Relazione tenuta il 21 marzo a Telese Terme ( Benevento) al Convegno
Organizzato da A.N.A.I e Tribunale del consumatore.
L’essere donna oltre la
narrazione mainstream dell’idea di emancipazione.
Non nego che affrontare questo tema è molto complicato. Il
rischio di essere accusati di maschilismo, sessismo e paternalismo è molto
forte. Per affrontarlo prendo le mosse
dal libro di Christine de Pizan dal titolo La Cité des Damas. Nonostante il
nome francese era italiana, donna appartenente a quella classe di mercanti che,
dall’Italia, attraversava in lungo e in largo l’Europa del Basso Medio Evo
arricchendosi e a volte imparentandosi con l’aristocrazia d’oltralpe, come
accadde alla de Pizan la quale andò in sposa ad un esponente dell’aristocrazia
francese e poi rimase vedova giovane con figli da mantenere e, nonostante fosse
aristocratica e ricca, con le difficoltà rivenienti dal contesto sociale,
culturale, giuridico ed economico dell’epoca. Scrive nel suo libro dal titolo
che richiama La Città di Dio di Agostino di Ippona << Nella mia follia,
mi dispero che Dio mi avesse fatta nascere in un corpo femminile (…) come se la
natura avesse creato mostri>>; pur se inizialmente accusa Dio, approfondendo
le varie questioni prende atto che è il contesto dominato dagli uomini ad aver
determinato la sua condizione. Come scrive la Klapisch – Zuber[1]<<
Questo avviene verso il 1400, quando il Rinascimento si annuncia con il declino
del Medioevo. Guardiamola bene, questa polemista, campionessa delle sue
sorelle. Vedova, essa lavora per guadagnare il pane per la famiglia, e il suo
lavoro è quello di una donna istruita, consapevole del proprio valore. È letterata,
cosa che allora è molto rara, scrive, stranezza anche più grande. In essa
s’incrociano la maggior parte dei problemi sollevati dalla storia delle donne
nel Medioevo. (…)>> In questa figura si incrociano questioni quali la
demografia, il sistema economico, l’autonomia giuridica, il senso stesso
dell’essere donna, che, potremmo dire senza il rischio di sbagliare, si
ritrovano nella Storia dall’età Antica fino alla Contemporaneità. La Storia è
ricca di donne che hanno avuto un ruolo centrale: basti pensare alla Giudicessa
Eleonora di Arborea, passata alla Storia per aver promulgato una delle prime
raccolte di norme; alla Contessa Matilde di Canossa che mette letteralmente in
ginocchio Enrico IV e, andando ancora più indietro, la regina dei Longobardi
Teodolinda o grandi intellettuali e filosofe come Ipazia. Con l’ascesa del
Cristianesimo e il suo consolidarsi come unica religione, contribuendo alla definizione dell’identità
Occidentale, la Storia si arricchisce di donne santificate: Santa Caterina da
Siena, Santa Chiara, Santa Rita; ma anche di donne idealizzate dalla poesia,
penso alla Beatrice di Dante, a Laura di Petrarca, alla Fiammetta di Boccaccio.
Come dimenticare le tante donne guerriere come S. Giovanna d’Arco o la Contessa
Caterina Sforza, che dagli spalti della fortezza assediata di fronte ai nemici
che minacciavano di ammazzarle i figli se non si fosse arresa, alzando le
vesti, quindi scoprendo il proprio sesso, rispose a quelle terribili minacce
che di figli ne avrebbe potuti fare altri. Tante altre sono le donne passate
alla storia per la loro forza e la loro abilità politica: Lucrezia Borgia prima
usata come merce di scambio dal padre e dal fratello, divenuta duchessa di
Ferrara dimostrò abilità politiche non indifferenti; Isabella d’Este, la Regina
Isabella di Castiglia, Elisabetta I Tudor, Maria Teresa
d’Asburgo ammirata persino da Federico II di Prussia noto misogino,
Caterina zarina di Russia, Elisabetta zarina di Russia, Elisabetta Farnese
ultima discendente di quella famiglia ma anche capostipite del ramo dei Borbone
che ancora oggi regna sulla Spagna. Tutte queste donne sono accomunate dal
fatto che nessuna di esse risponde ad un modello di donna non riconducibile ad
una Storia costruita secondo modelli culturali maschili. Possono queste stesse
donne essere considerate esempi riconducibili al pensiero femminista? Questa è
la domanda alla quale proverò a rispondere riportando per sommi capi la storia
del movimento di emancipazione della donna evidenziandone le diverse correnti,
contestualizzandone le battaglie politiche fino al confronto culturale e
politico in corso caratterizzato da un femminismo post moderno. Concluderò spiegando
il senso del titolo della mia relazione e cioè cosa significa l’andare oltre la
narrazione mainstream dell’emancipazione della donna. Per inciso il pensiero dominante è oltre
l’idea stessa di donna e uomo per cui non bisogna nemmeno parlare di
emancipazione della donna ma di liberazione di un essere indistinto, asessuato
e androgino. Prima di proseguire serve una precisazione, il mainstream al quale
faccio riferimento non ha nulla a che vedere
con il gender mainstream. Come
scrive la filosofa del diritto Lucia Re[2]<<Per
l’Ecosoc: Il gender mainstream è il processo in base al quale si valutano le
conseguenze per le donne e per gli uomini di ogni azione che viene pianificata,
inclusa la legislazione, le politiche o i programmi, in tutte le aree e a tutti
i livelli. E’ una strategia per rendere le esigenze e le esperienze delle donne
e degli uomini parte integrante della progettazione, dell’implementazione, del
monitoraggio e della valutazione delle politiche e dei programmi in tutte le
sfere, politica, economica e sociale, così che donne e uomini ne possano
beneficiare in modo uguale e non si perpetui la disuguaglianza. Lo scopo finale
è ottenere l’uguaglianza di genere>> Principio della parità questo che si
riallaccia tout court alla “prima ondata” del femminismo fatto proprio dalla
Dichiarazione e dalla Piattaforma d’azione di Pechino, nel documento del
Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite , ECOSOC appunto, sia nella
prospettiva fatta dall’Unione Europea con il Trattato di Amsterdam del 1997. Il
principio di uguaglianza riportato nei documenti ai quali faccio riferimento,
pur se in alcuni aspetti risulta datato, è da intendersi come qualcosa che non attiene
le sole donne ma è parte integrante del sistema economico e sociale
rappresentato dal capitalismo neoliberale. Questa mia precisazione per il
momento ha come scopo solo quello di marcare la differenza tra ciò che io
intendo per mainstream rispetto al “gender mainstreaming”
i documenti internazionali appena citati. Il ragionamento non può che
riprendere dalla genesi del pensiero femminista e da come esso si è trasformato
rispetto alle condizioni economiche, sociali e politiche storicamente
determinate.
Se
tanto in Età Antica quanto nel Medio Evo vi erano donne che prendevano
coscienza del loro stato di inferiorità imposto dal sistema patriarcale per cui
venivano considerate delle semplici “fattrici”, prive di diritti soggettivi e
assoggettate alla potestà prima paterna e dopo maritale e in caso di vedovanza
a quella del figlio maggiore, il pensiero femminista matura in Europa nel
contesto rappresentato dall’ascesa e dall’affermazione della società borghese
legata allo sviluppo del sistema economico capitalista. Fino a quel momento non
è che non ci fossero state donne capaci di svolgere un’azione guida rispetto a
determinati processi, il punto è che per il pensiero femminista, le azioni
condotte da donne che hanno determinato la scena politica, economica, sociale e
culturale non hanno nulla a che vedere con il femminismo, il modo di agire di
quelle donne, dicevo, è funzionale alla
conservazione del sistema sociale ed economico patriarcale. Per essere chiaro
fino in fondo donne come Elisabetta I Tudor, Maria Teresa d’Asburgo, ecc. non
hanno nulla a che vedere con istanze femministe, esse sono il tipico prodotto
di un sistema patriarcale.
Il
femminismo nasce quando si struttura come pensiero autonomo e alternativo alla
visione del mondo scritta e determinata dal maschio. Nell’antichità, Platone[3]scriveva
<< – Quindi, dissi, anche per il sesso maschile e femminile, se risultano
differenti per una data arte o altra occupazione, diremo che questa arte od
occupazione va assegnata o all’uno o all’altro sesso. Ma se risulta che la loro
differenza è data soltanto dal fatto che la femmina partorisce e il maschio
copre, diremo che non c’è alcuna ragione di concludere che, relativamente al
nostro argomento, la donna differisca dall’uomo; ma continueremo a credere che
i nostri guardiani e le loro donne debbono attendere alle stesse occupazioni.
(…) È vero, rispose; in ogni campo, per così dire, uno dei due sessi è assai
inferiore all’altro. Certo che in parecchi molte donne sono migliori di molti
uomini, ma in generale è come dici. – Allora, mio caro, nell’amministrazione
statale non c’è occupazione che sia propria di una donna in quanto donna né di
un uomo in quanto uomo; ma le attitudini naturali sono similmente disseminate
nei due sessi; e natura vuole che tutte le occupazioni siano accessibili alla
donna e tutte all’uomo (…)>>. Nel Tardo
Medio Evo, le donne spesso ebbero un ruolo guida nelle varie rivolte
contadine. Nel mondo Islamico la Sharia riconobbe diritti alle donne nei campi
del matrimonio, del divorzio e dell’eredità. Paradossalmente le condizioni
della donna nel mondo arabo – islamico peggiorarono quando in quei paesi
arrivarono gli inglesi i quali imposero il loro diritto con un ulteriore peggioramento delle condizioni della donna.
Ritornando
al ruolo della donna nel Medio Evo, ad esempio, le donne prese a riferimento
negli scritti teologici e filosofici dell’epoca descrivono l’ideale di una donna
funzionale ad un sistema che attribuiva ad essa la funzione di riproduttrice e,
rispetto alla divisione del lavoro, alle attività strettamente legate, potremmo
dire, al “focolare domestico” e cioè accudire la casa, i figli, il marito, gli
anziani di casa. La descrizione che si evince dagli scritti dell’epoca [4]
ha come punti di riferimento fondamentalmente due donne: Maria la madre di
Cristo e Maria Maddalena la prostituta convertita. A definire i compiti e il
ruolo delle donne sono spesso religiosi alcuni di questi addirittura oblati ad
ordini monacali per cui in vita loro non avevano mai avuto a che fare con una
donna in carne ed ossa. La vicenda di Abelardo ed Eloisa è emblematica di quei secoli.
La stessa Eloisa è difficile che possa passare per una sorta di proto femminista,
certamente è consapevole di essere semplice merce di scambio per i fratelli per
cui gli è impossibile coronare il suo sogno d’amore non solo spirituale ma anche
fisico con Abelardo però non ha gli strumenti per poter immaginare una
narrazione alternativa a quella maschile e patriarcale dell’epoca. Le donne
descritte dai poeti a partire dal Dolce Stil Novo, dagli chansonnier
provenzali, ecc. sono sempre il prodotto della elaborazione culturale di una
società maschile. Non potremmo mai sapere se Beatrice, Laura o Fiammetta
condividessero in qualche modo la descrizione di quell’ideale di donna che
Dante, Petrarca e Boccaccio con i loro versi hanno consegnato alla storia. Sempre restando nella stessa epoca storica
abbiamo esempi di donne come Santa Chiara, l’equivalente di San Francesco, o
della compagna dell’eretico Fra Dolcino, Margherita Boninsegna passata alla
storia come Margherita da Trento o Margherita la Bella. Una donna,
quest’ultima, ritenuta dal suo stesso compagno e dagli adepti del movimento
secolare degli “ Apostoli” una guida importante, a sminuirne il ruolo fu la
Santa Inquisizione, quindi il potere maschile.
Pur
condividendo quanto sostenuto da Lucy Katherine Mangan[5]
e cioè la difficoltà di comprendere il femminismo da parte delle stesse
femministe, ritengo che tale pensiero nasca quando la donna rifiuta il suo essere
funzionale alla logica di potere maschile. Quando in sostanza costruisce un
pensiero autonomo proponendo una visione alternativa a quella, diremmo oggi,
egemone, rappresentata da ciò che le stesse femministe definiscono come sistema
patriarcale. Anche se pure su questo punto, come vedremo più avanti,
l’impostazione la devono a due uomini: J.J. Bachofen e F. Engels.
L’autonomia
del pensiero trae origine dalle rivendicazioni che, a partire dal 500 – 600,
portano all’emergere della soggettività. Il dibattito interno al mondo tanto
Cattolico quanto Protestante è fondamentale ai fini della nascita del soggetto.
Durante il 500 sono molte le nobildonne che animano cenacoli che alimentano il
dibattito filosofico e teologico che vedono il confronto tra Riforma e
Controriforma. Ad animare il dibattito dell’epoca all’insegna della
rivendicazione dell’autonomia e della parità non sono solo morigerate
nobildonne. Un ruolo fondamentale venne svolto, ad esempio, dalla figura della Cortigiana,
penso a Veronica Franco: donna colta, poetessa, scrittrice e musicista.
I
germi del pensiero liberale traggono origine dal confronto filosofico,
teologico e politico che interessò l’Europa del XVI e XVII secolo. È durante la
rivoluzione inglese del 600 che emergono le prime istanze femministe, ma è
soprattutto durante la Rivoluzione Francese che tali istanze emergono in modo
forte.
I
primi documenti da ascrivere al pensiero femminista sono collocabili a cavallo
dei secoli XVII e XVIII. Mary Astell,
filosofa e scrittrice vissuta in Gran Bretagna, anticipa il tema della parità
tra uomo e donna. In Svezia sono Margareta
Momma e Hedvig Nordenflycht, a porre con i loro scritti il tema
dell’uguaglianza e quindi a rivendicare quei diritti che all’epoca erano
appannaggio dei soli uomini.[6]
Il
termine “femminista” all’epoca non era stato ancora coniato, ma le istanze di
uguaglianza da parte delle donne sull’onda delle rivendicazioni di Libertà che
caratterizzavano l’ascesa della borghesia dell’epoca che trovano nella Guerra
di Indipendenza Americana e nella Rivoluzione Francese del 1789 il terreno giusto per germogliare. Risale
alla Rivoluzione francese e all’opera di Olympe de Gouges ,[7]la
quale in piena Rivoluzione Francese con la
“Dichiarazione dei diritti delle donne e della cittadinanza” tenta di
imporre all’Assemblea Costituente di Parigi del 1791 la questione dell’uguaglianza
tra uomo e donna. Le istanze da lei promosse non vennero prese molto bene dai
rivoluzionari francesi, infatti finì ghigliottinata. In ogni caso la prima ad
avere scritto testi riconducibili ad un pensiero femminista autonomo è Maria
Wollstonecraft, contemporanea della Gouges, londinese, viene considerata come
l’iniziatrice del pensiero femminista di ispirazione Liberale. In quella che è
la sua opera più importante “A vindication of the Rights of Woman” del 1792
scrive<<E’ ora di effettuare una rivoluzione nei modi di vivere delle
donne – è ora di restituir loro la loro dignità perduta – e di far sì che esse,
come parte della specie umana, operino, riformando se stesse, per riformare il
mondo>>[8]
Il
Codice Civile voluto da Napoleone Bonaparte nel 1804 sancisce sul piano
giuridico il primato del pater familias per cui le istanze liberali presenti
nella Rivoluzione francese alle quali le prime femministe facevano riferimento
finiscono con l’essere, almeno dal punto di vista normativo, archiviate. I
movimenti femministi al di qua e al di là delle sponde dell’Atlantico si
ispirano fondamentalmente al pensiero Liberale uscito egemone dalla Rivoluzione
Francese. Il movimento femminista di ispirazione liberale pone al centro della
propria azione politica l’uguaglianza politica in nome della comune
appartenenza al genere umano, le principali rivendicazioni sono diritto di
proprietà, di successione, accesso alle professioni, diritto di voto e di
essere elette. Alfieri di tale impostazione sono John Stuart Mill[9]
e Harriet Taylore, prima amanti e coniugati solo dopo la morte del marito di
lei. Il suffragio progressivamente si
allarga, come è noto non è solo una rivendicazione delle donne ma anche degli
uomini, visto che il diritto di voto e la possibilità di candidarsi alle
elezioni politiche e amministrative erano strettamente legati al censo. Il
suffragio universale esteso anche alle donne arriverà negli Stati riconducibili
al modello Occidentale solo tra la fine dell’800 e i primi del 900. Il primo
Paese ad aver concesso il diritto di voto alle donne è il Dominion della Nuova
Zelanda sul finire dell’800. In Italia il diritto di voto alle donne verrà riconosciuto
solo con la nascita della Costituzione Repubblicana nel 1947. In Italia le
rivendicazioni di emancipazione femminile, da intendersi in questa prima fase
come riconoscimento dei diritti civili e politici rivendicati anche dagli uomini,
si intrecciano con le battaglie risorgimentali che affondano le radici nelle
Repubbliche giacobine nate a seguito della discesa di Napoleone Bonaparte.
Protagoniste della lotta per l’emancipazione della donna che si intreccia con
la lotta per l’indipendenza e l’unità nazionale sono nobildonne come Clara
Maffei, Cristina Trivulzio Belgioso, Sarah Nathan, Maria Drago, Laura Solera
Mantegazza. I temi dell’uguaglianza sociale e quindi le rivendicazioni dei
diritti civili e politici traggono origine dalle condizioni materiali delle
donne e dal ruolo che esse svolgono all’interno della Società. Sono madri e nel
contempo educatrici dei figli, sono elementi questi fondamentali ai fini della
lotta politica per l’uguaglianza. Da qui il diritto a sposare chi si amava e
non chi veniva imposto dalla famiglia, nello specifico dal padre. Non solo
diritti civili quali il diritto di proprietà, di successione diventano
fondamentali, donne benestanti creano associazioni che promuovono l’istituzione
di scuole nelle quali impartire l’educazione non solo ai ragazzi ma anche alle ragazze.
Rivendicazioni
di questo tipo si inseriscono nel filone del pensiero liberale. La rivoluzione
industriale e la nascita del proletariato con le rivendicazioni connesse alle
condizioni materiali determinate dal nuovo sistema di produzione, che interessa
prima l’Inghilterra a partire dalla metà del XVIII secolo e poi l’Europa
continentale e quelli che sono diventati gli Stati Uniti d’America, allarga il
campo delle rivendicazioni. La nascita dei primi movimenti Socialisti, ad opera
di C. Fourier, Saint Simon, Proudhon ma soprattutto di K. Marx e F. Engels, e del movimento anarchico, ad opera di M.
Bakunin, forniscono una nuova prospettiva. Le rivendicazioni delle donne non si
intrecciano più, come in Italia, con la lotta Risorgimentale, o in altri Paesi
con le lotte per la concessione delle Costituzioni, ma con la lotta di classe
per quelle donne che si ispirano al Socialismo e al Comunismo o con
l’abbattimento di qualsiasi autorità per quei movimenti femministi che sposano
gli ideali anarchici.
Il
movimento femminista deve proprio ad F. Engels e alla sua opera “L’origine
della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” gli elementi teorici per
condurre l’affondo contro il sistema sociale, educativo, politico ed economico
borghese. Le rivendicazioni del femminismo liberale, a donne formatesi nelle
fabbriche appaiono non sufficienti. Engels nella sua opera, come è noto, trae
spunto dalle riflessioni dello storico ed antropologo del diritto Bachofen il
quale sostiene che le società primitive erano organizzate secondo un sistema
matriarcale. Una tale ipotesi è confortata dall’esistenza di un sistema di tipo
religioso che individua nella dea madre uno dei riferimenti. Ma non è il solo
elemento: la riproduzione nelle società primitive non veniva attribuita
all’atto sessuale e questo dato è suffragato da numerosi studi di etnologia e
di antropologia secondo cui nelle società primitive il concepimento della donna
dipende da divinità, o altre cause. Nelle società primitive di tipo matriarcale
il ruolo del maschio padre di fatto non esisteva, l’educazione della prole
veniva affidata al fratello della madre. E’ solo con la scoperta della funzione
dell’atto sessuale rispetto all’aspetto riproduttivo che il sistema sociale da
matriarcale si trasforma in patriarcale. Comunque non è solo l’aspetto
riproduttivo a segnare questo mutamento nell’assetto sociale; ma la nascita del
diritto di proprietà legato all’occupazione da parte di tribù di territori
specifici per cui da nomade si passa ad un sistema stanziale e la nascita della
famiglia che aveva nel padre il punto di riferimento, il capo. La successiva
trasformazione del sistema produttivo ha finito con il relegare la donna alla
funzione riproduttiva, al ruolo di custode del focolare domestico e alla
condizione di merce di scambio in funzione di alleanze tra tribù e clan
familiari.
La
trasformazione del sistema economico da feudale in industriale rende
insufficienti le rivendicazioni del femminismo liberale rispetto alle questioni
di uguaglianza e giustizia sociale. Per una donna appartenente al proletariato
rivendicazioni che attenessero solo il diritto di proprietà, di successione o la
possibilità di sposarsi liberamente apparivano rivendicazioni insufficienti:
per una donna proletaria, che nulla possedeva, non aveva senso rivendicare il
diritto di proprietà o di successione e, tutto sommato, di potersi sposare
senza imposizioni. Lo stesso Engels nel saggio “L’origine della famiglia, della
proprietà privata e dello Stato”, in alcuni passaggi più che alle donne
proletarie sembra rivolgersi alle donne appartenenti alle classi sociali medio
alte. Le donne appartenenti a famiglie
costrette a lasciare i campi e a trasferirsi in città, dove hanno dovuto
offrire le loro braccia in fabbriche con ritmi e condizioni di lavoro massacranti, pongono questioni quali orario
di lavoro, parità di salario, tutela della maternità, cura della famiglia e
così la lotta per l’emancipazione acquisisce prospettive che si intrecciano con
la lotta di classe e il superamento del capitalismo.
In
Italia rappresentanti del femminismo di ispirazione Socialista sono Anna
Kuliscioff [10], Maria
Montessori[11],
Sibilla Aleramo al secolo Marta Felicina Faccio, zia dell’esponente radicale
Adele Faccio. Rispetto alla Aleramo la questione è molto più complessa viste le
iniziali simpatie socialiste per poi passare al fascismo e di ritorno al
comunismo.[12]
Alle
correnti di pensiero Liberal – Femminista e Social – Femminista, il primo
femminismo affianca anche una corrente di pensiero anarchica, le cui esponenti
sono Voltairine de Cleyee soprattutto Emma Goldamann. Dal punto di vista delle
rivendicazioni politiche non si differenzia molto dal Femminismo di ispirazione
socialista.
Il
passaggio dall’800 al 900 si chiude con il movimento passato alla storia delle
“suffragette”, lo scoppio della Grande Guerra mette in una situazione di attesa
le rivendicazioni femministe. La Grande Guerra con l’impegno massiccio delle
donne nelle fabbriche per far fronte alla mancanza di braccia maschili
impegnate sui fronti fungerà da incubatore per l’acquisizione di una nuova e
diversa coscienza dell’essere donna.
La
prima metà del 900 secondo alcuni è segnato da una sorta di riflusso eppure a
guardare bene le riflessioni di alcune esponenti del mondo femminista Virginia
Woolf, Simone de Beauvoir e Betty Friedan è possibile trovare le tracce di ciò
che a partire dagli 60 e 70 la seconda ondata femminista.
La
Woolf in quello che è il suo più importante scritto riguardante la questione
femminista dal titolo “Le tre ghinee” fa emergere la diversa sensibilità della
donna rispetto a temi come la guerra. È possibile ipotizzare una vera e propria
anticipazione del femminismo della differenza. Simone de Beauvoir, in quello
che è il suo scritto/manifesto dal titolo “Il secondo sesso”, racchiude nell’aforisma
“donna non si nasce, lo si diventa” la sintesi del suo pensiero. L’essere
donna, per come si intende tradizionalmente è una costruzione culturale. Le
categorie che hanno, storicamente, determinato l’essere donna sono la maternità
forzata, i vincoli sociali oppressivi, i recinti intellettuali, il legame con
la spiritualità cristiana. La donna per emanciparsi deve liberarsi da quelli
che sono costrutti culturali. La stessa maternità se non voluta è un qualcosa
di cui liberarsi. Come scrive Vania Russo[13]
analizzando il pensiero della Beauvoir partendo dalla sua biografia <<La
maternità è uno dei più potenti motivi di angoscia per Simone de Beauvoir, che
nei suoi libri autobiografici racconta di sogni inquietanti e oscuri legati
alla maternità e al legame con sua madre, incubi in cui si uniscono ovuli,
embrioni, bambini feriti, infanticidio. Il disgusto per la fecondità femminile
si unisce al desiderio di matricidio e alla visione di cadaveri vestiti di
bianco, relazioni incestuose, spesso omosessuali. (…) La bisessualità della
filosofa si allinea al pensiero relativistico secondo cui non esistono valori
comuni a tutti gli uomini e a tutte le donne, ma solo “coniugazioni al
singolare” , esiste la singolarità, non esistono i ruoli sociali, e non
esistono schemi universali(…). >>. In conclusione la donna per diventare tale,
per la de Beauvoir, deve operare affinché la famiglia patriarcale venga
distrutta e per la liberazione della donna dal ruolo di madre, per cui aborto e
contraccettivi diventano fondamentali. In merito la stessa de Beauvoir presso
la sua abitazione a Parigi istallerà un laboratorio per favorire l’aborto clandestino.
La de Beauvoir anticipa i temi di quello che è pensiero dominante nell’ambito
del dibattito sull’emancipazione della donna, ossia il trans femminismo.
Terza
ed ultima Betty Friedan. In questa fase di passaggio la Friedan è importante
perché grazie alla sua ricerca mette a nudo la narrazione patinata del modello
di donna americana degli anni 50 e 60. A puro titolo esemplificativo penso al
film interpretato da Kate Winslet, Revolutionary Road o a Mona lisa Smile con
Julia Roberts.
Siamo arrivati agli anni 60, sono gli anni
della contestazione che parte dalle università americane tra queste Berkeley
per arrivare in Europa, a Parigi con il “Maggio Francese”, in Italia,
Germania con l’occupazione delle
università. Il film “Fragole e sangue” rappresenta ciò che succede nelle
università americane ma più in generale in tutte le università occidentali. La
“seconda ondata femminista” si inserisce nel contesto complessivo rappresentato
dai movimenti contestatari di quegli anni. Il filosofo J.P. Sartre con la sua
compagna de Beauvoir per l’appunto vengono presi a modello dalle nuove
generazioni alla ricerca di nuovi modelli di vita e di relazioni sociali. Gli
scritti di filosofi come Marcuse, Foucoault, Derrida, Lyotard, sono quelli che
ispirano le riflessioni di quegli anni. La canzone Contessa di Paolo
Pietrangeli tra le rivendicazioni operaie annovera non solo gli aumenti
salariali e l’aspirazione ad avere il figlio dottore ma anche il libero amore.
Lidia Ravera con il suo romanzo “Porci con le ali” rappresenta uno spaccato di
quegli anni. H. Serkowska[14]scrive
di lei: <<Ravera esordisce nel luglio del 1976 con Porci con le ali,
progettato come un libro – volantino, un pamphlet, un opuscolo di circolazione
interna, nato dietro all’imperativo categorico di “cambiare il mondo prima che
il mondo cambi noi” , e comunque di cambiare (cosa che parrebbe una bella
utopia, ma chi poi infatti si rivelò l’inizio dei cambiamenti sociali e
politici del 900 se non la grande politica dei rapporti di forza), almeno
quelle “piccole cose” della vita individuale, affettiva dei rapporti fra le
persone. La scrittrice, sempre attenta ai reali problemi della società
italiana, si fa carico di presentare la contestazione giovanile studentesca e
operaia, ma illustra soprattutto l’apporto del femminismo ai grandi, epocali
cambiamenti sociali tra cui la de tabuizzazione dell’eros in genere ( nel libro
esso diventa una metafora politica), una maggiore comprensione e tolleranza
verso chi ( omosessuale, mentecatto) non è più considerato un malato bensì un
diverso, la scoperta e la rivalutazione del privato, ecc. (…). Quello ostentato
dalla giovane Antonia ( che riempie a quattro mani con Rocco le pagine del loro
diario) è un femminismo arrabbiato, confrontativo ( gli anni 70 , sostiene la
Ravera, erano dei bei tempi, perché allora la parola “femminista” non
equivaleva ancora a un insulto), a cui seguirà un lento e faticoso ( già
rinvenibile nel suo libro d’esordio) germogliare del femminismo della
differenza, all’epoca intriso del vieto spirito rivendicativo,
emancipativo(…)>> .
La
fine degli anni 60 e i primi anni 70 del 900 avviano quel processo di
destrutturazione della società borghese e anche della lotta di classe che le si
contrapponeva. Ad essere messi in discussione in nome della libertà individuale
sono la famiglia tradizionale, patriarcale e borghese insieme, i partiti
politici, le istituzioni. La seconda ondata femminista non nega le conquiste
dei decenni precedenti, non rivendica più l’uguaglianza con il maschio ma la
differenza. Il pensiero femminista si articola in diverse correnti e sottocorrenti.
Ai fini dell’economia del mio ragionamento restringo lo spettro della
riflessione e mi limito ad affrontare il femminismo italiano, nello specifico
il femminismo della differenza e il fenomeno del trans femminismo. Rispetto al
femminismo della differenza ispirato dal pensiero della pensatrice francese
Luce Irigaray[15]<<
Le nostre società presentano quindi due mancanze, due rimozioni, due
ingiustizie o anomalie:1) le donne, che hanno dato la vita all’altro e lo hanno
cresciuto in sé, vengono escluse dall’ordine dell’“uguale a loro” creato solo
dagli uomini ; 2) la bambina, pur concepita da un uomo e da una donna,non è
ammessa nella società come figlia del padre allo stesso titolo del maschietto,
ma rimane fuori della cultura, custodita come corpo naturale buono per la
procreazione(…) Per ottenere uno statuto soggettivo equivalente a quello degli
uomini, le donne devono quindi far riconoscere la loro differenza. Devono
affermarsi come soggetti che valgono, figlie di madre e di padre, rispettose
dell’altro che è in loro e capaci di esigere dalla società il medesimo
rispetto>>. In Italia l’esponente di spicco del femminismo della
differenza è Adriana Cavarero.[16]
Nel libro intervista, curato da un’altra esponente del femminismo italiano
Elvira Roncalli,[17]
emergono in modo chiaro le varie posizioni rispetto a ciò che si intende per
femminismo della differenza così come si esprime la Muraro [18]<<
(…) il femminismo della differenza è un nome coniato secondariamente per
differenziarci da quelle femministe che, in nome dell’ideale dell’uguaglianza,
sostenevano una politica della parità uomo – donna(…)>> continua oltre << La differenza,
invece, ha un significato più specifico : la differenza sottolinea qualcosa per
cui non c’è identità, non è un qualcosa qualunque, ma qualcosa di determinato,
anzi determinante. Cosa è successo con la differenza sessuale? È successo il
fatto di essere sessuati, che la vita si riproduce tra due esseri viventi della
stessa specie, ma differenti. Sarebbe necessario soffermarsi su come la specie
umana ha reso conto della differenza sessuale attraverso la lingua, la cultura
e come influisce sulla consapevolezza di ogni persona. (…)>>. Nel
prosieguo dell’intervista << (…) La fine del dominio maschile è un
processo in corso, e “rivoluzione simbolica” mi pare il suo nome più
appropriato nella cultura occidentale. Atri nomi e altre letture sono
possibili; quella che mette in risalto il primato della relazione materna è per
l’Occidente una riscoperta, per altre culture è una conferma (…)>>
Ma
tra le femministe italiane colei che evidenzia in modo forte la necessità di
mettere in risalto la differenza tra uomo e donna è senza dubbio Carla Lonzi. In
quello che è il suo scritto più importante “Sputiamo su Hegel – La donna
clitoridea e la donna vaginale” esordisce dicendo che ha scritto questo saggio
<<perchè ero rimasta molto turbata constatando che quasi la totalità
delle femministe italiane dava più credito alla lotta di classe che alla loro
oppressione. >>[19].
Sin dalla premessa la Lonzi pone in modo forte la sostanziale differenza tra il
mondo maschile – patriarcale e il mondo delle donne. Per la Lonzi la lotta di
classe, le battaglie politiche e sociali per l’uguaglianza ecc. sono solo
funzionali al predominio dell’uomo sulla donna. Scrive sempre la Lonzi <<
La donna non va definita in rapporto all’uomo. Su questa coscienza si fondano
tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà. L’uomo non è il modello a cui
adeguare il processo della scoperta di sé da parte della donna. La donna è
l’altro rispetto all’uomo. L’uomo è l’altro rispetto alla donna. L’uguaglianza
è un tentativo ideologico per asservire la donna a più alti livelli.
Identificare la donna all’uomo significa annullare l’ultima via di liberazione.
Liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell’uomo perché
è invivibile, ma esprimere il suo senso dell’esistenza (…)>> continua
oltre << L’immagine femminile con cui l’uomo ha interpretato la donna è
stata una sua invenzione. Verginità, castità, fedeltà, non sono virtù; ma
vincoli per costruire e mantenere la famiglia. L’onore ne è la conseguente codificazione
repressiva. Nel matrimonio la donna, privata del suo nome[20]
,perde la sua identità significando il passaggio di proprietà che è avvenuto
tra il padre di lei e il marito(…)>>. Il matrimonio, la famiglia, il fare
figli, persino l’aborto, pur essendone a favore, sono tutti strumenti che la
Lonzi considera di dominio dell’uomo sulla donna. In sputare su Hegel, ossia
come si esprime la stessa Lonzi << La dialettica servo – padrone è una
regolazione di conti tra collettivi di uomini: essa non prevede la liberazione
della donna, il grande oppresso della civiltà patriarcale. La lotta di classe,
come teoria rivoluzionaria sviluppata dalla dialettica servo – padrone,
ugualmente esclude la donna. Noi rimettiamo in discussione il socialismo e la
dittatura del proletariato.(…)>>[21]La
Lonzi contesta, dicevo, il principio dell’uguaglianza. Essere uguali all’uomo equivale ad essere compartecipi
dei fallimenti dell’uomo. Tra i vari fallimenti la Lonzi contempla il conflitto
bellico, il colonialismo, il razzismo ecc. <<L’uguaglianza è un principio giuridico: il denominatore
comune presente in ogni essere umano a cui va reso giustizia. La differenza è
un principio esistenziale che riguarda i modi dell’essere umano, la peculiarità
delle sue esperienze, delle sue finalità, delle sue aperture, del suo senso
dell’esistenza in una situazione data e nella situazione che vuole darsi.
Quella tra donna e uomo è la differenza di base dell’umanità (…)>>[22]
Per la Lonzi il marxismo ha sostanzialmente confermato il sistema patriarcale
del quale la donna è vittima. Lo stesso Marx viene descritto come il tipico
“(…) marito tradizionale, assorbito dal lavoro di studioso e di ideologo,
carico di figli tra cui uno avuto dalla cameriera(…) >>. Per la Lonzi la
questione è la liberazione della donna dai vincoli culturali che l’hanno
relegata in un ruolo subordinato rispetto all’uomo per cui la “rivolta
femminile” deve essere di tipo culturale. Per la Lonzi la genesi della
sottomissione della donna è precedente alla nascita stessa della proprietà privata.
Rintraccia la genesi di tale sottomissioni nelle modalità secondo le quali la
donna e l’uomo raggiungono l’orgasmo. Da qui la differenza tra la donna
clitoridea che assurge a simbolo della liberazione della donna, e la donna
vaginale simbolo della sottomissione della donna al potere del maschio. L’orgasmo vaginale, per la
Lonzi, è una costruzione culturale funzionale al potere maschile e all’aspetto
riproduttivo e quindi lo svilimento del ruolo della donna all’interno del
sistema sociale come semplice fattrice. Il femminismo della Lonzi attiene a
questioni di tipo esistenziali e fortemente individualista avvicinabile
all’anarco individualismo di Max
Stirner. [23]
A
partire dalla fine degli anni 90 il pensiero femminista si intreccia con altre
istanze quali il movimento lesbico, gay, istanze ambientaliste e con lo stesso
neoliberalismo. Al nuovo corso ha contribuito il pensiero post-moderno. Il
ruolo avuto da Derrida, Lyotard e soprattutto Foucault negli USA dove si parla
di French Theory ha influenzato il pensiero femminista rappresentato dalla
Teoria gender elaborata da Judith Butler. Il concetto fondamentale di tale
teoria filosofica ruota attorno alla differenza tra sesso e genere.
Semplificando al massimo ciò che sostanzialmente sostiene il movimento LGBTQ + il sesso naturale si distingue dal genere
perché quest’ultimo non è determinato naturalmente ma dal condizionamento
culturale, dal contesto storico e quindi dall’educazione. Dicevo, il femminismo
a partire dalla fine del 900 intrecciandosi con altre istanze si articola in
diversi filoni di pensiero. In Italia il femminismo della differenza viene
interpretato, tra le altre, dalla Lonzi e dalla Cavarero. Oltre oceano emergono
istanze femministe che si intrecciano con altre esperienze in particolare il
radicalismo lesbico per dirla con Ti – Grace Atkinson << Il femminismo è
la teoria, il lesbismo è la pratica>> . La A. Koedt è fin troppo chiara
<< Che cosa è una lesbica? Una lesbica è la rabbia di tutte le donne
condensata al punto di esplosione >> andando oltre << il lesbismo
come l’omosessualità maschile, è una categoria di comportamento possibile solo
in una società sessista caratterizzata da rigidi ruoli sessuali e dominata
dalla supremazia maschile (…)>>[24]
Cito la Koedt per evidenziare come si avvia un processo di elaborazione teorica
che passando per la teoria di Judith Butler arriva alla queer theory[25]
per poi arrivare al manifesto di Emi Koyama[26]teorica
del transfemminismo. Tra le femministe la filosofa Donna Haraway[27]
merita un’attenzione particolare per la prospettiva distopica nella quale
immagina “un organismo cibernetico, un ibrido di macchina e organismo, una
creatura che appartiene tanto alla realtà sociale che alla finzione” di fronte
ad una tale realtà le differenze scompaiono lasciando il posto ad una massa di
individui non meglio identificabili, il massimo per un sistema economico anarco
liberale dove ogni cosa è ricondotta alla logica dello scambio e del mercato. A
fianco del femminismo della differenza, con le sue critiche alle battaglie
politiche per l’uguaglianza, troviamo una corrente di pensiero che nella
filosofa Nancy Fraser trova una delle maggiori interpreti. Nel manifesto[28]
scritto con altre esponenti femministe, come nel suo ultimo scritto[29], sostiene che, in linea di massima, il
femminismo dell’uguaglianza è stato fatto proprio dal pensiero neoliberale per
cui l’emancipazione si è tradotta in una accettazione acritica del sistema di
sfruttamento e di diseguaglianza del sistema economico neoliberale. La Fraser
propone come alternativa un femminismo sostituto della lotta di classe da
coniugare con il movimento ambientalista, con il movimento per i diritti LGBTQ +
e con il movimento che si oppone alle politiche neocoloniali proprie
dell’Occidente. La Fraser pensa in sostanza di sostituire la classe operaia,
antitesi del sistema capitalista, con la “classe sociale delle donne” che, al
fine della costruzione di un blocco sociale alternativo, si allea con movimenti
che, partendo da istanze ambientaliste e di rivendicazione dei diritti civili,
si oppone al capitalismo neoliberale. Il punto è che il femminismo, influenzato
dal post modernismo e dal post strutturalismo, finisce con l’essere funzionale
a quel sistema capitalista neoliberale che ha nell’esaltazione individualista
il fondamento.
Il
femminismo, per così dire contemporaneo, ossia il femminismo che nel titolo
della mia relazione definisco mainstream, riducendo il sistema di relazioni
sociali a mera costruzione culturale rende ogni visione opinabile ed individuale per cui ogni cosa finisce con
l’essere relativizzata diventando legittima se quella determinata istanza è
acquistabile nell’unico spazio sociale rimasto ossia il mercato.
Di
questo pericolo, insito nel femminismo mainstream, sono consapevoli diverse
esponenti femministe e lo provano le prese di posizione rispetto a pratiche come
l’utero in affitto o, come è successo qualche anno fa, rispetto al D.D.L. Zan.
Tra queste femministe mi piace citare in particolare Sylviane Agacinski. [30] perché è stata oggetto di un vero e proprio
attacco squadrista da parte di esponenti del movimento LGBTQ+ che le hanno
impedito di tenere la propria conferenza presso l’Università di Bordeaux.
Scrive la Agacinski a proposito della pratica dell’utero in affitto <<Il
problema del rapporto dell’uomo con il suo corpo è, tuttavia, oggi più che mai
un nostro problema. (…) L’uomo dei Tempi moderni si è, infatti, convinto di non
essere altro che un prodotto della sua cultura e delle sue tecniche. Si
considera il fabbricante di sé stesso e dei suoi discendenti, grazie alle
biotecnologie, e all’uso di risorse biologiche d’origine umana. A spese di chi?
Dal momento che la “bioetica” sembra aver perduto ogni punto di riferimento, mi
pare importante considerare la dimensione morale e sociale di tale inquietante
produttivismo, esteso alla vita stessa.>>[31]
Continua oltre << La potenza tecno – scientifica regna oggi sull’intera
natura, compresa quella dell’uomo stesso. Un uomo nuovo si va delineando, non
più in sogno o nell’aldilà, ma quaggiù, sulla terra. I nuovi credenti intendono
scambiare le loro vecchie “tuniche di pelle” con un corpo di cui saranno i
“fabbricanti sovrani”: corpo ripristinato e migliorato, corpo senza padre né
madre, e non più generato; corpo ricostruito e neutro, oltre l’uomo e la donna;
corpo sempre meno vulnerabile ma sempre meno vivente. Ma a che prezzo?>>[32]Il
presupposto ideologico nelle parole dalla Agacinski è nell’esaltazione
individualista e nella logica del mercato. Se queste sono le categorie
filosofiche ed insieme economiche, la questione dell’utero in affitto, più in
generale del “corpo costruito”, è stata risolta sul piano giuridico dai giudici
californiani che hanno sancito il principio
che<< è l’intenzione di far nascere un figlio che designa i
genitori. Quanto ai genitori utilizzati – madre o padri “surrogati” – vengono
semplicemente cancellati (…)>> siamo in presenza di presupposti giuridici
che creano le condizioni per nuovi mercati. Uno studio attento di K. Polanyi[33]aiuterebbe
a comprendere le dinamiche in corso.
Avviandomi
alle conclusioni mi piace citare uno studio inedito del filosofo Antonio Martone[34].
Nel suo saggio utilizza il concetto di “mentalizzazione” del corpo <<
Tale impostazione – che è filosofica, scientifica politica e pratica – ha
comportato una sorta di dimenticanza della radice corporea dell’essere umano, a
beneficio della sua dimensione razionale e concettuale. In questo senso, i
moderni considerano il corpo un oggetto di studio e di manipolazione fra gli
altri, e spesso ridotto a un insieme di parti anatomiche e processi biologici
da analizzare e gestire. Nello stesso modo, e per le medesime ragioni, il
“corpo del mondo” nel moderno, è diventato un’immensa frontiera da “segnare” e
attraversare.>>. Il combinato disposto tra ideologia trans femminista e
capitalismo neoliberale, costruendo le condizioni per attraversare la frontiera
alla quale fa riferimento Martone, svincolato da un’etica comunitaria e della
solidarietà, è il presupposto per un sistema distopico. La soluzione è nella
definizione di un’etica capace di ricostruire la naturale comunione tra uomo e
donna come parte di un tutto rappresentato dall’universo come sistema ecologico
e di relazioni sociali.
[1]Introduzione di ChristaneKlapisch – Zuber in di George
Duby – Michelle Perrot. Storia delle donne . Il Medioevo. Ed Laterza 1990 pag.
3
[2] AG
AboutGender. International
journal of gender studies. Vol. 8 N° 15 anno 2019 pp. 1- 42 di Lucia Re
[3] Platone.
La Repubblica. Libro V pagg. 167 – 168 Ed. Laterza 2018
[4]
George Duby – Michelle Perrot. Storia delle donne . Il Medioevo. Ed Laterza
1990
M.L.King la
donna del Rinascimento in a cura di E.
Garin. L’Uomo del Rinascimento Ed. Giuseppe Laterza & figli 1988
[5] Lucy K.
Mangan. Il libro del femminismo. Ed. Gribaudo 1990
[6] V.
Russo. Radiografia del Femminismo. Storia, idee e protagoniste della
sovversione progressista. Ed. Passaggio al
bosco, pag. 9 anno 2021
[7]
Alessandro Mulieri. Il pensiero di Pandora. Donne e politica dall’antichità al
Settecento. Ed. Carocci . 2023
In Studi di
Storia della Filosofia del Diritto. Un
dialogo su Olympe del Gouges. A cura di Thomas Casadei e Lorenzoi Milazzo. Ed.
ETS 2021
[8] Ibidem
nota 6 pag. 15
[9] J.S.
Mill La servitù delle donne. Ed Clandestine 2019
J.S. Mill.
Saggio sulla libertà. Ed. il Saggiatore 2002
[10]
Fondazione Nilde Iotti. L’Italia delle donne Sett’anni di lotte e conquiste.
Donzelli Editore 2018
Franca
Pieroni Bortolotti. Socialismo e Questione Femminile in Italia : 1892 – 1922
Ed. Mazzotta 1975
Franca
Pieroni Bortolotti Alle origini del movimento femminile in Italia, 1848 -1892
Ed. Einaudi 1975
G.
Berlinguer. La Legge sull’aborto. Editori Riuniti 1978
[11] Valeria
P. Babini e Luisa Lama. Una “donna nuova”. Il socialismo scientifico di Maria
Montessori . Ed. Franco Angeli 2000.
[12] Ibidem
nota 6 pag. 115
[13] Ibidem
nota 6 pagg. 227 – 229
[14] Cahiers
d’etudiesitaliennres, n° 7 , 2008, p. 149 – 158
Dall’uguaglianza alla differenza e oltre. Romanzi – testimonianza di
Lidia Ravera- Universitè de Varsovie
[15] L.
Irigaray. Io tu noi. Per una cultura della differenza. Bollati Boringhieri,
1992
Il pensiero
della differenza sessuale. Istituto Italiano Edizioni ATLAS .
[16] A.
Cavarero. Il pensiero della differenza sessuale. La tartaruga, Milano 1987.
[17] E.
Roncalli. Il fututo è aperto. Storia e prospettive del femminismo italiano.
Inteviste a Lea Melandri, Luisa Muraro, Adriana Cavarero, Rossana Rossanda.
Prospero Editore 2023
[18] Ibidem
nota 17 pag. 161, pag. 171 , pag. 189
[19] C.
Lonzi. Sputiamo su Hegel – La donna clitoridea e la donna vaginale e alti
scritti. 1970 – 1971. Rivolta femminile pag. 8
[20] Ibidem
nota 19 . Il saggio della Lonzi risale a prima della riforma del diritto di
famiglia che consentirà alla donna il mantenimento del proprio cognome da
nubile.
[21] Ibidem
nota 19 pag. 18
[22] Ibidem
pag. 20
[23] M.
Stirner. L’unico e la sua proprietà. Ed. Adelphi 1999.
[24] A. Koedt . Lesbianism and
Femminism. Consultabile in rete
[25] J.
Butler . Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità. Ed.
Laterza 2013
J. Butler.
In Dialoghi sulla sinistra. Contingenza, egemonia, universalità. ( con E.
Laclau e S. Zizek), a cura di Laura Bazzicalupo. Ed. Laterza , 2010
[26] Emi
Koyama. Manifesto Transfemminista. Scaricabile dal sito https://www.academia.educational.it
[27] D.
Haraway. Manifesto Cyborg. Ed Hoepli
1985.
[28] C.
Arruzza, T. Bhattacharya, N. Fraser. Femminismo per il 99%. Un manifesto. Ed.
Laterza 2019
[29] N.
Fraser . Capitalismo cannibale. Ed. Laterza 2023
[30] S.
Agacinski. L’uomo disincarnato. Dal corpo carnale al corpo fabricato. Ed.
NeriPozza2020
[31] Ibidem
nota 30 pagg. 25 e 26
[32]Ibidem nota
30 pagg. 28 e 29.
[33] K.
Polanyi. La grande trasformazione. Ed. Einaudi . 2010
[34] A. Martone. Lo specchio dell’altro. Ta capitalismo e memoria del corpo. Saggio inedito del 24/02/2024