occorre ritornare ad un approccio più modesto. Occorre un’attenzione più lenta e meditata nei confronti degli enti considerati come indispensabili alla funzione dell’essere. E per metterci su questa strada, è assolutamente indispensabile donare il giusto spazio e la giusta considerazione del nostro presente. Se entriamo all’interno di questo orizzonte, non possiamo evitare di chiederci che cosa sia in realtà il presente e come possiamo afferrarne l’enigma. Come possiamo spingere la propria riflessione in una dimensione che, agganciata di fatto al passato, si sporge già nel futuro? Qual è il tratto caratteristico di una realtà che, appena intenzionata, è già passata? Insomma, qual è il rapporto fra passato, presente e futuro? Vivo il presente e non posso comprenderlo fino in fondo! Esso, pur essendo quanto di più corposo e carnale abiti la nostra vita, si riduce di fatto ad una sorta di ombra. Un piccolo ramoscello stretto fra i due immensi alberi costituiti dal passato e dal futuro. Tuttavia, proprio in questo luogo, con tutto il suo spessore di passione e di intelligenza, la vita transita incessantemente, lasciando segni incancellabili sul corpo e nella mente. Un luogo (il luogo) nel quale il senso di gratitudine verso l’esistenza giunge al suo culmine, fino ad identificarsi del tutto con esso. Pertanto, il nostro compito dovrebbe essere quello di accogliere le tracce che giungono a noi, distinguere le linee di forza che segnalano i conflitti socio-politici in atto e, dopo aver preso posizione, rilanciare l’eredità ricevuta investendola sul futuro che la nostra immaginazione intravede nella filigrana della storia. Non può esistere felicità che prescinda dal presente e dalla sua inquietudine strutturale. Esso coincide con la vita stessa e, pur essendo del tutto transeunte, porta in dote una parvenza di felicità eterna.