Il significato
originale del termine latino conflictus,
vale a dire “urto, scontro“,
esprime una delle sue accezioni più esaustive se riferito al contesto storico
latinoamericano degli ultimi due secoli, vale a dire dal conseguimento
dell’indipendenza della maggior parte degli Stati attuali ad oggi. Infatti,
conflitto nella nostra lingua, oltre alle generiche articolazioni figurative
derivate direttamente dal latino, “urto, contrasto, opposizione”,
assume molteplici declinazioni in vari specifici campi, dalla sociologia alla
psicologia arrivando sino al diritto. Pur tuttavia, nell’utilizzo quotidiano il
concetto al quale viene fatto comunemente riferimento “combattimento,
contesa rimessa alla sorte della armi, scontro armato, guerra”, se da un
lato può risultare calzante per alcune macroregioni terrestri, dall’altro
assume caratteri restrittivi e limitanti per quanto riguarda l’America Latina.
Nel sub continente in questione, infatti, a fianco delle più
tradizionali guerre fra entità statuali si sono verificati una gamma alquanto
ampia di scontri, lotte e contrapposizioni. Dall’inizio del XIX secolo alle
guerre d’indipendenza contro le potenze coloniali europee, si sono aggiunti i
conflitti armati fra Stati latinoamericani, quelli fra questi ultimi e le
potenze esterne all’area, gli interventi militari imperialistici, le guerre
civili, le guerriglie organizzate e le rivoluzioni e, infine, un variegato
ventaglio di conflitti interni agli Stati, non necessariamente armati.
Il retaggio storico
Nella quasi totalità dei Paesi latinoamericani, duecento anni di
indipendenza non sono stati sufficienti ad affrancarsi dal retaggio di tre
secoli di dominazione coloniale iberica, la quale, oltre a segnare
irreversibilmente la storia dei popoli amerindi, costituirono, nel loro
sonnolento scorrere, il crogiuolo nel quale si formarono la struttura economica
e la stratificazione sociale multietnica lasciate poi in eredità agli stati
formatisi con la decolonizzazione.
Le colonie latinoamericane, dal punto di vista produttivo vennero
integrate nel sistema economico transatlantico in funzione dei bisogni e delle
strategie delle società europee determinando un modello di “esogeneità
economica”, mantenuto anche successivamente all’indipendenza, soprattutto
a seguito del ruolo fondamentale assunto dai ceti dominanti in tale modello
economico.
Neanche gli apporti demografici, soprattutto europei, intervenuti
successivamente riusciranno a modificarne in profondità né l’organizzazione
sociale, né, tanto meno, i rapporti interni di dominazione politica ed
economica che resteranno caratterizzati dall’egemonia delle oligarchie
nazionali.
Un termine quest’ultimo che presenta la specificità di definire un gruppo
sociale la cui rilevanza nei Paesi latinoamericani non si limita alla sua
funzione economica ma assume significato e ruolo assai più ampio. Si tratta,
infatti, di un ceto sociale, principalmente composto dai facoltosi discendenti
dei primi colonizzatori ispanici e sin dalla sua formazione connesso
all’economia globale in qualità di fornitore di beni primari, ma che non è
corretto definire tout court come borghesia agro-esportatrice.
Secondo alcuni storici infatti si tratta di “una classe di governo
consapevole e unita intorno ad un progetto nazionale”, mentre secondo
altri viene semplicemente definita come “un gruppo di notabili”[1],
mettendo in evidenza, per esaustività di comprensione, anche la dimensione
politica del ceto oligarchico.
Come ha rilevato lo storico Francois Bourricaud a proposito del Perù
“l’esistenza di una asimmetria sociale” o di un “effetto di
dominazione a favore di una minoranza” non è sufficiente a definire
un’oligarchia, quanto invece “le disuguaglianze cumulative”, vale a
dire l’identificazione dei notabili sociali e notabili economici, quindi la
confusione dei poteri, a generare l’oligarchia[2]. Al
quale è necessario aggiungere la sedimentazione temporale: vale a dire la
durata plurisecolare del fenomeno dettata dal suo carattere ereditario
“patrizio” che attraversa le varie generazione delle famiglie.
Nella specificità storica, sociale, economica del subcontinente
latinoamericano lo storico Alain Rouquié arriva all’esaustiva definizione di oligarchia
come “un gruppo di famiglie identificabili che concentrano nelle loro mani
le leve decisive del potere economico, controllano direttamente o
indirettamente il potere politico e si collocano al vertice della gerarchia del
potere sociale in materia di autorità e prestigio”[3].
L’origine delle oligarchie latinoamericane affonda storicamente le
proprie radici nella proprietà fondiaria, senza che ciò tuttavia spinga ad
indurre che si tratti di “gruppi arcaici rappresentativi di settori
precapitalistici rurali”[4], in
quanto i reali connotati risultano quelli di una élite modernizzante che ha
tratto la propria legittimità storica dal processo di inserimento dell’economia
nazionale nel mercato mondiale. Inoltre, la formazione dell’oligarchia come
ceto dominante e l’accettazione del suo ruolo sono risultate legate a doppio
filo alla prosperità economica che il modello di sviluppo esogeno ha potuto o
meno garantire nel corso secoli.
I componenti di questo ceto risultano soggetti economici dinamici,
attenti alle innovazioni e alle trasformazioni in atto, nonché propensi all’utilizzo
dei poteri pubblici per il conseguimento dei propri interessi.
Gruppi di famiglie facoltose
abitualmente dedite ad un modello di consumo tipico delle classi dominanti
europee che è stato, e viene tutt’ora, ostentato come elemento identificativo
del loro status sociale egemone. Il quale, al pari della vita culturale, ha
finito per rappresentare l’emblema di tali ceti eletti che, in quanto classi
colte, hanno ottenuto una liceità approvata e contrassegnata proprio dal
carattere universale del progresso.
Le oligarchie latinoamericane, come visto, orientate per vocazione
storica all’esterno e legittimate in funzione dell’inclusione delle economie
nazionali nel contesto della divisione internazionale del lavoro, non
corrispondono pertanto né a semplici borghesie interne, né a borghesie compradore dedite in primis alla
compra-vendita.
Si tratta invece di elite nazionali
che assumono ruolo polifunzionale nelle varie tipologie di relazioni intessute
con l’estero, le quali, nonostante la vocazione cosmopolita e la connessione
con gli affari internazionali, non è appropriato ritenerle delle semplici
rappresentanti di tali interessi. La dipendenza, volutamente ricercata, dai
poteri sovranazionali ne costituisce infatti tratto saliente e distintivo, in
quanto è attraverso la consapevole assunzione di ruolo di mediatore presso i
potentati internazionali che le oligarchie riescono a massimizzare la propria
potenza economica e politica e a consolidare il proprio ruolo dominante
interno.
L’origine storica delle oligarchie
Il processo di colonizzazione vera e propria del subcontinente
latinoamericano, seguito alla fase di esplorazione geografica e di conquista
militare, ha determinato la formazione di nuove società multietniche, con
diversa combinazione delle tre componenti, ispanica, amerindia e nera africana;
nel cui contesto la posizione apicale è stata assunta dai bianchi e in
particolare dai giovani nobili o alto borghesi che si erano trasferiti nel
Nuovo Mondo nell’ottica di arricchirsi e valere di più (valer màs). Il modello organizzativo economico-politico-sociale
introdotto si ispirava inevitabilmente a quello iberico del XVI secolo: il
Feudalesimo.
A fianco delle terre attribuite per ricompensa ai soldati partecipanti
alla conquista, la parte preponderante delle stesse, venne assegnata dalle
corone iberiche in concessione temporanea a tali intraprendenti signorotti
tramite l’istituto giuridico delle encomiendas.
Vasti appezzamenti fondiari, comprensivi degli indios ivi risiedenti, che
dovevano essere amministrati dagli encomenderos
assolvendo ad alcuni obblighi: la difesa militare degli stessi, lo sviluppo
dell’agricoltura da esportazione tramite le piantagioni, la riscossione dei
tributi per conto della corona e la diffusione del Cattolicesimo.
Le relazioni di vassallaggio alla base delle encomiendas, con lo scorrere dei decenni, finirono per allentarsi
determinando la trasformazione delle concessioni temporanee in proprietà
definitive dando vita a estesi latifondi, i quali, con l’indipendenza di inizio
‘800, sono stati mantenuti o addirittura ampliati. L’emancipazione delle
colonie latinoamericane risultò quindi ristretta alla sola sfera politica,
senza intaccare la dimensione culturale
e quella sociale.
L’aristocrazia terriera,
protagonista dell’indipendenza insieme alla borghesia illuminata, una volta
scardinato il potere coloniale iberico, si impadronì del potere politico, sovente
respingendo le richieste di giustizia sociale delle masse diseredate indigene e
meticce. Le condizioni di queste ultime, talvolta, subirono addirittura un
peggioramento in quanto con l’indipendenza le terre comunitarie indigene, che
le corone iberiche avevano in qualche modo tutelato, finirono per subire il
frazionamento e l’espropriazione da parte dei latifondisti.
La struttura sociale multietnica e
disarticolata
Il conseguimento dell’emancipazione dal dominio coloniale, tramite una
serie di conflitti armati combattuti contro Spagna e Portogallo fra il 1808 e
il 1833, non comportò sostanziali mutamenti nella struttura sociale dei nuovi
stati latinoamericani, salvo l’abolizione della schiavitù che, ad eccezione di
Haiti dove venne ottenuta nel 1792 addirittura 12 anni prima dell’indipendenza
dalla Francia[5],
fu raggiunta in quasi tutte le repubbliche indipendenti dell’America
continentale, dopo la conquista dell’indipendenza, nella prima metà del XIX
secolo.
In Brasile le resistenze
dell’oligarchia, la cui prosperità era in larga misura basata sul lavoro coatto
degli schiavi nelle piantagioni di caffè[6], canna
da zucchero e cacao[7],
portarono alla sua abolizione definitiva solamente nel 1888[8] (carta
1), mentre la Spagna la concesse a Porto Rico nel 1873 e Cuba la ottenne nel
1886 come effetto della prima sanguinosa guerra di indipendenza contro la
Spagna, la Guerra dei dieci anni (1868-1978).
Carta 1: la presenza di manodopera agricola nel Brasile del XIX sec: coatta in viola e libera in fucsia
Nella Isla grande diversi
proprietari terrieri illuminati, peraltro avanguardia del movimento
indipendentista, avevano già proceduto autonomamente alla liberazione degli
schiavi, una parte dei quali finirono per impegnarsi nelle guerre di
indipendenza contro la Spagna. Fra questi il ricco proprietario terriero Carlos
Manuel de Céspedes che, dopo aver concesso la libertà ai suoi schiavi il 10
ottobre 1868, procedette alla fondazione un esercito di liberazione nazionale
dando avvio, guidandola militarmente, alla Guerra dei dieci anni, la quale
registrò tuttavia la vittoria spagnola. Gli indipendentisti cubani dovettero
affrontare altre due guerre, la Piccola guerra (1879-80) e la Guerra
d’indipendenza cubana (1895-98) che, seppur quest’ultima quasi vinta ne venne
vanificato l’esito dall’intervento militare statunitense del 1998[1]
portando ad un’indipendenza solamente formale nel 1902, facendo divenire Cuba
di fatto un Protettorato di Washington fino all’effettiva indipendenza raggiunta
con il trionfo della rivoluzione castrista del 1 gennaio 1959.
Gli ex schiavi di origine africana,
presenti soprattutto nei Caraibi e nelle regioni atlantiche a clima tropicale
(carta 2), una volta diventati liberi finirono inevitabilmente in basso nella
scala sociale, al pari delle popolazioni amerindie negli stati in cui erano
ancora presenti, soprattutto nell’area istmica e andina, mentre al centro della
scala sociale si collocarono principalmente i bianchi di origine europea di
estrazione popolare, mentre al vertice la ristretta oligarchia creola, vale a
dire i discendenti dei primi colonizzatori iberici di origine nobile e
alto-borghese.
Carta 2: popolazione di discendenza africana stimata negli stati latinoamericani nel 2020: in rosso in percentuale e in azzurro in valore assoluto. Fonte: Cepal
In base alle interpretazioni di alcuni storici, l’eterogeneità delle
società degli stati latinoamericani considerata esclusivamente sulla scorta
delle disparità socio-economiche, viene ricondotta alla coesistenza di due poli:
uno moderno e l’altro tradizionale.
Secondo lo storico Alain Rouquié, la situazione risulta, invece, alquanto
più complessa poiché, se è possibile concordare sulla presenza di due distinte
società all’interno degli stati latinoamericani, non è corretto limitarsi ad
evidenziare la condizione di arretratezza di quella tradizionale rispetto
all’altra. Infatti, è opportuno rimarcare che il “dualismo sociale”
costituisce storicamente un elemento strutturalmente stabile di tali Paesi. Se il
polo definito tradizionale ha, da un
lato, indubbiamente assunto posizione subalterna rispetto a quello
moderno, dall’altro ne è tuttavia risultato strutturalmente complementare.
Quest’ultimo peraltro non ha mai teso a trasformare in senso modernizzante il
primo perché la sua esistenza si è rivelata fondamentale per il mantenimento
del suo stesso status dominante. La presenza storica di settori non sviluppati
che forniscono un “esercito” di manodopera a buon mercato o la
permanenza di sacche urbane di lavoro sommerso e informale, costituiscono
fenomeni storicamente consolidati spiegabili tramite il dominio del polo
moderno su quello tradizionale.
Dal punto di vista storico, secondo Rouquié, il rapporto dialettico delle
strutture di dominazione è assai più efficace ad interpretare la
disarticolazione delle società latinoamericane, rispetto alla presunta
contrapposizione fra il polo moderno e quello tradizionale. In sostanza, i
gruppi dirigenti de los de arriba,
letteralmente “quelli di sopra”, sulla scorta della continuità
storica e della staticità delle strutture sociali, nel corso dei secoli hanno
al contempo assunto sia aspetti moderni, sia atteggiamenti arcaici: infatti, se
da un lato si sono posti all’avanguardia nel progresso tecnico ed economico, dall’altro
sono risultati senza dubbio socialmente e politicamente arretrati, essendo
stati disposti a mantenere il potere e i rapporti di dominio ricorrendo anche
alla forza brutale.
Possiamo pertanto affermare come la fusione di valori e comportamenti
dualizzati derivi dal ruolo assunto da questi ceti sociali nel contesto del
“sistema globale”, in quanto, essendo garanti della dominazione
esterna, sia politica da parte dell’imperialismo, che economica delle
multinazionali, si sono accaparrate le necessarie legittimazioni esterne per
garantirsi la propria dominazione interna.
Le oligarchie modernizzanti sono pertanto risultate al contempo tanto
moderne sul piano delle idee e dei gusti, quanto legate a tradizionali rapporti
di dominio di stampo patrimoniale.
Rouquiè arriva quindi alla
conclusione che “Le risorse della modernità e quelle della tradizione sono
utilizzate insieme per il mantenimento dell’ordine e dei privilegi che nascono
dalla ‘disarticolazione’ dei rapporti sociali”.
Da questo quadro ne consegue che,
dall’indipendenza sino ai giorni nostri, le società latinoamericane, senza
soluzione di continuità, sono risultate
caratterizzate da profondi squilibri al loro interno, con strutture politiche
alquanto fragili, con modelli economici sostanzialmente postcoloniali basati
sull’estrattivismo e sulla penetrazione straniera, esposte ai condizionamenti
geopolitici e, pertanto, quasi perennemente attraversate da forti tensioni
politiche e sociali puntualmente sfociate in una serie di conflitti interni ad
ampio spettro.
Le guerre
d’indipendenza
Dopo 3 secoli di dominazione coloniale europea, all’inizio
del XIX sec. le aspirazioni indipendentiste, incarnate dalla figura di Simon
Bolivar “El libertador”, sorte nelle colonie del subcontinente,
incontrando la prevedibile opposizione delle relative madrepatrie (Spagna e
Portogallo, in primis), sfociarono, per l’ex impero spagnolo, in una serie di
guerre combattute fra il 1808 e il 1833, sotto la guida militare delle stesso
Bolivar e di Josè di San Martin in Sud America e di Miguel Hidalgo in Messico,
il cui esito portò alla liberazione dal giogo coloniale (carta 3).
Carta 3: le guerre d’indipendenza delle colonie latinoamericane e anno d’indipendenza
La carta politica del
subcontinente non assunse, tuttavia, l’assetto attuale in quel contesto, in
quanto i soggetti statuali divenuti indipendenti hanno successivamente subito
alcune variazioni territoriali, talvolta anche molto significative, come il
ridimensionamento del Messico a seguito della guerra con gli Stati Uniti del
1946-48 che portò alla perdita di tutti i territori messicani a nord del Rio
Bravo.
In particolare,
facciamo riferimento alla “Grande Colombia” (carta 3) nata nel 1919
dal progetto politico della “Patria grande” di Bolivar, vale a dire
di una “America Latina libera e unita” che comprendeva gli attuali
Venezuela, Ecuador, Colombia e Panama, quest’ultima all’epoca provincia istmica
della Colombia dalla quale si separò su regia statunitense nel 1903 e dove, di
lì a poco, venne realizzato l’omonimo canale (1907-1914). Grande Colombia che
avrà tuttavia una effimera durata, in quanto l’emergere di egoismi localistici,
da parte delle varie oligarchie, portò nel 1830 alla disgregazione della stessa
in 3 stati e al ritiro dalla vita politica del suo ideatore e presidente, Simon
Bolivar.
Altra entità statuale,
la Repubblica Federale del Centro America (carta 3), comunemente nota come
Federazione Centroamericana, formatasi al momento dell’indipendenza nel 1823
nell’area istmica, sul territorio degli attuali Guatemala, El Salvador,
Honduras, Nicaragua e Costa Rica, ebbe anch’essa vita relativamente breve,
visto che, a seguito della guerra civile interna finì per dissolversi, di
fatto, tra il 1838 e il 1940 a causa della graduale secessione dei 5 stati e
ufficialmente nel 1841.
Al termine delle guerre d’indipendenza ispano-americane che
comprendevano anche quelle di Haiti contro la Francia (1791-1804) e la assai
meno cruenta del Brasile con il Portogallo[1],
rimasero sotto il dominio spagnolo solamente le colonie caraibiche di Cuba e
Porto Rico fino alla guerra Ispano-americana del 1898 che, come detto, portò
solamente ad una indipendenza formale.
Andrea Vento
Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati
Atti del seminario di Brescia del 28 settembre 2024 “No
alla guerra e alle armi nucleari”
[1] Pernambuco fu la prima provincia brasiliana a separarsi
dal Regno del Portogallo. Il 29 agosto 1821 nacque un movimento armato contro
il capitano generale Luis di Rego Barre —l’oppressore
della Rivoluzione Permeabucana —, che sfociò nella formazione della
Giunta di Goiana , rivelatasi vittoriosa con la resa senza condizioni
delle truppe portoghesi firmata il 5 ottobre dello stesso anno, in occasione
della Convenzione di Beribe, che sancì l’espulsione delle armate
portoghesi dal territorio pernambucano.
Il movimento costituzionalista del 1821 è
considerato il primo episodio dell’indipendenza del Brasile la quale venne poi proclamata
nel 1822 ma che fu riconosciuta dal Portogallo, dietro il pagamento di 2
milioni di sterline, con l’accordo passato alla storia come Trattato di Rio de
Janeiro del 1825
[1]
L’episodio del vascello statunitense Maine esploso nella baia dell’Havana,
venne utilizzato dagli Stati Uniti come classico casus belli per dichiarare
guerra alla Spagna e vanificare la trentennale lotta indipendentista cubana. la
Guerra ispano-americana del 1898, si concluse in pochi mesi con la vittoria
degli Stati Uniti, i quali tramite il Trattato di Parigi ottennero oltre che il
controllo di Cuba, l’annessione di Guam, di Porto Rico e delle Filippine, le
quali ottennero l’indipendenza solo nel 1946.
[1] N.
Botana, El Ordem cinservador. La politica
argentina entre 1880 y 1916. Sudamericana, Buenos Aires 1977
[2] F.
Bourricaud, Remarques sur l’oligarchue peruvienne, in “Revue francaise de
sciense politique”, XVI, agosto 1964, p. 675
[3] A.
Rouquié, L’America Latina, Bruno Mondandori, Milano, 2000, pp. 97-98
[4] A.
Rouquié, L’America Latina, Bruno Mondandori, Milano, 2000, p. 98
[5] la
Rivoluzione haitiana fu una rivolta per la liberazione dalla schiavitù e contro il colonialismo scoppiata
nel 1791 ad opera di schiavi liberati contro il governo coloniale francese che
si concluse nel 1804 con il raggiungimento dell’indipendenza. Diventò all’epoca
l’unico stato che aveva conquistato l’indipendenza a seguito di una rivolta di
schiavi e che fosse governato da non bianchi
[6]
Schiavitù e sistema delle piantagioni
[7]Il cacao
è un bene coloniale
[8]
Abolizione della schiavitù 1888