“Invito allo straniamento” testo a cura di Alessandro Monchietto e di Giacomo Pezzano, non è solo un omaggio a Costanzo, ma attraverso la chiara esposizione dei nodi concettuali affrontati da Preve durante il suo percorso filosofico pone tematiche imprescindibili per la filosofia, senza le quali non vi è filosofia, ma solo una pallida copia della stessa. Gli autori del testo nell’omaggiare Costanzo Preve senza idolatria, ci rammentano che la “filosofia” non è un percorso agevole, essa non può limitarsi per suo statuto epistemico e di tradizione a duplicare e legittimare il presente, ma deve deviare dalla palude dell’opinione per osare mettere al centro “la verità” con la sua spinosa problematicità. La filosofia è disciplina aliena da ogni semplicismo come da ogni inutile complicazione, essa predilige la complessità, l’approccio olistico per cogliere l’essenziale, per dedurre mediante argomentazioni dialogiche i fondamenti senza i quali non vi è che la deriva relativistica. Gli autori trasformano la filosofia di Preve in un cantiere filosofico da cui trarre nuclei concettuali, problematiche e soluzioni con cui confrontarsi per sviluppare prospettive filosofiche personali. La filosofia è tensione dialogica, per cui nell’introduzione Alessandro Monchietto evidenzia che l’attività filosofica è “straniamento”, termine che Preve ha mutuato da Bertolt Brecht, ovvero è capacità di vivere, pensare e guardare con gli occhi della mente la contingenza storica, in cui si è situati da un punto di vista altro. Tale spostamento della visuale consente di comprendere con maggiore contezza l’orizzonte in cui si è immersi, ma specialmente mediante lo straniamento ci si disaliena e si pone in essere un processo di emancipazione ed autocoscienza creativa. Lo straniamento filosofico ha una finalità ontologica, etica e politica, i tre ambiti non sono separabili, poiché è un’operazione di destrutturazione genetica degli idola per cercare la verità. Si devono ringraziare, gli autori tutti, per i loro pregevoli interventi, in particolare i curatori del testo che con il saggio contribuiscono a rendere fruibile il pensiero filosofico di Costanzo Preve.
Deduzione sociale delle categorie
Costanzo Preve nel percorso metodologico riporta “la verità” al centro della discussione della verità. In tale postura filosofica egli si caratterizza come “filosofo trasgressivo e disorganico”, poiché la filosofia ufficiale e di sistema è lo strumento di legittimazione del relativismo nichilistico con il quale giustificare il consumismo, l’irrilevanza assiologica e la morte della verità.
Un sistema socio-politico in cui la verità è espulsa dal dibattito pubblico e dalla ricerca inevitabilmente si fonda sull’illimitato, sull’imperativo del consumo e sulla gerarchizzazione in base al paradigma della sola quantità e del possesso. Senza verità la comunità si frammenta in semplici individualità consumanti o in carriera. Costanzo Preve vive il dramma del capitalismo assoluto e lo sublima in ricerca, in analisi delle condizioni storiche per trascenderlo, ma affinché ciò possa essere deve elaborare un metodo per ricostruire le verità storiche e attraverso le tracce e gli indizi di tale decostruzione ridefinisce “la natura umana”. La deduzione sociale delle categorie è il mezzo con cui ricostruire geneticamente dogmi e false verità del capitalismo assoluto. Esso vive e prolifera mediante l’asservimento dei suoi sudditi, i quali divengono il mezzo mediante il quale si riproduce senza trovare opposizione, rispecchia solo se stesso, libero da ogni limite “assoluto” fagocitando ogni attività politica. La deduzione sociale delle categorie è, già prassi filosofica, perché defatalizza il presente restituendolo ad una storicità virtuosa ed aperta al possibile:
“Deduzione sociale, dunque, e non trascendentale delle categorie del pensiero: concretamente, questo significa che, nella prospettiva previana, non si tratta di prendere le mosse, per esempio, dal concetto cartesiano di ego cogito come se fosse un prodotto autonomo del pensiero, per poi magari rendere conto, in seconda battuta, della società e dello sviluppo diacronico di quell’idea, prescindendo dal contesto sociale; viceversa, la deduzione sociale delle categorie messe a punto da Preve sulle orme di Marx muove da concreti nessi storici, sociali e politici attivi nella Francia del Seicento e, da lì, deduce il concetto cartesiano dell’ego cogito mostrandone la dipendenza dell’effettivo valore “materiale”, adombrando come esso incorpori e rifletta sul piano simbolico la dimensione sociale concretamente esistente[1]”.
La genesi è il momento in cui i processi storici ipostatizzati sono svelati nella verità-realtà storica ed ideologica, la genesi dev’essere seguita dalla validità, ovvero dal giudizio critico e costruttivo con il quale il soggetto si eleva dalla contingenza per pensare la stessa, in tale processo di autocoscienza ci si emancipa dall’atteggiamento ideologico e astrattamente prospettico per elevarsi all’universale concreto della filosofia che consente al particolare di convivere con l’universale. Il legame tra i due poli non dev’essere scisso, altrimenti il soggetto si autorappresenta come onnipotente ed astratto nella sua verità astratta negando l’attività dialogica e di perenne perfezionamento dell’attività filosofica
“Dunque Preve da un lato ricorda l’origine storica del pensare, dall’altro ribadisce la sua validità universale. “Nascita storica” e “storicismo” non si equivalgono affatto, ma si tratta di cogliere il rapporto dialettico che intercorre tra “genesi” (Genesis) e “validità” (Geltung). Se particolare e universale non possono essere confusi e sovrapposti, nondimeno essi sono in relazione reciproca proprio in quanto separati[2]”.
La filosofia è germinatrice di verità critica mediante il dialogo ed il logos, tale disposizione svela e rivela la sua validità educativa e formatrice. Il disporsi intenzionale verso la verità è “paideia”, formazione di sé e comunitaria, anche in questo caso i due poli sono indisgiungibili.
Tra immanenza e trascendenza
La filosofia è vocata ad operare tra immanenza ed universale, essa permette il passaggio concettualizzato e logicamente argomentato dal particolare all’universale. Si può dedurre da tale “traccia” che l’essere umano non vive per la sola contingenza astratta, ma è nella sua natura elevarsi dalla prospettiva storica all’universale. Ci si congeda dallo storicismo relativista e dall’esemplificazione riduzionista che vorrebbe rappresentare l’essere umano come “individuo” che persegue unicamente il proprio utile personale. Costanzo Preve ha fessurato l’ipostatizzazione del presente e dell’individualismo, ha ripensato il rapporto struttura – sovrastruttura già presente in Marx, poiché non tutto è leggibile attraverso la deduzione sociale delle categorie, in quanto l’essere umano può ripensare le categorie sociali per concettualizzare processi teoretici e politici universali:
“La filosofia è, allora, chiamata a operare in quello specifico e delicato rapporto dialettico che si viene a instaurare tra la genesi di una costellazione filosofica, che è sempre particolare e storicamente determinata, e la sua validità in termini di verità, che è invece sempre universale e che, non di meno, non potrebbe manifestarsi nella storia senza attraversare la porta della genesi particolare. E’ questa la via che permette di “salvare” la deduzione sociale delle categorie codificate da Marx dal nichilismo storicistico, innestandola in un quadro veritativo in cui la genesi non coincide con la validità, ma la rende possibile[1]”.
Dislocazione dello sguardo
Lo straniamento non è un atto magico, né può bastare lo scandalo innanzi alle contraddizioni del presente per provocarlo, ma necessita di pratica filosofica, perché possa concretizzarsi. Lo straniamento non è la soluzione unica e definitiva alle grandi problematiche che tormentano la contemporaneità, ma permette mediante il passaggio dal particolare all’universale di analizzare problemi quotidianamente vissuti e ignorati. Le trasformazioni necessitano della visione filosofica, ma non sono riconducibili solo ad essa, da sola la filosofia non può cambiare il mondo, ma può indicare “le condizioni di possibilità” dei processi di trasformazione:
“Un simile atteggiamento comporta un vero e proprio spostamento, una dislocazione dello sguardo, uno “straniamento”. Preve ci ricorda in tal modo che il discorso filosofico ha intimamente a che fare con il tentativo di guardare il mondo altrimenti, pur sapendo che ciò non può bastare a modificarlo: il desiderio di cambiare il mondo con la filosofia è troppo ingenuo, a la filosofia consente di aprire un orizzonte critico se chiarisce che una trasformazione è necessaria, nonché le ragioni per le quali lo è, indicando infine quali sono le condizioni di possibilità di trasformazione della stessa[2]”.
La verità è l’asse della ricerca di Preve, poiché non vi è filosofia senza verità. La critica filosofica è tollerata fin quando non propone verità ed alternative, ma resta nel gioco del pessimismo querulo ed infecondo. Luca Grecchi palesa nel suo intervento la ricezione delle critiche di Preve al suo pensiero teorico. La complessità del problema del rapporto tra particolare e universale non può che favorire l’ascolto e la rielaborazione delle critiche finalizzate alla comune ricerca della verità:
“Le mie critiche a Preve convergevano tutte, in ogni caso, con l’avere avuto egli, a mio avviso, una concezione troppo implicita dell’uomo trascendentalmente inteso come fondamento onto-assiologico della verità dell’essere; tuttavia, per quanto implicita, tale presenza vi era anche nel suo pensiero, e questo costituiva il nostro principale tratto in comune[1]”.
Intellettuali e verità
La verità è scomparsa dall’orizzonte occidentale, tale oscuramento trova negli intellettuali i suoi complici. Gli intellettuali sono un gruppo sociale asservito che si fa mediatore ed interprete degli interessi delle oligarchie presso i popoli per renderli “plebi” e “cani alla catena”. Gli intellettuali nel circo mediatico insegnano che la verità è violenza ed autoritarismo, in tal maniera svolgono un’azione ideologica, inibiscono la ricerca della stessa, e spingono generazioni intere a consumare il proprio tempo in un presente senza speranza. Preve era un filosofo e non certo un “intellettuale”, pertanto ha vissuto la sua parabola filosofica volutamente ai margini per poter essere libero dalle conventicole del potere e per liberamente “servire” la causa della verità:
“Riassumendo, il punto importante è che gli intellettuali sono un gruppo sociale, ed è un errore considerarli come un aggregato di atomi sociali portatori di libero arbitrio e di competenze, perché se fosse così saremmo tutti intellettuali, in quanto l’intelletto umano è per fortuna distribuito in tutti gli individui. Evidentemente, gli intellettuali sono un gruppo cui è affidato un mandato di mediazione fra le idee dominanti di riproduzione sociale e il modo in cui queste idee vengono trasmesse ai gruppi dominati, per cui condivido la teoria di Sorel, secondo la quale gli intellettuali sono strutturalmente al servizio del potere. La grande obiezione che si può muovere a questa tesi è quella di Gramsci e di Lenin, per i quali gli intellettuali sono gli unici in grado di organizzare il punto di vista delle classi dominate, le quali hanno bisogno di questa mediazione per diventare classi dominanti. A lungo ho creduto a questo, ma adesso non ci credo più, proprio a causa dell’integrazione dei gruppi intellettuali tramite la “attrazione magnetica” delle classi dominanti. Secondo me questo è il punto fondamentale. Personalmente per capire i gruppi intellettuali odierni mi ispiro a due fonti. La prima è quella del sociologo francese Bourdieu, che ha definito, secondo me correttamente, gli intellettuali come un gruppo dominato della classe dominante. Secondo me questa formulazione è molto felice. Gli intellettuali fanno parte della classe dominante, perché posseggono un capitale intellettuale che possono spendere e valorizzare, ma per poterlo valorizzare devono venderlo sul mercato, e non possono che venderlo alle classi dominanti stesse, le quali funzionano da filtro per lo spazio pubblico, selezionando chi può accedervi e chi non può accedervi. In questo senso gli intellettuali sono un gruppo dominato della classi dominante, quella dei capitalisti industriali e finanziari[2]”.
Il testo “Invito allo straniamento” pregevole nel linguaggio come nelle tematiche raccolte ha al suo interno un nucleo concettuale condiviso tra i vari autori, la verità come problema in Preve, e ciò emerge in tutta la sua urgenza e complessità filosofica. Nessun filosofo è killer di altri filosofi e ricercatori, per cui Costanzo Preve ha riportato la filosofia alla verità, sta ai lettori di Preve continuare il percorso, deviare dallo stesso, se è necessario, perché il filosofare non è replicare e clonare il già detto, attività da citatologo, ma ripensare categorie già formulate e chiarire concetti e problemi. La filosofia vive della sua fonte: la verità come ricerca e tale tratto essenziale emerge in tutti i contribuiti. La decadenza della filosofia è nella dimenticanza del suo oggetto di ricerca, la verità, sostituita con l’analisi linguistica e nel migliore dei casi con l’epistemologia. Il testo dedicato a Costanzo Preve denuncia e smaschera la filosofia accademica come pratica nichilistica evidenziando la Bestimmung (Determinazione) di Preve nel convincimento che vi è filosofia solo se ci si “arrischia” ad intraprendere il difficile sentiero della verità. Concludo lasciando la parola a Costanzo Preve sulla verità filosofica da non confondere con l’esattezza matematica:
“Per l’appunto. La verità filosofica nasce infatti da un terzo approccio, che non è né religioso né scientifico. L’aspetto della verità filosofica è quello dialogico. La verità nasce da un agone dialogico, da una “lotta amichevole” come quella che stiamo facendo noi due ora, per avvicinarsi il più possibile alla verità. Rimane però anche qui un problema: nella storia dell’uomo, l’agone dialogico è per definizione interminabile. Pertanto, chi ricerca la verità solo nell’agone dialogico, non troverà la verità se non nel dialogo. Il dialogo stesso, però, ha questo equivoco: da un lato è lo scopo della ricerca della verità, e dall’altro il mezzo con cui essa può essere raggiunta. Questa è, a mio parere, la contraddizione strutturale della filosofia, da cui essa non potrà uscire mai. Se il dialogo è lo scopo, la verità non è più lo scopo, ma semplicemente una forma di vita saggia, che sostituisce la violenza con la contrattazione. Se invece il dialogo è un mezzo per la realizzazione della verità, la verità stessa diventa scopo, ma allora è messa oltre il dialogo. Il dialogo filosofico ha questa caratteristica essenziale: che ad ogni proposizione può essere opposta un’altra pro-posizione. Personalmente, non credo in un dialogo filosofico risolutivo dei problemi. Mentre la scienza conosce quei metodi definitori chiamati protocolli, accertamenti, sperimentazioni e così via, e perciò permette alla comunità scientifica di chimici, fisici e biologi di giungere almeno a delle verità provvisorie condivise dalla comunità di appartenenza, la filosofia per sua natura non dispone di simili metodi[1]”.
[1] AA. VV. Invito allo straniamento, a cura di Alessandro Monchietto Giacomo Pezzano, Petite Plaisance Pistoia 2014 pag. 80
[2] Ibidem pag. 124
[3] Ibidem pag. 85
[4] Ibidem pag. 21
[5] Ibidem pag. 152
[6] Intervista a Costanzo Preve, in Eurasia rivista di studi geopolitici del 4/12/2011
[7] C. Preve – L. Grecchi, Marx e gli antichi greci, Petite Plaisance, Pistoia 2005, p. 28.