La democrazia secondo John Rawls

Il capitalismo assoluto ha i suoi ideologi, i quali devono introdurre metodi di indagine caratterizzati dall’esemplificazione e dall’astrattezza per giustificare l’intrascendibilità del neoliberismo. Si deve, insomma, ignorare l’aspetto materiale-storico in cui gli eventi si formano, la loro genetica, in tal modo è possibile trasformare in ipostasi talune condizioni storiche ed organizzare contrapposizioni “mistiche” per giustificare l’intrasmutabilità  del modo di produzione neoliberista. In tal modo si  divide il confine tra il bene ed il male con una linea netta,  in modo da contrapporli senza spiegarli. John Rawls (Baltimora, 21 febbraio 1921 – Lexington, 24 novembre 2002) ben rappresenta la cultura dell’astratto che occulta le contraddizioni del capitale. Il successo di Rawls è di tipo “ ideologico”, ovvero, mediante la sua opera la filosofia risponde ai bisogni della conservazione per inibire ogni processo di prassi storica. La “diffusione” di Rawls negli ambienti accademici, e persino in Cina,  deve indurci in sospetto che ci si trovi dinanzi all’ennesimo caso di negazione della prassi storica per l’ideologia della conservazione.  L’opera di Rawls è utilizzata per affermare la solidità concettuale dell’economia di mercato e dei principi neoliberisti, pertanto il suo nome risuona nelle sacre stanze del potere per diventare il manifesto della nuova conservazione acritica.

 

L’olocausto

Dinanzi a fenomeni storici, si potrebbe usare oggi un termine in voga, “estremi”, J. Rawls utilizza categorie interpretative religiose. La controparte è descritta a caratteri foschi, in presenza del demoniaco non vi è nulla che si possa contrapporre, si può solo constatare che il demoniaco accade e può solo accadere nuovamente. Per J. Rawls lo sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale non è da mettere in relazione al crollo di Wall Street del 1929, alla cultura coloniale ed al conseguente sfruttamento divenuto endemico tra le potenze, alle  crisi di sovrapproduzione ed all’eugenetica, quale scienza espressione degli interessi della borghesia del capitale, ma semplicemente il nazismo è riducibile alla figura di Hitler.

Le responsabilità dell’olocausto sono unicamente da ricondurre ad un unico responsabile, Adolf Hitler, descritto con tratti demoniaci[1]:

Non voglio  negare né l’unicità storica dell’Olocausto, né la possibilità che si ripeta altrove. Eppure, in nessun altro luogo se non nell’Europa occupata dai Tedeschi fra il 1941 e il 1945, si è visto un dittatore carismatico controllare l’apparato di uno stato potente così concentrato nel realizzare lo sterminio definitivo e completo di un particolare popolo fino ad allora considerato parte della società. (…). Non va trascurato il fatto che la concezione demoniaca del mondo propria di Hitler era, in un certo senso perversa, di natura religiosa. Lo si vede chiaramente dalla sua derivazione, nonché dalle sue idee guida e dai suoi odi”.

La religione demoniaca guida le scelte di un popolo attraverso il suo capo. La spiegazione storica cede il passo ad una visione che non lascia spazio alle responsabilità internazionali. Proiettare il male all’esterno è un’ottima manovra persuasiva con la quale si protegge una parte per condannare senza capire l’altra. E’ una modalità operativa che conserva e condanna sclerotizzando gli equilibri di potere e inibendo ogni dialettica.

                                            

Stato di eccezione liberale

Dinanzi ai crimini commessi dagli Stati Uniti e dagli alleati il giudizio cambia notevolmente, siamo qui dinanzi a circostanze ineluttabili:  il ”bene” per sconfiggere il “male” è stato costretto “all’inaudito” per evitare che il “male” vincesse.  Per sconfiggere il male, in tale visione manichea della storia, ogni mezzo è lecito. Naturalmente anche in questo caso si occulta che il “male” è proliferato anche grazie ai rapporti commerciali che gli Stati Uniti intrattenevano con la Germania fino alla sua entrata in guerra. Gli eventi estremi della guerra, si pensi al bombardamento di Dresda o alle atomiche sul Giappone, sono spiegabili con la guerra fredda che si prefigura, ma la complessità degli accadimenti storici è sempre respinta dall’ideologia che assume sempre posizioni parziali[1]:

Il bombardamento della Germania da parte dell’aviazione britannica per tutto il 1941 o il 1942 poteva essere giustificato perché non si poteva permettere alla Germania di vincere la guerra, e questo per due ragioni fondamentali. Primo, il nazismo faceva presagire un male politico e morale di portata incalcolabile per la vita civile in qualsiasi parte del mondo. Secondo, la natura e la storia della democrazia costituzionale e il suo ruolo nella storia europea erano in pericolo”.

Alla cultura liberale è concesso di agire mettendo tra parentesi ogni legge in situazioni non convenzionali[2]:

Il liberalismo politico concede l’eccezione dell’emergenza assoluta; la dottrina cattolica la respinge, affermando che dobbiamo avere fede e seguire i comandi di Dio”.

Anche i bombardamenti atomici sono giustificati all’interno di circostanze storiche e belliche del tutto sconosciute, benché vi sia l’ammissione del crimine, l’imbarazzo dell’eccesso, ma non al punto da spingersi a richiedere un tribunale per tali crimini[3]:”

E’ evidente che sia il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki sia il bombardamento con ordigni incendiari delle città giapponesi sono stati grandi colpe morali, quel genere di colpe che i doveri derivanti dal senso dello Stato impongono ai leader politici di evitare; tuttavia è altrettanto chiaro che l’esito non sarebbe cambiato se a quel tempo i principi della guerra giusta avessero ricevuto una formulazione articolata. Era semplicemente troppo tardi: il bombardamento dei civili era diventato una pratica bellica accettata. Ed è questa la ragione per cui simili questioni devono essere attentamente considerate prima del conflitto”.

Lo stato di eccezione non consente dialettica, ma solo decisioni, il cui fine è la vittoria con qualsiasi mezzo. Tale logica giustificatrice dei crimini potrebbe essere utilizzata anche dalla controparte. I popoli non sono che mezzi sullo scacchiere della potenza del mercati e dei capitali che possono essere sacrificati, se le circostanze storiche lo consentono.

 

In libero cammino verso il liberalismo

La storia è un lungo cammino verso il liberalismo, per cui in questo sviluppo naturale della storia riemergono tracce di carattere ontologico. Nell’analisi di J. Rawls vi sono nazioni che hanno raggiunto il massimo sviluppo possibile (democrazie liberali), nazioni che si sono avviate verso il liberalismo  e che necessitano di essere accolte e sostenute dalle nazioni già in pieno sviluppo,  sono i “paesi gerarchici decenti”. Vi sono, poi, le nazioni sulla soglia della civiltà, nelle quali i diritti minimi individuali non sono ancora presenti. Dietro tale visione vi è un “larvato razzismo”, poiché le uniche categorie ammesse sono quelle liberali, le quali divengono gli unici parametri possibili con cui poter misurare gli stati.

Il metro di valutazione è dunque il liberalismo, ogni concezione altra è già respinta, poiché il “bene” coincide con i valori dei modi di produzione liberale. E’ respinta la categoria del possibile, il sistema liberale è così reso ipostasi indiscutibile e teleologia della storia, le sue contraddizioni sono giustificate in nome del percorso verso la perfezione e l’equilibrio[1]:

Per ricapitolare: non sostengo che una società gerarchica è ragionevole e giusta tanto quanto una società liberale. Infatti, giudicata sul metro dei principi di una società a democrazia liberale, è evidente che una società gerarchica decente non tratta i suoi membri come eguali. Una società decente, però, ha una concezione della giustizia come bene comune e il rispetto di questa concezione si mostra nel funzionamento della sua gerarchia di consultazione decente. Inoltre, questa società onora un diritto dei popoli ragionevole e giusto, lo stesso diritto rispettato dai popoli liberali. Questo diritto si applica ai modi in cui i popoli si trattano gli uni con gli altri in quanto popoli”.

Ai popoli liberali non resta che “incoraggiare”   lo sviluppo dei popoli sulla via della salvezza liberale, attraverso prestiti[2] su richiesta spontanea. Naturalmente Rawls sottolinea che non vi dev’essere condizionamento nello sviluppo dei paesi decenti, come se l’elargire prestiti o negarli non fosse una forma di guerra per mezzo della moneta. Oggi sappiamo che a suon di bombardamenti molte nazioni sono state salvate: in nome dei diritti umani si è sempre pronti a favorire il percorso verso la “democrazia”[3]:

Tutte le società passano attraverso mutamenti graduali, e questo non è meno vero per le società decenti. I popoli liberali non dovrebbero partire dal presupposto che le società decenti siano incapaci di riformare se stesse sia pure nei modi loro propri. Riconoscendo queste società come membri bona fide della società dei popoli, i popoli liberali incoraggiano  tale mutamento; e in ogni caso non lo soffocano, come invece potrebbe ben accadere se negano rispetto ai popoli decenti”.

 

Diritti umani

I diritti umani divengono lo strumento con cui organizzare l’intervento e il giudizio sui popoli decenti, tali diritti individuali appartengono all’essere umano per natura, naturalmente non vi è cenno alla genetica storica e razionale di tali diritti, per cui divengono lo standard necessario con cui valutare i popoli e gli interventi conseguenti[4]:

I diritti umani sono distinti dai diritti costituzionali o dai diritti propri della democrazia liberale, così come da altri diritti che appartengono a determinati tipi di istituzioni politiche, di stampo sia individualista sia associativista. I diritti umani stabiliscono uno standard necessario, anche se non sufficiente, per la decenza di istituzioni politiche e sociali delle singole società”.

 

Democrazia come trionfo della pace e della giustizia

Rawls si spinge a formulare la tesi che il regno irenico della libertà e della pace avverrà con il trionfo delle democrazie liberali. La democrazia al massimo del suo sviluppo implica la pace. Ancora una volta il tutto è circonfuso da un’aureola religiosa ed ideologica[1]:

Nelle guerre in cui sono state coinvolte un certo numero di grandi potenze, come è avvenuto nelle due grandi guerre mondiali, gli stati democratici hanno combattuto come alleati dalla stessa parte. L’assenza di guerre fra grandi democrazie consolidate è, a nostra conoscenza, quanto più si avvicina a una semplice regolarità empirica nell’ambito delle relazioni fra società”.

Naturalmente non possiamo non rammentare che le democrazie liberali si distinguono per la guerra: la competizione liberista è la lotta di tutti contro tutti in nome del plusvalore. L’aziendalizzazione della vita è la formulazione giuridica con cui la violenza diventa istituzionale e capillare. Alla guerra interna si somma la guerra esterna per il predominio dei mercati, tanto più che  la sovrapproduzione con lo sviluppo delle tecnologie è ormai un male endemico che minaccia l’ambiente e gli stati nazionali valutati come terra di conquista in nome dei diritti umani.

Il problema non è la diffusione di autori come J. Rawls, ma il silenzio delle sinistre e degli accademici che con il loro complice assenso silente rafforzano le posizioni del pensiero unico con la riduzione della democrazia a semplice apparato formale senza contenuti dialettici. La democrazia è viva nella pluralità delle voci che informano e concettualizzano il presente, a tale attività si è sostituita la parola ideologica, la chiacchiera con cui celare la sola democrazia formale. La democrazia dal guscio vuoto prepara nuovi totalitarismi, poiché solo il concetto e la ragione pubblica possono riportare la partecipazione informata quale sostanza dinamica della democrazia comunitaria.

 

[1] John Rawls, Il diritto dei popoli edizioni comunità 2001 Torino pp. 26 27

[2] Ibidem pag. 132

[3] Ibidem pag. 140

[4] Ibidem pp.135 136

[5] Ibidem pag. 110

[6] Ibidem pag. 112

[7] Ibidem pag. 80

[8] Ibidem pag. 105

[9] Ibidem pag. 68

Fitxer:B-52D dropping bombs over Vietnam.jpg - Viquipèdia, l ...

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.