Il 31 luglio del 2011 si spegneva Massimo Bontempelli. Fu docente, filosofo e storico. I filosofi individuano un tema, un nucleo concettuale e problematico e ad esso dedicano la loro esistenza. Massimo Bontempelli analizzò la genesi di quel fenomeno storico-sociale che egli denominò irrazionale-razionale a cui è legato, in modo indissolubile, il prevalere aggressivo dell’astratto sul concreto. L’alienazione nel capitalismo neoliberista è nel segno di radicali processi di alienazione trasversali e collettivi che conducono ai processi di derealizzazione. A tale elaborazione teoretica, specie nell’ultimo periodo della sua attività, si accompagnò, fino a prevalere, l’impegno a teorizzare un modello sociale ed economico che potesse sostituire il neoliberismo.
Il capitalismo è un fenomeno storico, ne intravedeva i segni del suo tragico tramonto, pertanto “sentì” come urgente elaborare risposte adeguate ad una realtà storica complessa e dinamica. Un filosofo, dunque, che affiancò la critica teoretica alla costruzione di percorsi innovativi. Tutto questo lo rende un’eccezione all’interno del “panorama filosofico” italiano ed europeo nel quale ambizione e visibilità mediatica hanno sostituito “la passione durevole”. Fu un’eccezione in una cornice dominata dal politicamente corretto e dal conformismo. Fu radicale come lo devono essere i filosofi, la conseguenza inevitabile è stata la censura indiretta. I suoi scritti sono poco conosciuti, ma la qualità e la profondità non scompaiono, pertanto in un futuro anche breve potrebbero avere il riconoscimento che meritano. Il silenzio sulla sua opera è il segno del valore del suo pensiero. Il neoliberismo è dogmatismo militante, pertanto censura col silenzio pianificato gli autori che lo svelano nella sua verità e realtà. Esso agisce in modo capillare per far calare il sipario su autori e filosofi dialettici, ma nessun sipario è eterno, la talpa della storia continua il suo incessante lavoro.
Astratto-concreto
L’irrazionale-razionale procede per separazioni, permane pervicacemente nella parte senza sintesi relazionale. La separazione consente di conoscere e misurare l’oggetto di studio e di dominarlo mediante ipotesi teoriche di tipo previsionale. Si potenzia la razionalità scientifica mediante la quantificazione e la rimozione della relazione qualitativa. La parte è esemplificata, è separata dal tutto, in tal modo si acquisiscono conoscenze e si acquisisce un senso di onnipotenza. La cultura dell’astratto è un metodo per conoscere, ma è anche una modalità formativa. Si eliminano i fini oggettivi e di conseguenza la conoscenza è rigorosamente quantitativa e nel medesimo tempo si rafforza la convinzione di poter agire in modo illimitato.
La verità è altra, in quanto la realtà con la sua complessità (tessuta assieme) si è volatilizzata nella pratica dell’astratto, è rimasto solo un guscio vuoto e fragile. La razionalità mutilata delle qualità e delle relazioni concrete si ribalta in un’inquietante pratica non riconosciuta di irrazionalità. L’irrazionale-razionale è una modalità d’azione strutturale che si estende in ogni campo, fino ad abbagliare i suoi abili esecutori fanaticamente convinti di praticare sulla realtà solida e rocciosa della matematizzazione assoluta. La separazione e il controllo divengono pratiche sociali del conoscere e del vivere, l’irrazionalità è giudicata massimamente razionale con conseguenze dolorose per la comunità tutta sotto ogni aspetto:
“La costituzione di oggetti teorici sempre più astratti, tipizzati, parziali e separati ha potenziato al massimo la razionalità come precisione, previsione, calcolo ed efficacia settoriale. Ma questa stessa costituzione ha potenziato al massimo anche l’irrazionalità come incapacità di dialettizzare concetti separati, come impotenza di fronte al movimento della totalità sociale, come demente rinuncia alla razionalità degli orizzonti di senso, come perdita del bene e del male[1]”.
La radice prima del male è nel razionale-irrazionale, dunque, che produce individui in serie che si percepiscono come atomi solitari. L’atomistica delle solitudini non è una fatalità destinale, ma il risultato della logica dell’astratto. Gli individui esaltano la loro soggettività titanica, ritengono naturale il diritto a volere tutto e ad essere tutto. L’inganno non può che comportare una drammatica compressione della soggettività che, invece, il sistema capitale in modo capzioso esalta fino a farne modello da contrapporre ai sistemi definiti totalitari del passato e del presente. L’individualità si forma nella relazione, la quale implica la consapevolezza dei limiti e delle possibilità di ciascun soggetto. Il Conosci te stesso socratico è relazionale: “siamo i nostri incontri”, solo pensando la relazione nella sua verità ontologica l’individualità prende forma. L’astratto, invece, deprime le individualità, che nella loro assolutezza narcisistica sciolgono ogni legame e, dunque, si indeboliscono nell’ignoranza di sé. Il vuoto è compensato con mode e linguaggi stereotipati che il sistema elargisce in un gioco di inganni nel quale la soggettività deperisce e affonda tra passioni negative e depressive:
“Questo epilogo è antinomico anche perché da un lato esalta al massimo l’individualità, separandola come non mai nella storia da ogni matrice socializzante, e dall’altro la deprime con la serializzazione dei comportamenti e degli stessi pensieri[2]”.
Il capitalismo e la forma merce sono l’anima perversa e anti-filosofica del processo di derealizzazione. Eliminare i fini oggettivi e la concretezza dall’orizzonte di percezione e di pensiero delle soggettività è funzionale alla produzione seriale di individui consumatori, sempre meno individualità e sempre più consumatori. Se la realtà è solo quantità senza scopi non restano che le merci a ritmare il consumarsi dei giorni. La liturgia atea del neoliberismo è ritmata da slogan e illusioni a misura di merce. La disperazione, vera emergenza sociale, è curata con il consumo delle merci e con il sostegno della pedagogia del disimpegno. Se nulla ha senso, solo il consumo può stordire il vuoto progettuale. Il capitalismo conosce la “natura umana” e agisce per indebolirla al fine di rendere fragili i soggetti ed intervenire con la sua terapia a suon di merci e di sogni distopici:
“Il processo di razionalizzazione irrazionale è stato alimentato, più ancora che dagli snodi delle idee che abbiamo analizzato in questo libro, dai processi sociali di generalizzazione della forma di merce e di universalizzazione delle relazioni tecniche. Anzi, è stata proprio la razionalizzazione irrazionale progressivamente diffusasi nelle relazioni sociali che ha generato il problema[3]”.
“Tutto è merce, tutto è quantificabile”
La razionalità-irrazionale ha il suo punto debole proprio nella “certezza” che tutto è mercificabile, dominabile e controllabile. Il ponderoso sistema capitalistico non vede che se stesso e giudica i processi in atto inarrestabili ed eterni. Le variabili sono invece innumerevoli, l’aver eliminato la problematicità concreta del reale-razionale mette in atto processi non contemplati dal sistema che rischiano di condurre l’umanità quotidianamente sull’orlo dell’abisso. La concretezza non pensata e rimossa ritorna come un boomerang e rischia di sommergere il sistema in una serie di incontrollabili disastri che vengono puntualmente minimizzati e non riconosciuti. L’economia green è parte di questo perverso modo di procedere, è usata allo scopo di incassare introiti dall’apocalisse ecologica:
“Dove tutto è merce, tutto è quantificabile, e, su scala locale, tutto diventa calcolabile, prevedibile, manovrabile: la razionalità trionfa. Ma il movimento globale, frutto di innumerevoli interazioni, diventa incontrollabile, e valori, vincoli e sentimenti perdono qualsiasi visibilità: l’irrazionalità trionfa[4]”.
Si procede come automi verso il disastro, in quanto il sistema della quantificazione tecnica non è fuori di noi, ma è dentro di noi:
“Oggi viviamo infatti in un universo tecnico. Ciò significa non tanto che viviamo in mezzo ad apparecchi tecnici, quanto piuttosto che le regole tecniche da un lato sono condizioni di efficacia di tutte le nostre azioni, e dall’altro non sono estrinseche agli strumenti, i quali sono a loro volta semplici articolazioni di un apparato complessivo[5]”.
Riportare in primo piano la concretezza relazionale della vita e di ciascuna esistenza significa riconoscere e conoscere in noi tali processi, e dunque, porre in relazione “il fuori e il dentro”, solo in tal maniera il reale potrà diventare razionale e riportare la politica e la cittadinanza dove dominano incontrastate la sudditanza e la passività.
Il male e il bene
Il male va dunque definito: la vita è porre fini oggettivi e progettare. Essi per essere “oggettivi” devono essere discussi e resi razionali mediante il logos. La morte è vinta ogniqualvolta i fini affermano con la progettualità la vita, non vi è vita che nei fini oggettivi per l’essere umano, l’alternativa è il “male di vivere” che fa emergere la morte-nichilismo, mentre si è vivi. Senza progettualità l’esistenza non ha valore, si consuma nella noia distruttiva delle passioni tristi:
“Abbiamo infatti osservato come lo spirito viva costruendo scopi da realizzare, e come muoia perdendo la possibilità di continuare ad avere scopi che si era costruito[6]”.
Nell’inverno dello Spirito in cui siamo la Filosofia conserva le sue energie vitali e plastiche. Per riportare il bene-razionalità è necessario decodificare il male, Platone ed Hegel sono i riferimenti filosofici di Massimo Bontempelli con cui ricategorizzare il presente. Non si tratta di un’operazione di “mimesi concettuale”, in filosofia i concetti sono sempre giovani, poiché vengono ripensati e riportati nella storia viva e vivente. Platone ed Hegel ci insegnano una lezione eterna da calare nel tempo: la razionalità è processo dialettico, in cui la parte è riportata al tutto. La separazione può essere utile, ma se si permane in essa, trionfa la logica della morte e del male:
“Platone ed Hegel sapevano, però, che la negatività che frammenta il campo teorico e separa i suoi oggetti tra loro scissi, pur generando l’analisi, la precisione, l’efficacia e la potenza della razionalità, è in se stessa irrazionale. Perciò Platone, nel Fedro, pone accanto alla divisione la sinossi, come momento essenziale di un equilibrato sviluppo della facoltà razionale. Perciò Hegel nella Scienza della logica, fa valere l’esigenza che, accanto ad un intelletto <<astraente e con ciò separante, che permane nelle sue separazioni>>, operi una ragione che riunifichi l’intero campo teorico mediante la congiunzione dialettica dei concetti separati[7]”.
Ricordare non è un omaggio funebre, in filosofia si ricorda per pensare e tradurre in nuovi concetti l’esperienza filosofica che ci ha preceduti. La filosofia è una comunità orizzontale e verticale che si incontra intorno al fuoco della verità. La filosofia è “il compimento della sostanza”, secondo la bella e profonda definizione di Hegel; Massimo Bontempelli, ha dato il suo contributo al processo veritativo. Ogni uomo che dedica la sua vita al concetto si eternizza nella verità che si rivela nella storia. Alla desostanzializzazione del mondo dobbiamo opporre la concretezza veritativa senza la quale vi è solo “male ed incuria”. Rileggere Massimo Bontempelli significa immergersi nell’attualità per scorgere il futuro. Solo la prassi filosofica può condurci verso l’esodo dalla chiacchiera del politicamente corretto.
[1] Massimo Bontempelli, La conoscenza del bene e del male, C.R.T. Pistoia, 1998, pag. 119
[2] Ibidem pag. 119
[3] Ibidem pp. 119 120
[4] Ibidem pag. 121
[5] Ibidem pag. 121
[6] Ibidem pag. 33
[7] Ibidem pag. 118
Fonte foto: Zero Zero News (da Google)